Correva l’anno 1985 quando Michael J. Fox esprimeva nel celebre Ritorno al futuro il proprio disappunto nel constatare che Doc, il suo amico scienziato, avesse costruito una macchina del tempo con una Delorean. Altre volte il cinema ha adattato all’uopo curiose navicelle, porte di passaggio scavate nello spazio-tempo o una semplice amaca, come nello splendido e poetico La Jetée del documentarista francese Chris Marker. Steve Pink, invece, al secondo lungometraggio dopo la commedia adolescenziale Accepted (2006), propone con Hot Tub Time Machine (2010) un viaggio nel tempo a bordo di una Jacuzzi!
Il titolo palesa la chiara vocazione demenziale dell’operazione, che in ogni modo si rivela estremamente godibile e innesca per la gioia dei nostalgici una serie di spassosi cortocircuiti con il cinema ottantiano forse meno impegnato ma di sicura presa sul pubblico. Il plot si sviluppa intorno alle meste vite di Adam (John Cusack), abbandonato dalla sua ragazza e obbligato a vivere con suo nipote Jacob (Clark Duke), un nerd di prima categoria, Nick (Craig Robinson), ossessionato dai tradimenti di sua moglie, e Lou (Rob Corddry), un alcolizzato che ormai pensa al suicidio come unica soluzione. Questa patetica congrega di derelitti, solo un pallido ricordo dell’allegra brigata senza pensieri dei tempi che furono, si ritrova unita proprio in occasione del malcelato tentato suicidio di Lou per provare a recuperare un po’ del sale della perduta gioventù con un’incursione al Kodak Valley Ski Resort, teatro anni prima, nel 1986, di una proverbiale vacanza invernale che tutti (a parte Jacob ovviamente) ricordano con nostalgia. Come prevedibile, appena immersi nella vasca da bagno annunciata nel titolo, i quattro vengono catapultati indietro nel tempo e tornano al mitico 1986, ringiovaniti nell’aspetto (ma solo per gli altri) e destinati a rivivere proprio l’inverno che in un modo o nell’altro aveva spinto i rispettivi destini fino alla triste deriva attuale. Ognuno avrà modo di affrontare i propri demoni e, proprio grazie al paradosso temporale, di tornare al presente modificandone, ovviamente in meglio, le coordinate. Se lo sviluppo della vicenda segue lo schema classico, il ritmo folle, sfrenato, ha garantito alla commedia farsesca di Pink un discreto successo di pubblico. La presenza nel cast di uno stranito Chevy Chase nei panni di un tecnico idraulico (che si rivela anche guida spazio-temporale) è senza dubbio garanzia di divertimento, così come è da segnalare il ruolo spassoso, seppur secondario, affidato a Crispin Glover, che interpreta il facchino mutilato Phil citando di continuo George McFly (il padre di Michael J.Fox nel già citato Ritorno al futuro), il ruolo che lo ha reso celebre.
Ora più che mai, dunque, il cinema del presente guarda al passato, ne rielabora i codici e affonda le mani in quel tesoro che è la mitologia generata dai cult movies. Questo senza azzardare una diagnosi, senza voler cercare ad ogni costo una patologia e senza voler per forza constatare la precarietà dello stato di salute della settima arte. Insomma, siamo uno step oltre la rielaborazione ludica del postmoderno, e nella deriva metatestuale della pellicola di Pink l’autoreferenzialità del cinema è votata al puro intrattenimento più che alle riflessioni sulle potenzialità del mezzo. Del resto il ritorno al passato è in ogni caso un ri-vedersi.
TITOLO ORIGINALE: Hot Tub Time Machine; REGIA: Steve Pink; SCENEGGIATURA: Sean Anders, Josh Heald, John Morris; FOTOGRAFIA: Jack N. Green; MONTAGGIO: George Folsey Jr., James Thomas; MUSICA: Christophe Beck; PRODUZIONE: USA/Canada; ANNO: 2010; DURATA: 100 min.
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