Rock of Ages PDF 
Simone Dotto   

Nel 1984 Rob Reiner catturava in diretta il fenomeno hair-metal inventandosi un complesso, gli Spinal Tap, per un altrettanto immaginario rockumentary. Con la grana realista del live footage, This is Spinal Tap non si limitava a travestire da documento una parodia, ma dimostrava in maniera pressoché scientifica come pochi stereotipi messi al punto giusto bastassero a costruire una mitologia da rock band, “credibile” quanto basta per far seguire alcuni dischi a proprio nome. Spostando l’azione di soli quattro anni in avanti - e con una differita di un quarto di secolo -, Rock of Ages in un certo senso riparte da lì: la band degli Arsenal, attorno alla quale ruota tutto il film, potrebbe tranquillamente ritrovarsi a condividere il palco assieme ai metallari raccontati da Reiner: fa fede il calco dei due ‘inossidabili’ loghi, a loro volta rimodellati su chissà quante copertine d’epoca.

Certo, di realismo, anche simulato, da queste parti non c’è traccia: trattasi infatti di un Broadway Musical in piena regola, per mano di chi a suo tempo portò Hairspray di John Waters sul grande schermo. Del resto cos’erano i grandi show circensi portati avanti da Poison o Twisted Sisters, e dagli altri nomi che qui prestano le musiche, se non dei cover musical (nel senso di musical con canzoni già edite, ma anche di “spettacoli da copertina”, tanto pirotecnici quanto patinati)? La fattispecie ci presenta una bionda boccolona di campagna (Julianne Haugh) approdata nella grande città, dove puntualmente cade tra le braccia del bel barista che sogna da rockstar (Diego Boneta). Sopra il loro avversato amore grava il mito in picchiata di Stacey Jaxx (sorta di Axl Rose in filigrana, ma con il volto di Tom Cruise) e la roboante routine del Bourbon Club, in lotta contemporaneamente con il fisco (“le tasse sono l’anticristo del rock”…) e una nuova amministrazione di stampo presumibilmente raeganiano, che della medaglia edonista del glam, a dire il vero, non fu che l’altra faccia, come anche il finale si premurerà di svelare.

Al di là delle più o meno azzeccate strategie commerciali, esiste forse una ragione per cui fare uscire proprio ora nelle sale una storia ispirata alle rockstar cotonate degli anni Ottanta. Perché è affare del cinema, almeno quanto del mainstream musicale, quella ventata di nostalgia per un certo glamour che faceva (video)cassetta e che, si crede, non tornerà più. Provate, tanto per esercizio, a mettere in fila tutti i muscolosi protagonisti degli action movie di allora tornati a far capolino, senza preoccuparvi di fare la tara tra i tardivi prosieguo delle serie di Rocky e Rambo (attualmente in  lavorazione), gli all-star revival di The Expendables o le opere d’autore costruite intorno alla figura dell’eroe degli eccessi come fu The Wrestler, solenne requiem firmato Aronofsky per gli anni eroici di Mickey Rourke. Fu proprio il suo personaggio a decantare l’età dell’oro in cui tutti ascoltavano Guns n’ Roses, Motley Crue e affini e non chiedevano “altro che divertirsi”. E “Is nothing but a good time” è anche lo slogan che campeggia sulla locandina di Rock of Ages, che in compenso non sembra voler concedere ai ruggenti Ottanta nessun velo di malinconia. L’unica presa di distanza consiste nell’uso di una certa ironia “camp”, che salva un paio di scene piuttosto avulse dal contesto (quella di sesso acrobatico tra la star e la giornalista e il duetto gay tra i gestori del locale), ma non la prestazione dei protagonisti: perché non è facile dare lezione di autoironia a una diva come Catherine Zeta Jones - se di cognome non fai Coen - e tantomeno a qualcuno che non ha mai cambiato espressione facciale dai giorni di Top Gun

Per il resto la pellicola di Reiner si riconosce appieno nell’estetica raccontata e la sfrutta come materia narrativa, un pretesto per mettere in scena l’ennesima teen story musicata e spedire qualche vecchia stella in seduta di recupero. Più preoccupante, casomai, il fatto che una musica un tempo così “potente” ora si faccia imbrigliare di buon grado, senza pretendere di essere lei a dettare il ritmo e il carattere del film. Con buona pace dell’immancabile anatema finale (l’amore vince sempre e “rock’n’roll will never die”, manco a dirlo), operazioni come questa stanno qui proprio a dimostrare che il rock - o almeno quel tipo di rock, tutto sbronze-droghe e pailettes - è invece bello e sepolto, mangime per gli avvoltoi più revivalisti di Broadway. Così è, ahinoi, e chi si ostina a non volerlo credere è già pronto per il sequel.

Titolo originale: Rock of Ages; Regia: Adam Shankman; Sceneggiatura: Justin Theroux, Chris D'Arienzo, Allan Loeb; Fotografia: Bojan Bazelli; Montaggio: Emma E. Hickox; Scenografia: Jon Hutman; Costumi: Rita Ryack; Musiche: Adam Anders, Peer Astrom; Produzione: New Line Cinema, Corner Store Entertainment, Material Pictures, Offspring Entertainment, Maguire Entertainment; Distribuzione: Warner Bros. Pictures Italia; Durata: 123 min.; Origine: USA, 2012

 


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