Donne senza uomini PDF 
Alice Sivo   

Quattro donne diverse per età, classe sociale e cultura, ma in fondo uguali perché imprigionate nella stessa gabbia, quella della società iraniana del 1953, a ridosso del colpo di stato, guidato dagli americani e appoggiato dagli inglesi, che depose Mossadegh, primo capo di governo democraticamente eletto in Iran, e restaurò lo Shah Reza Pahlavi. L’esordio alla regia della fotografa e video-artista Shirin Neshat (iraniana esule a New York) è un’opera che colpisce soprattutto lo sguardo. Inquadrature fisse si alternano a movimenti di macchina lenti e distillati. La studiatissima fotografia dà vita a quadri esteticamente affascinanti, in una predominanza di bianco e di nero macchiati da toni gialli e verdi.

Dentro questa cornice si affacciano quattro storie rappresentative e schematicamente esemplari. La trentenne Munis è divisa tra la voglia di esprimere la sua coscienza politica e l’oppressione di un fratello tiranno e tradizionalista; la sua amica Faezeh vive invece in maniera passiva la realtà sociale che la circonda, e non a caso è ottusamente innamorata del fratello di Munis; la prostituta Zarin, consumata nell’anima e nel corpo, non riesce né a parlare né a vedere i volti dei suoi clienti; Fakhri, borghese di mezza età, è la moglie insoddisfatta di un rozzo militare delle truppe reali. Per loro l’unica possibilità di essere libere è quella di allontanarsi dal mondo. Munis guadagnerà la libertà con il gesto più estremo, mentre le altre, guidate da una forza magica e irrazionale, si ritroveranno in un giardino, acquistato da Fakhri dopo aver lasciato il marito. Il ritorno alla terra e il ricongiungimento con la natura unirà i percorsi delle donne, che vivranno un momentaneo e felice esilio dal mondo esterno, protette dal muro di cinta del loro paradiso e da un vecchio giardiniere che sembra essere l’unico uomo di cui non aver paura.

Nella rappresentazione del giardino è racchiusa gran parte della simbologia del film. Luogo metafisico e mistico nella cultura persiana, spazio della trascendenza spirituale ma anche luogo che evoca i concetti di indipendenza e libertà. Fakhri, gentile ospite materna, accoglie nel suo rifugio Faezeh e Zarin. L’una potrà vivere liberamente la propria femminilità, l’altra scoprirà una fusione ascetica con la natura. Munis – che in un altro giardino, quello del fratello, ha trovato una sepoltura lontana dagli sguardi indiscreti – decide di vivere diversamente la sua libertà, possibile solo dopo la morte. Si unirà ai manifestanti nella capitale e riuscirà finalmente a far sentire la propria voce e ad esprimere le proprie opinioni. La festa finale organizzata da Fakhri, avvolta in un’atmosfera surreale che strizza l’occhio a Buñuel, culmina con l’arrivo dei militari che si uniscono agli ospiti in un impossibile banchetto, mentre a Teheran gli oppositori vengono fucilati.

Ispirato all’omonimo romanzo di Shahrnush Parsipur (che compare in un cameo nel ruolo della tenutaria del bordello), Donne senza uomini dimostra come un’innegabile attenzione formale e un nobile ed apprezzabile intento (il film è dedicato alla memoria di chi ha perso la vita nella battaglia per la libertà e la democrazia in Iran, dalla Rivoluzione Costituzionale del 1906 al Green Movement del 2009) non bastino per fare un grande film. La confezione accuratissima, “da festival” (e infatti a Venezia il Leone d’Argento non si è fatto attendere), la fotografia leccata e il minimalismo modaiolo delle musiche di Ryuichi Sakamoto finiscono alla lunga per allontanare dall’innegabile forza dei contenuti, e la scelta del registro magico, onirico e surreale toglie concretezza e rende troppo sfuggevoli le storie delle protagoniste, così come la Storia dell’Iran.

TITOLO ORIGINALE: Zanan-e bedun-e mardan; REGIA: Shirin Neshat; SCENEGGIATURA: Shirin Neshat, Shoja Azari; FOTOGRAFIA: Martin Gschlacht; MONTAGGIO: George Cragg, Jay Rabinowitz, Julia Wiedwald; MUSICA: Ryuichi Sakamoto, Abbas Bakhtiari; PRODUZIONE: Germania; ANNO: 2009; DURATA: 95 min.

 


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