Miracolo a Sant'Anna PDF 
Tiziano Colombi   

Di cosa parla l’ultimo film del regista afroamericano Spike Lee? Difficile dirlo con certezza, perché in due ore e quaranta la pellicola propone un fiume di piccole e grandi storie che non trovano mai la via del mare aperto finendo per disperdersi in mille rivoli destinati alle secche. Miracolo a Sant’Anna è, tra le altre, la storia dei soldati neri impiegati nella Seconda Guerra Mondiale. La vicenda di quattro uomini della 92ª divisione Buffalo dispersi in territorio nemico sulla famigerata "Linea gotica" che trovano rifugio in un piccolo paese sulle montagne della Garfagnana. Anche, ma non solo. C’è pure la storia del piccolo Angelo, scampato, grazie all’aiuto di un soldato tedesco, al massacro di 560 civili a Sant’Anna di Stazzema, compiuto dal 16° battaglione SS il 12 agosto 1944. E poi le lotte e la vita di una piccola comunità montana che resiste all’inverno e aspetta la fine della guerra. E ancora, una stanza ad Harlem nel 1983 dove Hector, unico superstite di quella spedizione, guarda alla tv il bianco John Wayne vincere la guerra nel solito war movie made in USA dove quelli come lui  - che hanno fatto anche loro il proprio dovere -  non figurano nemmeno come comparse. Un’onda narrativa alta 160 minuti che quando si ritira lascia giusto un paio di pietre a rotolarsi sulla riva. Spike Lee rincorre il tempo e lo spazio saltando da un flashback all’altro, dall’America razzista all’Italia partigiana, dai dolori privati alle ferite della memoria. Passato remoto e passato prossimo rimbalzano come palle impazzite di cui l’autore perde spesso il controllo.

E allora, di cosa parla l’ultimo film del regista afroamericano Spike Lee? Delle discriminazioni che i soldati di colore erano costretti a subire anche nell’esercito. Considerati inadatti a combattere e utili solo come manovalanza, molti di loro, come il soldato Bishop della 92ª, ritenevano quella che stavano combattendo la "guerra dei bianchi". Nella sua Storia del Popolo Americano Howard Zinn chiarisce il punto riportando le parole che uno studente nero disse a un professore: "l’esercito ci discrimina. La marina ci permette di prestare servizio solo in mensa. La Croce Rossa rifiuta il nostro sangue. I datori di lavoro e i sindacati ci escludono. I linciaggi continuano. Ci tolgono il diritto di voto, ci discriminano, ci sputano addosso. Che cosa potrebbe fare di peggio Hitler?". Banale pensare che il Fuhrer sarebbe stato capace di molto peggio, ma rimane il fatto che la Storia ufficiale, e soprattutto il cinema di guerra, hanno consegnato ai posteri una versione monca dei fatti, dimenticando il contributo dei soldati afroamericani alla liberazione dell’Europa dal nazifascismo (per inciso, poca fortuna cinematografica, se si esclude Windtalkers di Jonh  Woo, hanno avuto anche i nativi americani, impiegati nel secondo conflitto mondiale come code talkers, radiofonisti, per trasmettere ordini in lingua navajo e destinati a morire per mano amica in caso di necessità per evitare che venissero catturati dalle truppe imperiali). È in questa parte del racconto che la buona e sacrosanta scelta di Spike Lee di fare questo film troverebbe il suo compimento deciso e definitivo. Il condizionale si impone perchè, ahinoi, le cose non vanno così, anzi finiscono per prendere una piega decisamente rovinosa per quello, che forse, doveva essere il vero scopo di Miracolo a Sant’Anna.

Si sa che quando da un tetto si stacca la prima tegola è facile che l’acqua si infiltri nell’intera struttura. E non bastano i cartelli che prima del film si premurano di spiegare che "Miracolo a Sant'Anna è un opera di finzione ispirata a fatti storici", perché attribuire alla delazione di un partigiano la causa prima dell’eccidio di Stazzema non è solo una cattiva licenza ma è un modo per far deragliare l’intera struttura narrativa del film. Passando per un momento sopra le polemiche scatenate da tale scelta, quello che non va nella sceneggiatura è la smania di mettere il naso in una vicenda altra, che il regista dimostra di non conoscere a fondo, quasi fosse stato vittima di quello che gli storici hanno ironicamente definito "Mal di Pansa". Se infatti Spike Lee avesse letto il lavoro dei molti storici che si sono occupati della Guerra Civile italiana o gli scritti di quanti furono sulle montagne, non sarebbe stato necessario piegare la verità di un fatto accertato come quello di Stazzema (per il quale esiste un sentenza definitiva della Cassazione) per portare a galla le contraddizioni della Resistenza. Gli sarebbe bastato, ad esempio, sfogliare il Diario di un partigiano di Emanuele Artom, nel quale si racconta dei “metodi fascisti” adottati da alcuni capi partigiani, soprattutto quando era il momento di decidere della sorte dei prigionieri tedeschi e saloini: "bisogna scrivere questi fatti, perché fra qualche decennio una nuova retorica patriottarda o pseudoliberale non venga a esaltare le formazioni dei purissimi eroi: siamo quello che siamo, un complesso di individui in parte disinteressati e in buona fede, in parte arrivisti politici, in parte soldati sbandati che temono la deportazione in Germania, in parte spinti dal desiderio di avventura, in parte da quello di rapina. Gli uomini sono uomini". Se si fosse premurato di fare uno sforzo, Spike Lee avrebbe capito quello che molti, soprattutto in Italia, rifiutano di comprendere, ovvero che non è stato il mito della Resistenza a renderci liberi, ma la scelta, di chi ne ha fatto parte, di combattere dalla parte giusta. In guerra si può anche morire per ideali diversi e contrapposti avendo, dinnanzi  all’umana pietà, la stessa dignità ma - come scrive lo storico Sergio Luzzatto - "quel che conta non è l’uguaglianza nella morte, ma la disuguaglianza nella vita".

Per quanto riguarda poi le livorose controversie seguite all’uscita del film nel nostro paese, ha in parte ragione lo stesso regista quando sostiene di non essere nemico di nessuno, tanto meno dei partigiani, e di credere che, forse, tanto astio è da addebitarsi a una mancata suturazione delle ferite procurate dalla storia patria. In quest’ottica, lo scambio di missive tra il regista americano e Giorgio Bocca sulle pagine di Repubblica finisce per diventare una specie di gag dall’umore nero: è come se il giornalista partigiano, dopo aver scritto una toccante lettera di condoglianze, avesse sbagliato ad apporre l’indirizzo finendo per suscitare nel personaggio vivo e vegeto che la riceve, non le giuste e sacrosante lacrime di commozione, ma una repentina e poco ortodossa toccata di gioielli. Se questo non assolve Spike Lee dall’avere realizzato un film bruttino, certo non lo rende complice di quanti in Italia, spinti da meri interessi politici, o da colpevole e tenace ignoranza, tentano da decenni di impedire un definitivo giudizio storico sulla Guerra Civile italiana della quale, volenti o nolenti, è figlia questa nostra martoriata Repubblica.


TITOLO ORIGINALE: Miracle at Sant’Anna; REGIA: Spike Lee; SCENEGGIATURA: James McBride; FOTOGRAFIA: Matthew Libatique; MONTAGGIO: Barry Alexander Brown; MUSICA: Terence Blanchard; PRODUZIONE: USA, Italia; ANNO: 2008; DURATA: 160 min.

 


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