Difficilmente, nel corso dei miei anni di spettatore affezionato, mi sono ritrovato particolarmente sconvolto da una pellicola. L’utilizzo stesso della volgarità come mezzo tendenzialmente comico non è mai stato motivo di disturbo, e spesso mi sono ritrovato a ridere, in proposito, dei pregiudizi di benpensanti e moralisti. Esistono però alcuni fenomeni che, pur in grado di strappare qualche momento di ilarità, non riescono neppure lontanamente a convincermi che si stia assistendo a qualcosa di particolarmente interessante, o anche semplicemente utile per un sano divertimento privo di un qualsivoglia impegno intellettuale. In Italia una reazione di questo tipo è innescata da prodotti come I soliti idioti, mentre guardando oltreoceano, od oltremanica, considerate le origini del loro protagonista, i primi titoli che mi tornano alla mente sono quelli portati sullo schermo dalla premiata ditta Larry Charles/Sacha Baron Cohen.
Fin dai tempi di Ali G non ho mai negato la chance di una visione al lavoro della strana coppia, e sempre dai tempi di Ali G non mi pare sia cambiato nulla rispetto al risultato ottenuto: la mancanza di misura e una volgarità che qui da noi potrebbe essere associabile ai peggiori tra i cinepanettoni finiscono per schiacciare sotto il loro peso anche gli spunti più interessanti e le riflessioni presenti dietro il nonsense e lo humour nero. Il Dittatore, ultimo prodotto di quella che potrebbe essere definita una serie, non è da meno: scritto per essere una sorta di parodia della situazione internazionale riferita alle tensioni tra l'Occidente a stelle e strisce e l'Oriente del petrolio, e una critica allo stesso sistema statunitense - uno dei pochi momenti effettivamente efficaci, con la descrizione di una dittatura confusa con quello che è, di fatto, il sistema politico e sociale made in Usa-, finisce per diventare una sorta di caricatura di se stesso almeno quanto il suo protagonista, un Baron Cohen che dai tempi delle sue prime comparse nei panni del già citato Ali G pare non essersi evoluto per nulla, come attore e come comico (ne è testimonianza anche la sua pessima performance legata al deludente Hugo Cabret scorsesiano). I momenti al limite dell'imbarazzo sono moltissimi, così come le scivolate nel cattivo gusto pronte a minare la credibilità di un film che fa tutto il possibile - e anche di più - per distruggere le poche idee messe sul piatto a suon di volgarità gratuite che, purtroppo, non risultano neppure così divertenti come vorrebbero essere (le leccate di ascelle o le classiche battute sempre attorno a razza e sesso finiscono per stancare quasi subito). E la stessa struttura della pellicola appare slegata e poco logica, come se un film demenziale debba essere necessariamente curato in maniera demenziale.
Osservando le peripezie di Aladeen mi è tornato alla mente un film passato, per assurdo, grazie a una pessima distribuzione e all’adattamento orrendo del titolo, quel Four Lions che ancora in moltissimi credono si tratti di una sorta di American Pie a sfondo terroristico. In quel caso, Christopher Morris prese un argomento scottante come quello della Jihad trasformandolo in un ritratto agghiacciante delle vite che la stessa Jihad ha inghiottito, soprattutto negli ultimi vent'anni, senza dimenticare, in tutto questo, un tocco sagace nella piena tradizione della comicità britannica. Quello che Baron Cohen pare essersi ormai lasciato alle spalle per trasformarsi in tutto e per tutto in un prodotto figlio della cultura che spesso e volentieri tende a sbeffeggiare.
Titolo originale: The Dictator; Regia: Larry Charles; Sceneggiatura: Sacha Baron Cohen, Alec Berg, David Mandel, Jeff Schaffer; Fotografia: Lawrence Sher; Montaggio: Greg Hayden, Eric Kissack; Scenografia: Victor Kempster; Costumi: Jeffrey Kurland; Musiche: Erran Baron Cohen; Produzione: Four by Two Films, Kanzaman; Distribuzione: Universal Pictures International Italy; Durata: 83 min.; Origine: USA, 2012
|