TOFIFE 2003 / Piacere, Aleksandr Sokurov PDF 
di Fulvio Montano   

"In fin dei conti, la felicità non è la cosa più importante."
Andrej Tarkovskij

La monumentale, mi si passi il temine, retrospettiva su Aleksandr Sokurov presentata al Torino Film Festival di quest'anno (a cura di Stefano Francia, Enrico Grezzi e Alerei Jankowski) è stata l'occasione per uno sguardo totale ed una riflessione, per forza di cose parziale, sull'opera di uno degli artisti senza dubbio più interessanti dell'attuale panorama cinematografico mondiale. Anni luce lontano dall'idea occidentale e contemporanea di arte, Sokurov è senza dubbio l'esponente di spicco della cinematografia russa attuale, continuatore, piuttosto che erede, allievo o peggio ancora emulo, dell'indiscutibile grandezza dell'amico Andrej Tarkovskij, cui proprio l'Occidente ha tributato gli onori più grandi.

Ispirata da una seria e rigida concezione del fare arte, la sua opera racchiude in sé tutta la ricchezza, la malinconia e insieme la tragicità della terra e del popolo russo, storicamente condannato alla sofferenza perché custode onesto del senso più profondo della vita, ben sintetizzato dalle parole del regista stesso nell'incontro con il pubblico al Pathè: "Dio ha creato un mondo imperfetto e spietato, condannando l'uomo alla disgrazia dell'esistenza e alla coscienza della morte. L'arte è una forma di lotta contro la morte volta a raggiungere l'immortalità."

Spirituale, austero e intriso di misticismo, il suo cinema trascendentale rimanda direttamente alle grandi lezioni di Ozu, Bresson, Dreyer e suggerisce un interessante parallelo con un altro contemporaneo quale Abbas Kiarostami, esploratore anch'egli di sentieri e strade poco battute.

Studioso di storia e letteratura, Sokurov è cresciuto in Siberia, appassionandosi fin da ragazzino ai radiodrammi che trasmetteva il canale di Stato: "Mi bastava socchiudere gli occhi per immaginare un intero mondo, ma non avrei mai immaginato di diventare io stesso un regista. Sono nato in una piccola città, non c'era gran che da fare, e quando hanno costruito la centrale idroelettrica ce ne siamo dovuti andare e la mia casa è stata completamente sommersa. Se oggi volessi rivedere i luoghi della mia infanzia dovrei procurarmi una barca, remare fino al centro del lago e guardare giù, verso il fondo." In qualche modo cosciente dei suoi privilegi di artista, Sokurov propone la sua personalissima idea di cinema con una non comune dedizione morale all'arte, non per questo privata dell'utilizzo di supporti non tradizionali e interventi sull'immagine sia in fase di ripresa sia in quella di post produzione. "L'artista è come un medico, da lui ci si aspetta preparazione e serietà, oltre ad un profondo rispetto per l'individuo."

Critico feroce della piega commerciale presa in Occidente dalla settima arte, propaganda un cinema capace di emanciparsi dall'industria del divertimento e finalmente all'altezza di prender posto accanto alla letteratura, alla musica ed alla pittura, sue grandi passioni. "La pittura è l'unica vera arte. È l'utilizzo del pennello sulla tela che permette di fissare l'istante, lo spirito dell'arte, ed è la lente il vero antagonista del cinema. Gli strumenti ottici creano un filtro di intermediazione rigido tra l'autore e la sua opera, generando un'immagine sempre artificiosa, mai reale."

Per Sokurov il cinema è arte figurativa, per forza di cose difficile da comprendere e quindi elitaria. "L'arte non è un dialogo, ma una forma di vita autonoma, senza definizione. Il cinema è come la poesia, non contempla né ammette repliche: è una forma di comunicazione a senso unico. Se uno spettatore incrocia lo sguardo del protagonista del film, ciò non vuol dire che l'attore si sia accorto della sua presenza."

Se nelle opere di fiction la vena pessimistica della sua poetica e l'estetica visionaria delle sue immagini si distendono in tutta la loro maestosa invadenza, forzando ogni singolo fotogramma oltre il limite della cruda esposizione degli eventi, dilatando i tempi quanto gli spazi (soprattutto grazie all'utilizzo del piano sequenza e di lenti che accentuano l'effetto flou o la distorsione), i suoi documentari trascendono con gradevole e spiazzante naturalezza il facile didascalismo, suggerendo ad ogni visione qualche spunto fino a poco prima ignorato, non colto nel fluire della narrazione.

