La fabbrica di cioccolato PDF 
di Maria Viteritti   

Zuccheroso come il cioccolato di Willy Wonka. È ad alto tasso glicemico l'ultimo film firmato da Tim Burton. Ma quando il miele è troppo, anche i dolci migliori risultano indigesti: e La fabbrica di cioccolato sembra destinato ad accontentare un pubblico di stomaci forti, composto dalle stesse persone che all'epoca di Nightmare before Christmas avrebbero procurato al film un Parental Rate, che ne compromise la distribuzione. Un film buonista con un finale che più anti-burtoniano non si potrebbe immaginare, se non fosse per i flash back che mostrano la verità sull'infanzia di Willy Wonka. Proprio nel fallimento del tentativo di far funzionare il rapporto tra padre e figlio - irrisolto nei frammenti di storie diverse che non possono combaciare - il suo film trova un'áncora di salvezza. E con lui anche i suoi protagonisti, che rischierebbero di annullarsi nella tragicità di un traballante accomodamento famigliare.

L'infanzia di Willy Wonka
Perché il personaggio affidato a Johnny Depp chiude un ciclo immaginario aperto nel 1990 da Edward mani di forbice. Quindi anni prima di WIlly, dolci, utensili da cucina e improbabili invenzioni culinarie ruotavano attorno all'inventore-papà di Edward, interpretato da Vincent Price. Con l'ultimo film di Burton, Edward resuscita, prende una rivincita sulla logica del "non ritorno" che lo ha isolato in cima al castello dopo la morte del rivale in amore, e, prima ancora, del suo creatore. Da invenzione, Edward si evolve in creatore. Ma il suo destino in fondo non è meno tragico rispetto al primo film che ha segnato il sodalizio Tim Burton-Johnny Depp: se l'Edward di allora perdeva la possibilità di vivere il proprio futuro, cristallizzandosi nei ricordi felici che lo circonderanno per sempre nel castello, quello di adesso guadagna un futuro sereno perdendo l'infanzia.

Il padre
L'accomodamento finale tra Willy e il padre-dentista, che cerca di ostacolare i suoi sogni di pasticcere, non sembra altro che un'estensione del finale di Big Fish. Ma proprio il penultimo film di Burton rappresentava l'unico esempio nella sua produzione in cui i genitori non si presentavano ai figli come antagonisti dai fini incomprensibili. In questo senso, La fabbrica di cioccolato fa un passo indietro. Il nome stesso del protagonista segna un'inversione di marcia: Willy, come il figlio scettico del protagonista di Big Fish, e non più Edward il sognatore. Questa volta, la distinzione tra giusto e sbagliato non è più scontata. I flash back in cui Willy Wonka si trova intrappolato mostrano uno dei suoi personaggi più desolati, un bambino costretto in una specie di ghigno agghiacciante dall'assurdo apparecchio che porta ai denti. Non a caso quel bambino ci viene presentato durante la notte di Halloween, il mondo del "Tutto e del suo contrario" che accompagna tutte le vittime burtoniane (Jack in Nightmare before Christmas, Victor in Frankenweenie, Ed e Bela in Ed Wood, ecc.). Del resto, come ogni freak creato dalla macchina da presa del regista, anche il piccolo WIlly Wonka è circondato da ombre destinate ad un tragico epilogo.

Le ombre del passato.
Sono spettri di bambini abbandonati a sé stessi, quelli che riemergono ad anni di distanza dall'infanzia tragica di Willy, nel momento in cui apre la sua fabbrica a cinque visitatori che concorreranno per aggiudicarsi un premio speciale. Sono gli stessi bambini mostruosi che attorniano i protagonisti di The World of Stainboy, serie multimediale prodotta da Burton nel 2000 per la Shockawave, e la raccolta cartacea Morte malinconica del bambino ostrica. In entrambi i casi, compagni di avventure di Stainboy o del bambino ostrica, amici o avversari che fossero, avevano le fattezze di Stare Girl ("La ragazza che fissava"), Persico, il bambino tossico, la Regina puntaspilli o Jimmy, l'orribile bambino pinguino, sviluppato in Batman Returns. Ragazzini dalle fattezze mostruose che nella serie Stainboy vengono abbandonati dai genitori in un istituto chiamato "Charity home for unusual cases". Il protagonista, super-eroe più nerd mai ideato, sconfiggerà in seguito molti di loro, i cui pericolosi poteri minacciano la città. I quattro ragazzini che sfidano Charlie sono una versione aggiornata di quei freaks: non è un caso che lo scarico della ditta rigetti un'ostrica, come quella che conteneva Sam, mentre risucchia Veruca. Ma come per i ragazzi di Stainboy e Morte malinconica del bambino ostrica, anche gli avversari di Charlie non hanno colpe, se non quella di essere trascurati dagli incomprensibili genitori che gli assistono nella sfida.

Il paradosso
L'esperienza all'interno della Disney resta, per molti versi, un'incognita nell'attività del regista. Un'incognita che risale al 1977, quando Burton entra a far parte del CalArt (California Institute of The Arts), l'accademia privata di Belle Arti costituita a Burbank nel 1961. Fondato dai fratelli Walt e Roy Disney, il CalArts è la prima scuola negli Stati Uniti a rilasciare lauree di primo e secondo livello in discipline artistiche legate allo spettacolo. Quando Burton viene ammesso, nel '77, grazie a una borsa di studio, nell'istituto è attivo da due anni un corso speciale per la formazione di futuri animatori. Arruolato alla Disney, il regista viene a lungo sottoposto a quella che successivamente definirà una "tortura": disegnare volpacchiotti ammiccanti, rinunciando alle proprie idee creative. I dirigenti degli studios, pur riconoscendo il talento di Burton, considerano gli strani mostri surreali che passa il tempo a inventare, "un po' troppo fuori di testa". Ad aprirgli un primo varco verso un mondo alternativo è, nel 1982, Vincent, cortometraggio di sette minuti che unisce l'animazione bidimensionale alla tecnica della stop-motion. Una sorta di omaggio a Vincent Price, i cui film hanno in qualche modo garantito la sopravvivenza all'infanzia di Tim. Nell'82 Burton porta a termine un secondo progetto, basato su una serie di disegni precedentemente realizzati: il film televisivo Hansel and Gretel, per l'emittente televisiva Disney Channel. La rivisitazione della celebre favola dei fratelli Grimm, viene trasmessa una sola volta per Halloween, per poi cadere nell'oblio. "Disney - racconterà in seguito Burton - era probabilmente quanto di più vicino alla vita militare mi capiterà mai di conoscere. Gli insegnanti erano gli animatori Disney, e ciò che insegnavano era la filosofia Disney".

Conclusione
"[…] forse c'è sempre stato un lato oscuro nella Disney, anche nei primissimi film… certo sotto un buono strato di sdolcinato sentimentalismo, ma è sempre lì. In alcuni dei loro film lo si avverte premere. Oggi, forse, traspare maggiormente". Forse la morale di questa favola apparentemente traboccante di morale sta proprio nell'assenza di significati. Perché se di fase di passaggio non si tratta, forse è questo il tragico epilogo di Tim Burton. Se il regista aveva finora abituato il suo pubblico a tragedie infantili mai superate in età adulta, in La fabbrica di cioccolato offre a quello stesso pubblico la possibilità di vivere in prima persona la tragedia per antonomasia. Quella di un'infanzia felice.

 


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