TOFIFE 2003 / Il rasoio di Buñuel - Alberto Farassino, Tatti Sanguinetti PDF 
di Francesca Togni   

Anche la capacità di inventare storie si può allenare. Nel bar dell'Hotel Paluar di Madrid, dove Luis Buñuel e Jean-Claude Carrière erano soliti incontrarsi per lavorare, al termine della giornata Carrière lasciava solo Buñuel per quarantacinque minuti. Al suo ritorno, Buñuel doveva raccontargli una storia, immaginata durante quei tre quarti d'ora passati a fantasticare. La storia poteva avere attinenza o no con la sceneggiatura a cui stavano lavorando e poteva essere di qualsiasi genere: l'importante era raccontarla.

È probabilmente il raccontare la chiave di lettura di questo documentario sul regista aragonese Luis Buñuel, l'omaggio del Torino Film Festival in ricordo di Alberto Farassino, critico cinematografico (e molto altro) di grandissima sensibilità da poco scomparso, che lo realizzò nel 1980 con l'amico Tatti Sanguinetti, su richiesta del regista Emidio Greco per la serie di Rai 2 "Uomini e idee del '900".

Nel documentario di montaggio si alternano i racconti di Serge Silberman, produttore di numerosi film di Buñuel, di Jean-Claude Carrière, suo sceneggiatore e amico e dell'attore Fernando Rey, intervistati da Farassino e Sanguinetti, le parole di Buñuel stesso (sorridente, parla con piacere del passato, dei film, delle persone che ha incontrato e che gli sono state vicine), ricavate da "Cinéastes de notre temps" di André Labarthe e le immagini di film come "Viridiana", "Estasi di un delitto" e "L'angelo sterminatore".

Fernando Rey, che Buñuel aveva scelto per un suo film dopo averlo visto nel ruolo del morto (Rey racconta questo episodio e ride, ancora oggi non se ne capacita, ripete: "Buñuel mi ha scelto dopo avermi visto in un film dove recitavo la parte del morto… ero morto, non mi muovevo, non dicevo niente… ma lui rimase impressionato…disse che lo facevo molto bene!"), ne parla con grande affetto e ammirazione, come di un uomo divertente e semplice, che lavorava con grande passione e con rispetto per i suoi collaboratori.
"Una volta durante la lavorazione di un film, Buñuel notò uno degli operatori che era salito sul tetto di una casa, senza protezioni, per riparare il set dal sole con un pannello - racconta Rey - Buñuel si infuriò moltissimo e non si calmò finché l'uomo non scese e fu al sicuro. Lui era così. Disse: un film non vale la vita di un uomo".

Buñuel si giudicava un pessimo attore ed era sempre molto felice quando gli interpreti dei suoi film capivano esattamente in che modo recitare un personaggio, o quando addirittura davano qualcosa di personale in più. Non amava ripetere troppe volte le scene, di solito per lui andava bene la prima.
Sempre Rey: "Una volta dovetti supplicarlo di farmi rifare una scena in cui ero stato davvero pessimo. Lui non voleva. Alla fine mi accontentò, e la ripetemmo, ma alla fine scelse la prima versione!"

Nelle parole di Jean-Claude Carrière viene fuori il Buñuel rilassato, che si gode i piaceri della vita: tabacco e alcolici. Buñuel amava i vini francesi e spagnoli, la tequila, il mezcal. Ma la sua bevanda preferita, oggetto di una vera e propria passione/ossessione, era il Martini Dry: gin, poche gocce di vermut e ghiaccio molto freddo e molto duro per evitare la più piccola goccia d'acqua.

Un Buñuel in bianco e nero racconta dell'infanzia "ai tempi del medioevo", a Calanda e Saragozza, della presenza opprimente e continua della morte, che "come nel medioevo, faceva parte della vita".
Uno dei suoi primi incontri con la morte fu a Calanda, durante una passeggiata col padre. Sentirono un odore ripugnante: intorno a un asino morto, gonfio e dilaniato, banchettavano avvoltoi e cani. Parla Buñuel: "Lo spettacolo mi attirava e mi ripugnava alla stessa maniera. Rimasi come affascinato da quella visione, intuendo, al di là della materia decomposta, un vago significato metafisico."