Costruiti attorno all'invidiabile passatempo di frugare negli archivi della televisione di Stato in cerca di suggerimenti attraverso i quali strutturare il montaggio, i suoi documentari narrano di grandi personalità della storia russa metabolizzando e superando quel culto da regime totalitario che egli sicuramente ha conosciuto, per proporre una nuova forma di adorazione che è ispirazione insieme.

Un culto della personalità di tipo nuovo, più onesto. La storia di Tarkovskij come quella di Sostakovic, legittimate da indiscutibili meriti artistici e culturali, vanno narrate con rispetto, ma senza timore, orchestrate in funzione della propria sensibilità e soprattutto della proprio nostalgia. Sì, perché è la Nostalghia la cifra imprescindibile e sottesa ad ogni lavoro di Sokurov, la cupa malinconia di un'epoca che non può essere che ricordo in questi tempi oscuri in cui valori e riferimenti moralmente alti si fanno vacui, indistinti. L'anima dell'autore risulta tesa alla rassegnazione più che alla provocazione e lo sguardo indietro, verso gli ultimi tre o quattro secoli di storia russa, è semplice malinconia.

"Non cerco mai di realizzare documentari come fossero una sorta di arte realistica. Non sono interessato alla verità realistica, perché credo non sia possibile nemmeno comprendere la realtà che ci sta intorno." L'opera di Sokurov, per sua stessa ammissione, tesse, insomma, una grande Elegia Sovietica e Russa insieme, mescolando la passione per la Storia a quella per l'arte, tesa a far quadrare il cerchio, a ricostruire un presente più sensato da cui riprendere il viaggio. La grande stagione del totalitarismo sovietico è così per il regista una semplice parentesi, perfettamente in accordo con il percorso storico del suo popolo, tanto che non ha interesse di mostrarsi come un dissidente che, finalmente libero di dire la sua, rinnega in toto il passato più recente. "Ogni popolo ha la propria arca e solo una volta che sarà riuscito a raggiungerla troverà la pace."

Un posto a parte Sokurov lo riserva alla musica, contrappunto ideale e risonanza metafisica delle immagini che fluiscono nel montaggio sempre armonioso proposto sullo schermo. Glimka, Chopin e Tchaikovskji sono l'estensione di un'espressività principalmente visiva, perfettamente funzionale allo stile elegiaco delle sue opere, siano esse fiction o documentari. Assodato patrimonio universale, la musica classica viene decontestualizzata dalla propria epoca per dare il giusto ritmo allo scorrere della pellicola, per farsi commento mesto e accorato di una narrazione austera, pregna di un simbolismo sì referenziale, ma di non sempre facile lettura, attento più alla microstoria che ai grandi eventi del passato.

Interessato ai risvolti più modesti della Storia, Sokurov attira la nostra attenzione sulle pause nell'esercizio del potere di Adolf Hitler (Moloch) oppure sugli ultimi giorni di Lenin (Taurus), ridotto a marionetta inerme nelle mani di Stalin, e ancora condensa tutto l'amore del figlio per la madre gravemente malata (Madre e figlio) nell'istante prima della morte di lei, dilatato oltre misura e teso a descrivere l'indescrivibile.

Convinto della comunanza di passioni e sensazioni tra tutti gli uomini, dal più umile al più potente, scava nella quotidianità più scontata accostando l'apatia del demiurgo sanguinario nei suoi momenti di relax alla rabbia del rivoluzionario incapace di arginare la follia del suo successore, e al dramma contadino di un figlio che non può far nulla per la madre morente.

Socialismo trascendentale sarebbe giusto definire lo stile di Aleksandr Sokurov, che con il suo orgoglio tipicamente russo guarda oltre cortina con un pizzico di arroganza, ma anche con onestà, mentre noi, da quest'altra parte, fatichiamo a comprenderne il senso più profondo e scopriamo la distanza, di luogo e di tempo, tra la nostra cultura e la sua.

"Viaggiando in Occidente per presentare i miei film ho visto delle reazioni davvero strane, qualcuno che addirittura rideva. Capisco che gli occidentali sono molto diversi e molto più soli di noi russi e che il senso della morale qui è molto diverso, ma ugualmente apprezzo che qualcuno veda i miei film e anziché cercare di comprenderli, li accetti. Io stesso accetto lo stile di vita occidentale, nonostante mi sia assolutamente impossibile comprenderlo."

 


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