Il quarto tipo PDF 
Angela Cinicolo   

Contaminato, metacinematografico, psicologico: questo mockumentary horror si colloca nella schiera di un nuovo genere che prova, invano, a reinventare il concetto di orrore presso le nuove generazioni, ribaltando esattamente i fondamenti del classico e tentando di aprirsi una strada sempre più battuta dai giovani registi. L’innovazione che destabilizza la tradizione solitamente s’inarca lungo la parabola del cinema del futuro, in cui la tecnologia, come in Avatar, dà un supporto all’immagine che, potenziata fino all’estremo, rafforza lo sviluppo narrativo e rinsalda il meccanismo cinematografico della doppia identificazione (sappiamo di essere al cinema, spettatori passivi di fronte al grande schermo, ma non possiamo fare a meno d’immedesimarci nelle storie e nei personaggi, partecipando attivamente come se fossimo nel film).

Con Il quarto tipo, film furbetto con l’aggravante dell’ambizione, Olatunde Osunsanmi si posiziona nella fila dei più riusciti The Blair Witch Project, che cita con un’operazione di copia e incolla integrale nella sequenza del rapimento dei tre protagonisti, privata però della materia visiva (resta solo la ripresa che, in questo modo, viene svuotata del suo significato linguistico), di Cloverfield e [Rec], i quali potevano contare su una sceneggiatura asciutta e perfettamente congeniata: è il cinema che persegue un obiettivo diverso, rendere materica la paura dell’ignoto – nel nostro caso delle abduzioni aliene – piuttosto che proiettarla sullo schermo. Se i film citati riescono in questo intento, complice anche la tecnica sporca della ripresa amatoriale, che avvalora l’effetto di realismo nella mente dello spettatore, questa pellicola, invece, se ne allontana fin dall’incipit, in cui la protagonista Milla Jovovic interpella direttamente il pubblico, violando la regola della distanza schermica e pretendendo di rivelare nel film una verità assoluta della storia, sulla quale tornerà a insistere alla fine.

La storia de Il quarto tipo, che ammicca nel titolo a Incontri ravvicinati del terzo tipo, con il quale è inutile fare confronti, sarebbe infatti ispirata liberamente a eventi realmente accaduti: a partire dagli anni Settanta pare che nel North Carolina, dietro la scomparsa di centinaia di migliaia di persone, ci siano incontri ravvicinati del quarto tipo con esseri non umani. Il regista Olatunde Osunsanmi sostiene che questa teoria fantascientifica sia documentata da materiali audio/video procurati dalla dottoressa Abigail Tyler e dalla polizia locale. Osunsanmi sarebbe entrato in contatto con la psicologa per caso fortuito nel 2004, mentre lavorava alla post-produzione del precedente The Cavern. La Tyler, che vediamo intervistata dallo stesso regista nel film, appare in precarie condizioni di salute fisica e mentale. Originaria di Nome, cittadina dell'Alaska, la Tyler ha assistito a una serie di sparizioni, omicidi e gravi incidenti che hanno iniziato a shockare molti dei suoi pazienti, ma anche la propria famiglia. La dottoressa ha scoperto qual è l’oscuro legame tra gli incubi delle persone e i guai che vi succedono; ha indagato, con il supporto dell’ipnosi, ed è giunta alla conclusione, vissuta sulla sua stessa pelle, che i cieli dell’Alaska siano meno sereni di quanto di giorno si possa immaginare scorgendoli.

Il plot ha un alto potenziale di presa sul grande pubblico, ma la sua messa in scena è artificiosa tanto nella rappresentazione quanto nello sviluppo. Girato a metà tra documentario e fiction, Il quarto tipo è giocato tutto sul doppio, continuo e ridondante, che però viene riprodotto contrapponendo semplicemente videoregistrazioni, vere o presunte, a interviste e immagini filmate dal regista con un’operazione di banalissimo split screen, realizzato con l’abilità di uno studente di regia alle prime armi, e un montaggio alternato in una struttura circolare. Per lo spettatore è difficile affidarsi così all’immagine, non gli resterebbe che abbandonarsi alla pulsazione epidermica del film. Ma Osunsanmi non spinge verso l’evoluzione nel suo racconto: la psicologa psicanalizzata è poco credibile, i rapimenti alieni si fermano ai soli segni archetipici ostentati senza tanta grazie, le citazioni di Twin Peaks e de L’esorcista restano sterili rimandi privi d’intensità e scevri di funzionalità, i personaggi sono macchiette anonime e per nulla convincenti. Viene da pensare che il cinema, malgrado gli strumenti a sua disposizione, sia stato superato per una volta dal piccolo schermo: gli episodi della serie Roswell o X-Files, diverse nel target e nei codici linguistici, sono infatti in grado di catturare l’attenzione dello spettatore e di convogliarla in meno di un’ora a una tensione o, quantomeno, ad una identificazione di gran lunga superiori. L’impressione, avvalorata senza difficoltà dalle prime scene e confermata nell’ultima bizzarra parte metafisico-religiosa, è che, vertendo a metà tra il falso documentario e la vera fiction, Il quarto tipo non riesca nemmeno a guadagnarsi la definizione di “film a metà” e che, ci dispiace dirlo, possa essere considerato a tutti gli effetti un falso film!

TITOLO ORIGINALE: The Fourth Kind; REGIA: Olatunde Osunsanmi; SCENEGGIATURA: Olatunde Osunsanmi; FOTOGRAFIA: Lorenzo Senatore; MONTAGGIO: Paul Covington; MUSICA: Atli Örvarsson; PRODUZIONE: USA; ANNO: 2009; DURATA: 98 min.

 


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