The Maltese Falcon di John Huston è il capostipite del noir anni Quaranta. Il plot non è inedito, dato che è tratto dall’omonimo romanzo di Hammett ed esiste già una riduzione cinematografica del 1931, ma è interessante analizzare un tema sotteso a tutta la vicenda e che si pone come vero tratto rivoluzionario: la misantropia. Per misantropia si intende il sentimento di avversione verso gli esseri umani, da cui deriva la diffidenza verso di essi e la conseguente scontrosità.
Nel film ne è il pilastro portante Sam Spade, interpretato magnificamente da Humphrey Bogart, detective poco amato e poco amante. Subito familiarizziamo col suo atteggiamento isolato e schivo, tanto che la sua segretaria deve dirgli che la nuova cliente è una knockout, una meraviglia, per farla ricevere. Quello della femme fatale pare rimanere il suo unico tallone d’Achille, fino alla scoperta che nemmeno la signorina O’Shaughnessy lo ha ingannato. Stupore deriva dall’atteggiamento del protagonista che non muta nemmeno di fronte all’omicidio del socio Miles Archer. Spade ha una relazione con la moglie del defunto, ma anche lei viene scacciata in fretta. È un mondo malvagio quello con cui Spade si trova a fare i conti, un mondo di clandestinità e di corrotti, di uomini che pensano solo ai propri interessi e che non hanno solidarietà l’uno con l’altro; semplicemente “gli altri” sono un mezzo per arrivare al proprio obiettivo, che è il medesimo per tutti, ovvero la soddisfazione del proprio desiderio/ossessione materiale che si configura nella statua del falcone. Il processo di focalizzazione interna, grazie al quale la conoscenza del pubblico è pari a quella del protagonista, ci costringe a vagare nel nulla di prove e parole senza alcun apparente significato. È a questo punto che Huston comincia ad insistere su primi piani e mezze figure di Bogie e ad accentuarne così la natura ambigua di uomo sicuro di sé, ma che in realtà ha bisogno (come tutti) del rapporto con gli altri. Spade non fa altro che analizzare le persone che lo circondano nell’affare del falcone; non cerca più prove o indizi materiali, bensì scava negli spazi mentali dei personaggi. Così, prima si prende gioco di Cairo e degli investigatori della polizia, poi disarma Wilmer, e infine smaschera Gutman e, amaramente, fa arrestare l’amata O’Shaughnessy, intervento tuttavia necessario per non intaccare la coerenza del suo ruolo.
Con questo film Humphrey Bogart viene consacrato a divo, e non ci sono dubbi che gran parte del fascino che destava sul pubblico all’epoca – e che ancor oggi non è scemato – sia dovuto molto alla misantropia che i ruoli affidatogli sprigionavano. Da Gli angeli con la faccia sporca a Ore disperate, con l’unica eccezione di Sabrina, i suoi personaggi sono tutti caratterizzati da un’accesa avversione nei confronti del prossimo, e raramente lasciano adito a speranze, come ci suggerisce l’ultima battuta del film riferita al falcone: "È pesante, di che materiale è?" "È la materia di cui sono fatti i sogni". Il finale non lascia scampo all’umanità, non ci sono illusioni e non vi sono amici. Gli occhi lacrimanti di Mary Astor mentre viene arrestata sono più che eloquenti in questo senso. Spade la guarda senza provare alcun rammarico, e se ne va da solo con in mano il falso falcone, simbolo di una speranza che non esiste, di quell’illusione che alimenta i sogni appunto, finché non ci si riavvicina alla realtà, nella quale ciascuno deve contare solo su sé stesso. Proprio come all’inizio, non c’è evoluzione, nulla è cambiato.
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