Changeling PDF 
Gianmarco Zanrè   

A volte, quando il mio cammino s'incrocia di nuovo con Furore, Sentieri Selvaggi, L'uomo che uccise Liberty Valance, Ombre rosse, penso a quanto sia importante il cinema. Con lui, John Ford. La mente corre, fra vita vissuta ed esperienze prima ascoltate e dunque trasmesse, nel valore più alto che si possa pensare leghi genitori e figli. John Ford, ormai, appartiene ad una generazione che inizia a farsi lontana, ma ho sempre pensato che, per noi che viviamo a cavallo tra due millenni, fosse una fortuna che registi come Clint Eastwood abbiano portato i loro “cavalli” alle nostre città, alle nostre sale. In assoluto, dovendo scegliere un erede di Ford ai nostri tempi, non avrei dubbi ad indicare quale unico candidato il cineasta che, un tempo ormai lontano, era solo quell'attore dalle famose due espressioni: “con o senza sigaro”. Fin dai suoi esordi dietro la macchina da presa, Clint Eastwood ha sempre dimostrato una sensibilità e un desiderio continuo ed inesauribile di crescita, portando sugli schermi pellicole ormai divenute classiche quali Bird, Gli spietati, Un mondo perfetto, Mystic River e Million Dollar Baby, solo per citarne alcuni. Storie di vita, di tentativi falliti, di strade che portano “verso il nulla e l'addio”, ma, ugualmente, capaci di trasmettere tutta la forza di un uomo che, a quasi ottant'anni, pare continuare ad avere un'incrollabile fiducia nella vita, e in chi si batte, nel bene o nel male, per essa.

Tecnicamente, i progressi di questo straordinario regista sono stati enormi, e continui: ad essi si aggiungano un'abilità fuori dal comune nella direzione degli attori, che adorano lavorare con chi li comprende, la stessa squadra di collaboratori – su tutti Joel Cox e Tom Stern, tra i più grandi professionisti di montaggio e fotografia – ed occhi sempre pronti a fare tesoro dell'esperienza, quasi fossero quelli di un bambino. E proprio dai bambini, e dai loro occhi, partono molte delle pellicole più importanti di Eastwood, che ha fatto del rapporto genitori/figli uno dei capisaldi della sua poetica, pietra angolare nella formazione non soltanto di un carattere, ma di una vita intera. Anche questa volta, pur se indirettamente, sono i bambini a fare da specchio ad una torbida vicenda ispirata a un reale fatto di cronaca avvenuto nella Los Angeles soleggiata e corrotta a cavallo della Grande Depressione: figli perduti, rapiti, uccisi, dimenticati da burocrazia e peccato, ma non dal legame che spinge una madre a confidare nella speranza, sempre e comunque, proprio come accade nei film. Eppure, nonostante la perfetta confezione, l'abilità narrativa, i messaggi lanciati – e questa volta senza tenere bassa la voce –, pur da grandissimo sostenitore del lavoro egregio di Clint Eastwood, penso che Changeling non rientri nel novero delle sue pellicole migliori. Si salvano sequenze memorabili, come il resoconto del giovane complice del killer, il dialogo conclusivo fra il finto Walter Collins e il capo della polizia, la sensazione di un “Zitti! Zitti!” di stampo Hellroy ed L. A. Confidential, ottima pellicola tratta, per l'appunto, dall'omonimo romanzo dello scrittore americano, ma il risultato manca dello stesso mordente, o del mordente che vorrebbe avere. Clint stesso pare averci creduto fino in fondo, tentando di convincere se stesso e il suo pubblico, inseguendo la Palma d'Oro all'ultimo Festival di Cannes e rifiutando di ritirare il premio datogli come consolazione, mostrando che a volte la vita può davvero essere come un film.

Ma proprio in questo cieco confidare, nell'aver trasformato un'esperienza “solo” in una pellicola, Clint ha perso il passo dei suoi capolavori: Steve McQueen, nel “minore” quanto intenso L'ultimo buscadero di Sam Peckinpah, ricordava di come il suo destino risiedesse nel “tenere i cavalli”, sottolineando l'importanza, non solo americana, delle generazioni di losers che costituiscono l'ossatura di ogni società, il cuore pulsante di una corsa verso il futuro. Il fatto che, poi, il successo arrida ad altri, fa parte del gioco: forse, per quanto possa suonare strano, Clint Eastwood non deve vincere. Semplicemente perchè non sa farlo. William Munny, indimenticabile protagonista de Gli spietati, ci ricorda che “i meriti non c'entrano in queste cose”. E non c'entrano davvero. Passando oltre, dunque, l'impeccabile confezione, la realizzazione raffinata, la discutibile quanto eccessivamente elogiata interpretazione di Angelina Jolie – di sicuro più adatta a ricoprire ruoli “di cassetta” nel cinema d'azione –, il fatto principale resta la difficoltà (che risulta quasi demagogia) di Clint Eastwood alle prese con un personaggio vincente, capace, di fronte a difficoltà ed ostacoli, di trovare sempre e comunque – e con una facilità da “classico del cinema” – un aiuto che possa portarlo all'inevitabile vittoria finale, cui non è concessa neppure la disperata negazione di una speranza senza futuro. Citando la stessa filmografia di Eastwood, verrebbe da sussurrare, quasi fossimo lo sceriffo da lui interpretato, “in un mondo perfetto...”. In un mondo perfetto vicende drammatiche come quella di Christine Collins troverebbero riscontro non nello stupore, ma nell'ammissione della naturalezza di una possibile conclusione positiva. In un mondo perfetto, il Capitano Jones e i suoi superiori sarebbero confinati in una serie televisiva, a mostrare quanto spietati possano essere i tutori dell'ordine. In un mondo perfetto, Gordon Northcott – un superlativo Jason Butler Harner –, sarebbe il ritratto inquietante, teso e disperato del mostro di Dusseldorf di Fritz Lang. In un mondo perfetto, la speranza non sarebbe guadagnata sulla fiducia, ma il sentimento più naturale da provare al cospetto dell'uomo.

In un mondo perfetto, anche Changeling lo sarebbe. Eppure, e disperatamente, lo è troppo. Di nuovo, torna alla mente William Munny, disarcionato di continuo dalla sua vecchia cavalcatura: laconicamente, di fronte ai figli che lo guardano dubbiosi, riconoscendolo come contadino più che come assassino, la sua unica risposta è “non sono più da sella neanch'io”. Clint, da sella, non lo è mai stato. Quelli come lui sono fatti per badare ai cavalli. O mangiare torta al limone, in qualche posto fra il nulla e l'addio. Ma non c'è da preoccuparsi. Probabilmente, dopo l'assegnazione dell'Oscar, è quello che accadrà. Per fortuna, questo non è un mondo perfetto.

TITOLO ORIGINALE: Changeling; REGIA: Clint Eastwood; SCENEGGIATURA: J. Michael Straczynski; FOTOGRAFIA: Tom Stern; MONTAGGIO: Joel Cox, Gary Roach; MUSICA: Clint Eastwood; PRODUZIONE: USA; ANNO: 2008; DURATA: 140 min.

 


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