Corpi morti e anime danzanti: il cinema di Gus Van Sant PDF 
di Alessio Gradogna   

Cinema fluttuante, sospeso nell'indeterminatezza di un'immagine, nell'ineluttabilità di un destino, negli oceani in tempesta di anime consapevoli di una colpa da espiare, e di una vita da lasciare. Personaggi ribelli, inetti all'odierna società, rifiutati dagli occhi di chi è troppo lontano per comprendere, per consolare, per dare affetto a spiriti irrequieti oltremodo soli, traghettati dalla quotidianità verso la consolazione ultima agli affanni dell'esistenza, schiacciati dal peso di un nome, di un'idea, di una posizione scomoda non più sopportabile.

Gus Van Sant, nato a Louisville, Kentucky, il 24 luglio 1952, e diplomato alla Rhode Island School of Design, è uno dei registi più apprezzati e coccolati degli ultimi anni. Con il successo internazionale di Will Hunting e la Palma d'Oro conquistata a Cannes per Elephant ha saputo imporsi come autore eclettico capace di mettere d'accordo il pubblico americano e i critici europei, nel nome di un cinema teorico, disilluso, che non disdegna la commercialità a fianco però di una profondità di temi e contenuti costantemente ricercata. Le opere di Van Sant raffigurano tematiche di disagio e sensi di non appartenenza, insofferenza alle leggi e cornici rassicuranti entro alle quali prendono vita malesseri striscianti pronti ad esplodere all'improvviso, e scavano nelle radici delle anime dei suoi protagonisti, anime estatiche e sublimi (il Matt Damon di Will Hunting ), sgretolate e crudeli (la Kidman di Da Morire ), disperate e urlanti di dolore (Matt Dillon in Drugstore Cowboys , Pitt nel recente Last Days ), catatoniche nel loro percorso verso l'autodistruzione (i ragazzi di Elephant , il compianto River Phoenix in Belli e Dannati ).

Uomini attanagliati dal desiderio di rivalsa verso un mondo inconoscibile, erranti in un purgatorio senza luce che trascende il road movie come viaggio alla ricerca di sé, imprigionati in corpi consunti, fragili, sporchi, imperfetti, inadatti, corpi già morti prim'ancora di cominciare. Quando Blake-Pitt-Cobain vaga per i boschi all'inizio di Last Days è in fondo già morto, è organismo estraneo alla pelle che lo contiene, è automa che si sforza di pensare senza più averne le capacità, e l'intera pellicola è un elogio funebre di un artista condannato (d)all'indifferenza. Anche nell'apparente immobilità narrativa della prima ora di Elephant si distende, in realtà, il compimento di un omicidio già avvenuto negli anni di insulsa normalità dell'adolescenza di ragazzi mai sbocciati, e lo stesso percorso di autocombustione di Phoenix in Belli e Dannati estremizza e al contempo rafforza la fine di ogni speranza di riscatto, una fine risalente a ben prima della collocazione temporale di cui il film tratta. Esistono varianti, nel cinema di Van Sant, esistono semi-eroi disposti a cambiare vita per lasciare alle spalle l'oblio e rinascere sotto nuova pelle (Keanu Reeves in Belli e Dannati e Dillon in Drugstore Cowboys ), così come appaiono figure celebrative della diversità e di una marginalità finalmente positiva (Cowgirls ), ma sono creature rare in un universo decolorato e decostruito nel nome di una sfida perduta.

Siamo in presenza di morti viventi obnubilati dalla sete di vendetta, nei cui rancori si esplicita la villania di una società imbolsita che soffoca sul nascere ogni tentativo di sfogo, e solo chi è eletto e superiore può trovare la propria strada, a patto però di immergersi in una purificazione spirituale lunga e faticosa. Per gli altri resta la dannazione, la morte in solitudine, l'apoteosi dell'incomunicabilità, il gesto estremo come unica glorificazione del proprio essere. Van Sant piazza la macchina da presa a pochi centimetri dai suoi corpi morti, li segue freneticamente e ossessivamente, quasi avesse paura di perderli e di non coglierne l'attimo fuggente, esagera sovente in ridondanze visive, sfiora l'obiettivo per poi cedere il passo a divagazioni ideologiche poco comprensibili e/o mal spiegate, si sopravvaluta in sequenze ardite che volano fuori controllo, ma è poi bravo a salvarsi in tempo (contrariamente ai suoi personaggi), e a non perdere le fila di un cinema che lascia in dote una sensazione di malessere diffuso e sibilante. Quello che Van Sant persegue nell'ultima fase della sua carriera – avviata nel 2002 -, è uno stile nervoso, incerto, che pedina gli attori per poi interrompere il flusso continuo di immagini in lunghe inquadrature fisse in cui pare che il regista ci dia (e si dia) il tempo di rifiatare, di strizzare le palpebre e tornare a contatto con la realtà, per poi rituffarsi con furia cieca nei percorsi accidentati che conducono i personaggi al compimento del loro destino.

Non casualmente, anche quando sceglie l'inconsueta strada del remake-fotocopia, Van Sant opta per un'anima dannata, il Norman Bates di Psycho . Altro inetto alla vita, nonché psiche perduta nei germi della pazzia, Bates è lo specchio dei futuri (e precendenti) personaggi della sua filmografia: racchiuso nella propria solitudine esistenziale, escluso dalla normalità di una società ostile, trova nello sdoppiamento di identità l'unico approccio alla diversificazione di una personalità deviata e defunta. Nei suoi occhi intrisi di smarrimento troviamo riflessi quelli di River Phoenix, esempio mai così sfortunatamente perfetto di fusione tra finzione e realtà, di Nicole Kidman, soffocata dalla spasmodica ricerca di un'esaltazione superomistica destinata soltanto all'illusione della felicità, di Matt Damon, genio triste costretto ad abbandonare i più umili amici d'infanzia e a covare fino all'ultimo fughe ribelli, di Robin Williams, professore segnato da una moglie perduta e da un sorriso mai più pienamente ritrovato, e dei ragazzi di Elephant , rappresentanti di un'umanità chiusa a riccio su se stessa e pronta ormai a collassare. Il Michael Pitt di Last Days è invece speculare a Will, spirito fragile ucciso dalla fama e dalla sete di potere di chi lo circonda, e accompagnato da una chitarra come unica ben accetta compagna nell'epifania del trapasso.

I corpi di Van Sant muoiono ogni giorno, mentre le loro anime continuano a danzare, in un viaggio irrisolto verso l'ignoto, e verso un cinema che s'interroga su se stesso cercando con coraggio e difficoltà la propria dimensione.

 


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