Toy Story - La magia dei balocchi digitali PDF 
Tobia Zerbato   

Nella metà esatta del decennio scorso la Pixar posò la prima pietra nella costruzione di quel ponte che, in breve tempo, avrebbe congiunto la tradizione Disney con le più recenti tecniche d’animazione tridimensionali. Rinnovando totalmente la veste grafica e qualche contenuto leggermente stantio, ma lasciando intatte le fondamenta del cinema creato da Walter Elias Disney, la Pixar intraprese un cammino che oggi ci appare ben preciso e lineare, un percorso costantemente tendente all’evoluzione e dai risultati tutt’altro che discontinui.

Toy Story fu il primo lungometraggio ad incorporare soluzioni visive all’epoca pionieristiche senza che il freddo verbo dei calcolatori intaccasse l’essenza che da sempre distingueva i film Disney. In Toy Story, non visti, i giocattoli prendono vita: si muovono, parlano e ragionano, incarnano dubbi e ossessioni dell’uomo. Ad ogni compleanno del loro piccolo padroncino, scrutano con ansia e preoccupazione i nuovi regali che potrebbero occupare il loro posto. Il cowboy Woody, leader del gruppo, rassicura che ciò non avverrà per nessuno, ma il cambiamento è dietro l’angolo e dallo spazio giunge il nuovo e sfolgorante Buzz Lightyear, agente spaziale che ben presto scalzerà dal suo posto al sole il cowboy Woody.  Con la mirabile regia di John Lasseter s’accende il contrasto tra il cowboy e lo sceriffo spaziale, quale espressione figurata del confronto fra antico e moderno. A questo punto risulta evidente che gli autori di Toy Story desiderano sottoporre allo spettatore l’accostamento di due aspetti altresì importanti del loro film, che corrono su binari paralleli dell’acceso conflitto tra i due balocchi. Accomodare le tradizioni fino ad allora in uso con l’innovazione tecnologica traguardata, è la reale sfida che gli autori di Toy Story si fanno carico di vincere, riuscendovi.

La rivoluzione esistenziale che i personaggi del film sono costretti a fronteggiare, il cowboy Woody non sopporta d’esser messo alla berlina da un giocattolo più moderno, e l’agente Buzz non accetta che il passato e la sua vita siano in realtà una grande bugia, è la medesima conciliazione d’elementi che la Pixar tratta a livello cinematografico. In entrambi gli ambiti, nel cinema come nella vita, la pacifica coesistenza tra ciò che è vecchio e ciò che è nuovo, è l’accordo comune da raggiungere per non cedere mai il passo alla mediocrità e continuare a percorrere incolumi una strada sì in linea retta, ma non noiosa, poiché d’emozioni è costituito il panorama che ravvisiamo ai lati della strada. In questo viaggio il motore si serve di sogni come carburante, quei sogni che Walt Disney ha raffigurato nei suoi disegni animati, ora “digitalizzati”, ma da quel buon sapore che noi tutti conosciamo.

Questi balocchi digitali, benché ricoperti di textures, non hanno perduto la loro straziante umanità e se lo spettatore s’interroga sull’incantesimo che li fa muovere, al quale non v’è raziocinio, gli basti comprendere che i sogni non rispondono alla ragionevolezza, né di troppe spiegazioni si deve andare in cerca in Toy Story. Come ciò che divide un mago dalla sua platea: deve sussistere qualcosa d’inspiegabile, di magico, quel crepitio emozionale che, tra un sorriso e una lacrima, non può fare a meno di farci esclamare: “Verso l’infinito…e oltre!”.

 


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