District 9 PDF 
Angela Cinicolo   

Favoloso incubo ipertecnologico ed extraterrestre, District 9 è una delle più originali produzioni sci-fi degli ultimi anni. Se uno dei suoi maggiori pregi è quello di ricordare che una tematica come quella degli alieni, trita e ritrita dai filmoni hollywoodiani, possa essere ancora trattata senza il ricorso ai soliti patinati stereotipi o alle transazioni mediate dai concetti politici, sull’altro piatto della bilancia pesa, stabilendo un magnifico equilibrio, una messa in scena fantasiosa che non lascia spazio a inutili fronzoli visivi né a sofisticate acrobazie effettistiche di film recenti come Transformers (Bay, 2007). La travolgente storia regressiva dell’umanità e dello scontro con gli alieni questa volta non è inficiata dai cliché disseminati per esempio nell’ultimo Cloverfield (Reeves, 2008): l’intreccio narrativo resta spurio, com’è giusto che sia un racconto legato a un soggetto tanto misterioso, piuttosto che essere contaminato da ombre patetiche, in qualche modo filogovernative e militariste, come accaduto in Signs (Shyamalan, 2002) o ne La guerra dei mondi (Spielberg, 2005).

Tra i produttori spicca il nome altisonante di Peter Jackson, che ancora una volta gioca la sua carta vincente controcorrente: mentre impazza nel cinema la moda del 3D, specie nel genere dell’animazione, il regista di Bad Taste appoggia la causa low budget del trentenne Neill Blomkamp, che ha all’attivo pochi film sconosciuti e il contributo agli effetti speciali per serie come Smallville e Dark Angel. Jackson non sbaglia un colpo e conferma di avere un fiuto eccezionale nello scovare pellicole sorprendenti e cineasti incredibilmente creativi. Grazie alla regia sicura di Blomkamp, che opera una mirabolante commistione del genere cinematografico e del videogame, della generazione di Doom e di Wolfenstein 3D, riuscendo a coniugare una sceneggiatura robusta e complessa con avvincenti sequenze di azione e di suspense grazie al vertiginoso uso di steadycam, il film si pone come un transgenere, in un’operazione visiva simile a quella già realizzata negli ultimi anni con i fumetti. Lo stile e le atmosfere dei due codici linguistici si fondono insieme e diventa quasi irriconoscibile la distinzione semiotica: la materia filmica assorbe le visioni, lo humour e il ritmo tipico delle stripes, mentre i cadrage e il montaggio restano intatti eppure compromessi dal “gioco virtuale”.

L’impianto estetico di District 9 è un’apocalisse visionaria dalla drammaticità quasi biblica, come riassume bene il bellissimo e suggestivo tramonto rosso del secondo tempo, e si configura come presenza dicotomica insieme al pungente umorismo dei dialoghi, che sviscera spesso il politically uncorrect (vedi l’associazione alieni-gamberoni) con coraggio e determinazione,  senza mai scadere nel demenziale e nel trash: le battute riferite soprattutto agli “altri”, prima extra poi terrestri, sono funzionali al divertissement dello spettatore, che ha così modo di sospirare tra un momento di grande thrilling e l’altro ricordando di essere al cinema e non nella pericolosa Johannesburg. Ma non è la sola linguistica verbale (e iconica) a commissionare al film la componente di intrattenimento: il nono distretto, una road map recintata e abitata da alieni e controllata da trafficanti di armi nigeriani dotati di minacciose tendenze a un etnologico rituale di cannibalismo, rappresenta una riscrittura realistica del quartiere etnico all’interno della città, l’isola per gli immigrati ai quali viene concesso un mediatore culturale, nel nostro caso il protagonista Wikus Van De Merwe, interpretato dal bravo Sharlto Copley.

Ecco allora che a quell’entertainment s’interpone la riflessione, scevra di didattiche pedagogie che avrebbero appesantito la pellicola, ma formulata piuttosto per mezzo di sequenze dal taglio documentaristico che confondono con maestria la fiction e il (finto) reportage. La storia riesce in questo modo ad equilibrare la sua verità su due piani paralleli, che spesso s’intersecano davanti agli sguardi come nei primi affascinanti episodi di X-Files. Da un lato siamo completamente e continuamente destabilizzati da una fantascienza kafkiana fatta di impreviste mutazioni, che ricordano quelle “vissute” da Vincent Price ne L'esperimento del dottor K (Neumann, 1958), e di futuristiche robotizzazioni eclatanti, con inevitabili allusioni a Terminator (Cameron, 1984), dall’altro Blomkamp prova a rassicurarci sulla natura difensiva, e non aggressiva, degli alieni, con una finale simbologia, delicata quanto il tocco sensibile di Wall-E (Stanton, 2008), che però astutamente non chiude con una cerniera ferma, ma lascia nell’ambiguità di un ermetico viaggio sospeso tra cielo e terra, tra male e bene, tra oscurità e luce. Perché nella pregiudizievole doppiezza District 9 trova la genesi e nella doppiezza si apre un encomiabile varco conclusivo.

TITOLO ORIGINALE:
District 9; REGIA: Neill Blomkamp; SCENEGGIATURA: Neill Blomkamp, Terri Tatchell; FOTOGRAFIA: Trent Opaloch; MONTAGGIO: Julian Clatke; MUSICA: Clinton Shorter; PRODUZIONE: Nuova Zelanda; ANNO: 2009; DURATA: 112 min.

 


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