Silvia Taborelli racconta Cinemambiente PDF 
Tiziano Colombi   

In questa ultima edizione Cinemambiente ha registrato un ottimo risultato in termini di pubblico: i dati parlano di 20 mila presenze. Qual è il pubblico di riferimento del festival?
La scelta di spostare il festival a giugno ha ampliato il nostro pubblico, anche grazie ai numerosi eventi organizzati fuori dalle sale, come il Bike Pride, il cinema sui tetti, il tram. In questo senso molto è stato pensato per coinvolgere quel pubblico che normalmente non è così interessato alle tematiche ambientali. Poi ci sono i ragazzi delle scuole, che, pur essendo meno presenti nei giorni del festival, data l’imminenza della fine dei corsi, è costantemente coinvolto durante l’anno in numerose iniziative.

Ogni edizione di Cinemambiente ha un tema portante. Come avviene la scelta del percorso da seguire?

Solitamente leghiamo le nostre scelte a temi di carattere internazionale. Quest’anno abbiamo scelto la biodiversità perché l’ONU ha lanciato, appunto, l’anno Internazionale per la Biodiversità. Abbiamo poi insistito sul verde urbano creando un focus specifico e legandolo ad iniziative collegate come il guerrilla gardening. Abbiamo trattato il tema dell’acqua e, l’anno scorso, quello dell’energia. Insomma, non perdiamo mai di vista quelli che sono gli input che ci arrivano dall’attualità.

Come procedete alla selezione dei film?
Attingiamo molto dai film che ci vengono inviati in risposta al bando che indiciamo ogni anno. Poi ci sono i festival internazionali, che monitoriamo con assiduità. In tutto visioniamo circa 800-1000 film. Grazie alla creazione dell’Environmental Film Festival Network, che riunisce e collega tutti i festival che si occupano di ambiente, siamo in grado di conoscere l’intera produzione del settore.

Quale impatto pensate possano avere i film a tematica ambientale sulla sensibilità degli spettatori?

Innanzitutto bisogna dire che la qualità dei prodotti negli ultimi anni è aumentata moltissimo. Inizialmente i film a tematica ambientale erano di carattere prettamente militante, sia come taglio che come tipologia di produzione. Oggi molte grandi case produttrici si occupano di ambiente. Il film con Al Gore, Una scomoda verità, vincitore di un Oscar nel 2007, ha segnato un punto di svolta in questo senso, dando al genere una nuova e più ampia visibilità.

Nonostante tutto però il mercato sembra rimanere freddo nei confronti di questo tipo di prodotti. In sala arrivano pochi film...
È vero la distribuzione nelle sale rimane sempre molto difficoltosa. Tuttavia esistono esempi positivi: The Cove, che abbiamo presentato quest’anno, lo abbiamo proposto in collaborazione con la Feltrinelli, che curerà l’uscita in dvd a settembre, ed è stato anche acquistato da Current tv. La sala “classica” rimane un’eccezione, è raro che film presentati da noi trovino spazio nel circuito tradizionale. Però abbiamo una struttura di distribuzione post festival che si chiama Cinemambiente Tour, nata per impedire che i film scompaiano dalla circolazione. Abbiamo un accordo con gli autori, ai quali paghiamo i diritti e con i quali organizziamo centinaia di proiezioni in giro per l’Italia.

Che opinione vi siete fatti come festival rispetto al tema spinoso del greenwashing, ovvero l’appropriazione indebita delle tematiche ambientaliste da parte di aziende più o meno note a puro scopo pubblicitario?

Cinemambiente, in questo senso, è molto attenta alle partnership che crea. Evitiamo marchi che sarebbero magari disposti a siglare contratti di sponsorizzazione molto vantaggiosi, ma che non hanno le caratteristiche adatte a lavorare con noi. Il fenomeno esiste ed è in espansione. D’altra parte non è necessariamente un aspetto negativo, perché significa che il mercato, e più in generale chi fa business, ha capito che c’è da parte del cittadino una richiesta in tal senso. Certo, questo non deve degenerare in puro marketing, privo di contenuti reali. Cinemambiente è stato il primo festival a lavorare concretamente sulla sostenibilità: dalle emissioni ai voli ai consumi dei pc, tutto viene calcolato da un’azienda Asja, che è anche il nostro sponsor principale.

Nell’edizione di quest’anno spicca il nome di Beppe Grillo. Che opinione avete, come esperti del settore, del fatto che in Italia temi fondanti come quelli dell’ambiente siano totalmente assenti dall’agenda politica, e che se ne occupi quasi esclusivamente un comico?
Noi abbiamo invitato Grillo perché aveva un film in anteprima da presentare, Un Grillo mannaro a Londra, nel quale il comico genovese incontra alcuni politici londinesi e discute con loro delle politiche ambientali che intendono adottare. Dal film emerge il fatto che, a differenza dell’Italia, il tema dell’ambiente non ha colore politico, se ne occupano a destra come a sinistra in maniera anche piuttosto avanzata. La funzione di Grillo al festival si limitava a questo. Poi certo è innegabile che la politica italiana su questo punto sia quantomeno poco presente.

 


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