Cesare deve morire PDF 
Andrea Mattacheo   

Paolo e Vittorio Taviani fanno parte di quella generazione di registi italiani che - memore della straordinaria lezione neorealista - ha creduto con ostinazione che il cinema potesse e dovesse raccontare in maniera fedele la realtà, rendendo giustizia alle vittime nascoste del mondo in cui viviamo attraverso la rappresentazione. Registi di un cinema che non ha dunque eretto altari barocchi alla finzione, ma ha saputo usare l’artificio come arma sociale in una lotta per far emergere alla superficie del visibile e dell’immaginario i luoghi, i volti e le storie nascosti dall’istituzione, dalla Storia ufficiale, dal potere (Un uomo da bruciare, I sovversivi, San Michele aveva un gallo, Allosanfan, La notte di San Lorenzo). Questa sincera adesione alla realtà - una partecipazione politica che riesce, grazie a una genuina onestà, a farsi emotiva - è ciò che salva Cesare deve morire. Lo salva dall’apparire facile, ridicolo, televisivo, e lo rende a tratti un’opera di commovente  potenza.

I  Taviani sono da subito completamente trasparenti nell’esporre allo spettatore il motore della macchina narrativa alla base del loro film. Lo fanno per mezzo della più semplice e chiara tra le scelte estetiche, quella dell’opposizione bianco e nero/colore. Da una parte c’è il reale, la macchina da presa lo documenta a colori - come lo vede l’occhio -, dall’altra c’è il racconto del cinema, in bianco e nero, che è una finzione ma ci parla di quel reale e con esso intrattiene un legame impossibile da sciogliere. Non c’è in Cesare deve morire la furbizia, spesso anche raffinata, di tanto cinema contemporaneo sospeso, falsamente in bilico, tra realtà e fiction. Non c’è perche i suoi registi sono completamente ingenui - di un’ingenuità certo non frutto dell’inesperienza, ma espressione di una fiducia totale nell’ontologia del mezzo -, convinti che l’universo delle carceri, rimosso dalla coscienza attraverso le rassicuranti divisioni tra buoni e cattivi, urli qualcosa che solo il cinema può raccogliere. Urla infatti la voglia di vivere ancora, malgrado la colpa, scritta nei visi scavati dei carcerati attori, urla la loro partecipazione emotiva a un testo (il Giulio Cesare di Shakespeare) nel quale si ritrovano senza avere le parole per spiegarlo, urlano loro, liberi almeno per un attimo, alla fine di una messa in scena che non solo rappresenta la catarsi ma è capace, proprio come nell’ottimismo del disegno aristotelico, di essere catartica, per chi la osserva e anche, soprattutto, per chi la recita.

E allora poco importa che spesso nelle parole dei detenuti si avverta la mano pesante degli autori, che quelle ricostruzioni di vita carceraria troppe volte sembrino artificiose, fuori luogo, imbarazzanti. Cesare deve morire non è un film da guardare con lo scetticismo razionale di una coscienza cinica, incapace di andare oltre pregiudizi estetici, ma un film da sentire nello stomaco: il volto di un uomo che sembra un quarantenne, una didascalia rivela che è un ragazzino di vent’anni, da quanti chissà in carcere, FINE PENA MAI, dice ancora la didascalia. Può la pena di un bambino non finire mai? Esiste qualcosa di così grave da lasciare sulle spalle di qualcuno una colpa infinita? E come si può andare avanti? Perché il tempo, la vita, anche in una pena senza fine, vanno avanti senza pietà. Ci sono situazioni dalle quali scaturiscono gesti che lasciano cicatrici indelebili, c’è un passato con cui è quasi impossibile scendere a patti: di questo parla il Giulio Cesare. I detenuti di Rebibbia si sono impossessati di un testo che ha più di quattrocento anni, entrando nelle strade della Roma di Shakespeare, non così diverse da quelle di una qualsiasi periferia italiana. E lo hanno restituito con una forza disturbante. Tanto basta per fare di Cesare deve morire un film che serve, e ci serve vedere. Niente di più ma anche niente di meno.     

Titolo originale: Cesare deve morire; Regia: Paolo Taviani, Vittorio Taviani; Sceneggiatura: Paolo Taviani, Vittorio Taviani; Fotografia: Simone Zampagni; Montaggio: Roberto Perpignani; Musiche: Giuliano Taviani, Carmelo Travia; Produzione: Kaos Cinematografica, Stemal Entertainment, Le Talee, La Ribalta-Centro Studi Enrico Maria Salerno, Rai Cinema; Distribuzione: Sacher Distribuzione; Durata: 76 min.; Origine: Italia, 2012

 


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