Product Tactical Unit PDF 
Mario Bucci   

Hong Kong, notte. Un carro carico di militari della PTU (unità speciale della polizia di Hong Kong) esce in perlustrazione con la radio accesa, che annuncia la morte di un loro collega. Gli uomini discutono sul morto, e sulla capacità di sapersi difendere, e saper ammazzare. L’aria è tesa, sembra quella di un funerale, e poco dopo, da un’altra parte della città, all’uscita da un punto di ristoro, il poliziotto Lo cade in una imboscata da parte di una banda di balordi, e gli viene sottratta l’arma di ordinanza. Il sergente della PTU decide di aiutarlo a ritrovarla. Intanto, il capo della banda di balordi, figlio di un boss, è stato ammazzato.

Un inizio così, degno del miglior noir, non sarebbe un film di Johnnie To se all’interno di questa sequenza di fatti non ci fosse il comico siparietto di telefonini che squillano nel ristorante tra il sergente Lo, il capo della banda e il suo assassino, e soprattutto se non ci fosse il capo della banda, con un coltellaccio da cucina che gli ha trapassato il torace da parte a parte, a correre in strada, chiamare un taxi e poi mettersi anche a guidarlo. Un gioco continuo di generi che su una traccia semplice (la ricerca di un oggetto, una pistola, come Mifune con Kurosawa in Cane randagio nel non lontano cinema nipponico), su un percorso lungo quanto una notte, un continuo prendere in giro (il cinema) che elabora meccanismi ed alchimie da fuori orario, che dal western al noir (la lunga sequenza dove tutti i reparti della polizia si incontrano, ognuno con un obiettivo diverso), dal grottesco al war movie (le metropoli come giungla, sempre più minaccia, sempre più in guerra), dal drammatico al comico (la caduta su una buccia di banana!), giocano con i gusti dello spettatore intrappolandolo in un interessante gioco di rivisitazione, come un bambino a bordo di un triciclo che, vista un’auto con un finestrino rotto, si mette a rubare al suo interno durante l’arrivo del mucchio selvaggio. Niente più è unico, niente più è cinema, tutto diventa “immagine e senso” che si ricreano in nuove forme, forse ibride, forse originali. C’è tutto dunque, nel primo quarto d’ora di PTU (2003) di Johnnie To, davvero tutto, e dopo c’è di più, forse il cinema, o forse solo il suo uso all’interno di un sistema più ampio di regole e mercati, dove ritagliarsi un proprio angolo di vendita.

PTU, visivamente, porta la firma di Johnnie To, una firma evidente ma poco originale, con un uso esasperato del grandangolo, del rallenty come forma estetica del racconto, di luci pop/televisive iperreali (scelta fotografica che verrà abbandonata dopo questo periodo intenso di lavoro/ripetizione), e che ha come esito immediato quello di riproporre un linguaggio tutto personale che oltre che tra i generi oscilla sempre anche tra altre visioni, senza mai davvero creare/mostrare qualcosa di nuovo. Dopo questa scorpacciata cinetica rimane anche la concreta capacità di questa assurda storia di stare tutta assieme (sceneggiatura di Yau Nai-Hoi e Au Kin-Yee), e di aver usato tutto il materiale a disposizione in maniera sempre narrativa: la scena comica del telefonino all’inizio, quando tra assassino, vittima e poliziotto squilla il telefono tre volte, una a testa, e tutti hanno la stessa suoneria, si rivela manifesto della struttura intera del film (storia a tre) e continuo snodo narrativo, considerato che il sergente Lo (Lam Suet, attore feticcio di To) metterà in atto un confuso scambio di telefoni che lo porterà al centro dell’intreccio narrativo, esaltandolo nel ruolo di una sorta di pistolero solitario (Leone/Kurosawa) in salsa comica all’orientale. Anche la lunga fuga del capobanda assassinato, con un coltellaccio conficcato nella schiena, perde il suo effetto splatter e diventa tema di una vendetta che solo a metà del film lascerà scoprire chi ne sarà l’oggetto.

I temi cari a Johnnie To (il tradimento, la vendetta ...) si ritrovano tutti anche in PTU, anche se meno approfonditi che in altre sue pellicole, dove emerge invece il tema dell’ordine come violenza, e soprattutto l’idea di una sorta di “guerra totale”. La visione alla quale si assiste, infatti, è quella di uno stato di guerra urbano, metropolitano, che mostra una sempre più cosciente militarizzazione degli spazi. Tutto questo perché PTU partecipa a quel filone “sulla ricerca dell’ordine” contro il quale Johnnie To si pone in maniera sicuramente originale nell’ampia produzione di “pellicole militari”, diffusa subito dopo l’11 settembre. Il regista di Hong Kong riesce infatti a porsi a volte con ironia, a volte con cinico silenzio (scena dello schiaffo nella sala giochi, con una cadenza che è una tortura), facendo da apripista a pellicole più mature e crudeli come il geograficamente lontano Tropa de Elitè – Gli squadroni della morte (2007) di Josè Padilha, pellicola brasiliana che, con il film di Johnnie To, ha in comune il mostrare l’uso estremo della violenza da parte dei militari, violenza che spesso viola qualsiasi forma di diritto e dignità.

L’evidente maturità di PTU sta dunque nell’aggiungere sempre un’ironia che assecondi le figure classiche del cinema di genere, riproponendole e riscoprendole. Spesso, infatti, i personaggi di Johnnie To sono protagonisti mancati, a volte davvero deboli, altre volte eroi antipatici (come faceva Peckinpah), incompleti, marginali, personaggi sempre in cerca di qualcosa, protagonisti del presente (del set) che guardano oltre, in direzione di un proprio obiettivo specifico. In PTU però, dove tutto sembra avere una forma caotica ma ben ordinata, e davvero poco rischia di sentirsi davvero buttato lì, un film dove chi ama il genere può davvero divertirsi per un’ora e mezza, c’è qualcosa che rimane più di altre, qualcosa che oltre le immagini s’insinua nel percorso di assimilazione dei dati, e che percepisci, man mano che la visione prosegue, come corpo estraneo al racconto: un fastidioso, pedante, continuo passaggio di loghi. La maggior parte dei film di To, infatti, ha sempre il difetto di non saper gestire visivamente il product placement (lui è spesso anche produttore con la Milkyway), sbattendo in faccia allo spettatore chi tira fuori i soldi per far girare la macchina del cinema. Questo enorme difetto rende Johnnie To un maestro all’interno del sistema produttivo cinematografico, ma anche un violento e cinico venditore. Il film, se rapportato al percorso creativo e produttivo del regista, risulta uno dei suoi migliori, soprattutto alla luce del fatto che To, nello stesso periodo in cui ha realizzato PTU, ha girato anche altre pellicole, per giunta nello stesso identico set (Running on Karma per esempio ha gli stessi esterni), oscillando sempre tra commedia, polar e noir. In certe cose ripetendosi. Come nella pubblicità. Un Product Tactical Unit, un’unità di tattica di prodotto all’interno del mercato delle distribuzioni cinematografiche mondiali.

TITOLO ORIGINALE: PTU.; REGIA: Johnnie To; SCENEGGIATURA: Yau Nai Hoi, Au Kin Yee; FOTOGRAFIA: Cheng Siu Keung; MONTAGGIO: Law Wing Cheong; MUSICA: Chung Chi Wing; PRODUZIONE: Hong Kong; ANNO: 2003; DURATA: 88 min.

 


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