Wes Craven, l'orrore rinnegato PDF 
di Alessio Gradogna   

Dove risiede il confine tra genio e sopravvalutazione? Dove dimorano gli effettivi meriti di un autore che secondo molti ha rivoluzionato il genere horror e secondo altri l'ha anche distrutto? In cosa è riscontrabile l'effettivo valore di Wes Craven? Maestro? Icona? Leggenda vivente? E se alla resa dei conti Craven avesse realizzato soltanto quattro film importanti e fondamentali nella sua lunga carriera, mentre tutti gli altri potrebbero essere giudicati come discutibili, supponenti e inutili? Provocazione o realtà?

E' innegabile che l'inizio di carriera di Craven sia stato folgorante. Nessuno come lui ha saputo cogliere l'aria malsana e intimorita di un'America sconvolta dalle onde di riflusso del Vietnam e della Guerra Fredda, rivoltando gli stomaci di spettatori indifesi di fronte ad un mondo che non era più lo stesso, crudelmente inseguiti, assediati e sconfitti da un incubo senza fine.

L'ultima casa a sinistra e Le colline hanno gli occhi hanno saputo mietere schizzi di sadismo e corruzione filmica come forse mai era accaduto prima, trainando l'horror verso una concezione socio-politica sporca e brutale, e mettendo le basi per una sindrome del cinismo condivisa nei medesimi anni da Tobe Hooper, fautore della distruzione definitiva di ogni sogno di pace e di fuga dalla vita. Due film che hanno saputo spingersi oltre al consueto concetto di rappresentazione naturalistica della realtà, portando la violenza, la vendetta e il cannibalismo a ergersi come specchi rifrangenti di un periodo storico capace di portare alla luce ogni nefandezza insita nei cuori di un'umanità vacua e confusa. Craven, con questi due capolavori, ha anticipato i miasmi dello splatter anni '80, dotando l'horror di una nuova vista e di un nuovo esempio da seguire e imitare. E se forse, già da qui, fosse poi iniziato il declino del regista di Cleveland? Possono bastare due soli film, realizzati con pochi mezzi e senza un nome altisonante, per esaurire gran parte della creatività di un autore? Stiamo estremizzando, ma non del tutto.

In fondo, se tralasciamo due pellicole ben poco significative come Il mostro della palude e Benedizione mortale, ci vuole più di un lustro prima che Craven torni a creare alcunché di significativo. Parliamo ovviamente di Nightmare, di Freddy Krueger, dell'eroe degli anni '80, di un film bellissimo e importante, coraggioso e illuminato, che ha avuto il solo torto di partorire, negli anni seguenti, una serie di mostri (dicesi seguiti) senza capo né coda, fino a che l'autore ha voluto riprendere in mano la propria creatura, in Nightmare - Nuovo incubo, gettandosi proditoriamente nei territori minati dell'autoreferenzialità narrativa, intraprendendo una strada che lo avrebbe condotto verso il nulla. Nel frattempo, tra il primo e l'ultimo Nightmare, un solo, grande film: Il serpente e l'arcobaleno, viaggio oscuro e realmente inquietante nell'universo voodoo, pellicola disturbante che recupera lo spirito di sfida dei due primi lungometraggi, l'indipendenza a tutti i costi pur di non scendere a patti con niente e nessuno, e la voglia di estrarre l'orrore dalla realtà e di mescolarlo con il sogno, per giungere alla definizione precipua del terrore come rappresentazione fisica e mentale di paure ataviche e incontrollabili.

Svariati anni, produzioni e collaborazioni trascurabili, un solo grande film, e tanti mediocri: da Sottoshock, stanco e inutile tentativo di proporre un novello Krueger e al contempo di porre in essere una critica massmediologica lontanissima per efficacia a Videodrome di Cronenberg, a Dovevi essere morta, contaminazione horror/fantascienza più che banale, a un inedito - in Italia - seguito de Le colline hanno gli occhi di cui nessuno sentiva il bisogno. Si salva La casa nera, piccolo ma interessante film sbarrato però dalla tracotanza di identificare senza ritegno i due malvagi protagonisti con Ronald e Nancy Reagan.

Ecco il concetto cardine, che ci induce a riflettere sull'effettivo valore di Craven, la supponenza. C'era bisogno, avvicinandoci gradualmente ai giorni nostri, di far indossare a Eddie Murphy i panni del non-morto per Vampiro a Brooklyn, horror-comedy edulcorata e irrimediabilmente asfittica? C'era bisogno, una volta ottenuto il successo di pubblico e critica con Scream, di affondare la propria vittoria con due seguiti che altro non sono se non presuntuosi giochini alla lunga insopportabili? E lo stesso Scream, indiscutibilmente importante non solo dal punto di vista cinematografico, è merito di Craven o è forse per la quasi totalità dote dell'ispiratissima sceneggiatura di Kevin Williamson? E infine, amaramente parlando, c'era bisogno di riesumare dalla tomba il mito del lupo mannaro, dopo che George Waggner, Lon Chaney Jr., Joe Dante e John Landis ci avevano già detto tutto, per tentare inutilmente di farlo rivivere in un teen-movie perbenista e a dir poco sconfortante come Cursed?

Confrontiamo Craven, i cui (ribadiamo: pochi) capolavori resteranno peraltro marchiati a fuoco nell'immaginario dell'horror, con un Cronenberg, ancora in splendida forma e autore negli ultimi anni di eccellenti pellicole come Crash e Spider, oppure con un Carpenter o un Romero, recentemente spesso inattivi ma non certo per colpa loro, o con Lynch, che con Mulholland Drive (indirettamente citato in una sorta di curiosa autodenigrazione nello stesso Cursed) ha creato un film di sublime e commovente maestria e di cinema puro nella più alta definizione del termine, o con Yuzna, che nel suo piccolo e genuino mondo splatter-gore non delude mai le aspettative, o con lo stesso Hooper, che con The Toolbox Murders ha dimostrato come la tenacia, la passione e la semplicità possano ancora portare a risultati più che onesti, e chiediamoci: Wes Craven è stato davvero un genio dell'horror? Ai posteri, o, meglio, al giudizio soggettivo, la verità. Forse in realtà è stato soltanto un regista discreto, in grado di sfornare non più di quattro/cinque buoni film in trent'anni di carriera, ma capace di sovrastimarsi con maestosa continuità fino a perdere totalmente di vista il sentiero dell'ispirazione, e a rinnegare senza rimpianti i suoi esordi gloriosi. Provocazione o realtà?

 


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