E tra i "ricordi del medioevo" ci sono ancora la fede e il sesso.
"L'onnipresenza della religione si manifestava in tutti i particolari della vita. Così, mi divertivo a celebrare la messa nella soffitta di casa davanti alle mie sorelle." Di fronte alla castità come maggior virtù, alla morte, alla fede opprimente, la gioia di vivere era ancora più forte e i piaceri aumentavano d'intensità quando si riusciva a soddisfarli. Ma, nonostante questo, Buñuel dice: "Per qualche motivo che mi sfugge, ho sempre trovato nell'atto sessuale una certa somiglianza con la morte. Un rapporto segreto, ma costante. Ho anche tentato di tradurre in immagini quest'inspiegabile sensazione, quando in Un Chien Andalou l'uomo accarezza il seno nudo della donna, e poi all'improvviso il suo volto diventa quello di un cadavere. Che sia perché, nell'infanzia e nella giovinezza, sono stato vittima della più feroce oppressione sessuale mai conosciuta nella storia?".

Nel documentario, Buñuel racconta anche degli anni di Madrid, dove studiò e fece la conoscenza, tra gli altri, di Federico García Lorca e Salvador Dalì. Lorca gli leggeva le sue poesie sul prato dietro alla residenza universitaria. Dalì, che si vestiva in modo buffo (cappello a larghe tese e cravattone a farfalla), detto scherzosamente "il pittore cecoslovacco", gli mostrava i suoi primi quadri. "Senza quegli anni alla residenza universitaria di Madrid, la mia vita sarebbe stata completamente diversa."

E un altro periodo fondamentale per Buñuel, di cui parla con malinconia e con affetto, fu quello relativo agli anni del surrealismo a Parigi. Il giorno della prima di Un Chien Andalou, film di Dalì e Buñuel autoprodotto grazie ai soldi della madre di quest'ultimo, Buñuel stava dietro allo schermo dello Studio des Ursulines con dischi e grammofono e le tasche piene di sassi da tirare al pubblico in caso il film non fosse piaciuto. Buñuel aveva sempre avuto una fortissima inclinazione per il sogno e la fantasticheria, il che è probabilmente il motivo principale che lo portò ad avvicinarsi al movimento surrealista. "Se dovessero dirmi che mi mancano vent'anni di vita e chiedermi cosa farei delle ventiquattro ore di ogni singolo giorno, direi: datemi due ore di vita attiva e ventidue di sogno, a patto di potermene ricordare".

Racconta ancora Rey: "Un giorno passeggiando con Buñuel, quando lui ormai aveva passato i settanta, vedemmo un uomo molto vecchio e debole camminare accanto a noi. Buñuel me lo indicò e disse: Hai visto Buñuel? Incredibile! E dire che l'anno scorso era ancora così forte! Che crollo!". Aveva un forte senso dell'umorismo, un'allegria sincera e innata. Una volta fece infuriare con una battuta un produttore messicano, che giudicò un suo film troppo breve: "Se è troppo breve, allora ci metterò un sogno!", gli rispose.

Salvador Dalì racconta a Luis Buñuel di aver sognato una mano piena di formiche. Buñuel dice a Dalì di aver visto in sogno una nuvola lunga e sottile che attraversa la luna e una lama di rasoio che taglia in due un occhio.
E se dai due sogni ricavassimo un film?

È proprio questa l'ultima immagine del documentario, realizzato con affetto e con una grande attenzione al Buñuel uomo e alle sue qualità, oltre che naturalmente all'ammirazione profonda per il suo cinema (durante la presentazione del documentario al Festival, Sanguinetti ricorda che, alla sede della Rai a Roma, chiusi in uno studio con Alberto Farassino, si disperavano nel dover scegliere immagini esaurienti avendo a disposizione solo cinque film di Buñuel: avrebbero voluto poter prendere qualche immagine da tutti!): la lama di un rasoio che taglia in due un occhio, forse la scena più celebre del Cane Andaluso, un'immagine coraggiosa, regalata a Buñuel da un sogno – sogno che forse era già, semplicemente, quello di fare cinema.

 


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