Let It Be - Un giorno con i Beatles PDF 
Tiziano Colombi   

Come si fa un film sui Beatles? Si va in studio con loro e si riprendono i quattro mentre confabulano, strimpellano, compongono, fumano e registrano. Poi, si vince un Oscar per la miglior colonna sonora. Facile direte voi, stai lì con la camera a filmare McCartney che accenna al piano Let it Be mentre Lennon osserva sornione ed è fatta. Albori di un genere. Michael Lindsay-Hogg gira Let It Be nel 1969 e, forse senza nemmeno accorgersene, mette in scena un momento epocale nella storia della musica. Oltre alle riprese dei Fab Four in sala prove, infatti, il regista imprime sulla pellicola l’ultima esibizione live dei quattro futuri baronetti. Il 30 gennaio di quell’anno, infatti, sul tetto del loro quartiere generale, la Apple Records, al numero 3 di Savile Row, a Londra, i Beatles si esibirono per l’ultima volta dal vivo. Non è chiaro se i musicisti fossero consapevoli che quello sarebbe stato il loro live di addio, resta il fatto che Lindsay-Hogg era lì, pronto con la sua attrezzatura. E il tempismo gli è valso un posticino nella Storia. I quaranta minuti con le riprese del concerto furono essenziali per poter montare un prodotto adatto alla distribuzione, avvenuta l’anno successivo, nel 1970.

Let it Be non è un film di Julien Temple, il regista inglese de La grande truffa del rock'n'roll (1980), Sex Pistols - Oscenità e furore (1999) e Joe Strummer - Il futuro non è scritto (2007), veri e propri documentari storico-musicali. Si tratta piuttosto di un “istant-movie” dettato dalla passione e dall’occasione. Poco il materiale rielaborato, selezionato e passato al vaglio di un montaggio narrativo. Let It Be ha l’approccio di un super 8 da vacanze in famiglia, fissa un momento, un tratto di storia della musica, uno spazio irripetibile, con le inquadrature sghembe del padre di famiglia che non vuole perdere le smorfie dei figli piccoli. La fotografia è sgranata, l’audio bilanciato quanto basta: Let It Be è un documento prima che un’opera cinematografica. Forse l’inizio di un genere? Difficile dirlo. Gli archivi lo definiscono l’ultimo atto della filmografia dei Beatles, e tanto basta.

Oggi il neologismo rockumentary è etichetta nota. Molti i registi che si sono cimentati nella messa in scena della musica. Rimane il dubbio su quale tipologia di narrazione identifichi tale definizione. Le riprese stratosferiche di un mega concerto tipo Pink Floyd: live at Pompei (1972), il missaggio di immagini del tour con backstage, interviste e racconti dei membri di un gruppo come in Iron Maiden: Fligth 666 (2009), o il disfacimento e la ricomposizione di uno delle più grandi band metal della storia, i Metallica, in Any Kind of Monster (2004)? Vista così pare ci sia spazio per tutto. Non mancano nemmeno i grandi maestri come Martin Scorsese, tra i primi a spingere il genere oltre i dvd prodotti dalle singole band per la gioia ristretta dei loro ammiratori. L’ultimo valzer, film concerto presentato a Cannes nel 1978, seguito dal documentario No Direction Home: Bob Dylan (2005), Shine a Light (2008), ricavato dal live dei Rolling Stone ripreso al Beacon Theatre di New York il 29 ottobre e il 1 novembre del 2006 (finisce nelle sale con un buon esito al botteghino), fino all’ultimo Living in the Material World (2011), monumentale biografia visiva di George Harrison. Un altro autore che con la musica ha sempre avuto una relazione privilegiata è l’hollywoodiano Cameron Crowe, di recente dietro la macchina da presa per i Pearl Jam. Risultato Twenty (2011), omaggio alla ventennale carriera del gruppo di Seattle. Certo, quelli elencati sono prodotti diversi dalla presa diretta di Let It Be, al quale calzerebbe bene il termine “seminale”, molto usato nelle fanzine musicale indipendenti. Vocabolo il cui significato avrebbe la pretesa di riassumere l’onestà e la passione vera nascoste dietro produzioni a basso budget e con poche preteste stilistiche. Per intenderci, quelle che parlano allo stomaco più che all’occhio dello spettatore.

Titolo originale: Let It Be; Regia: Michael Lindsay-Hogg; Fotografia: Anthony B. Richmond; Montaggio: Tony Lenny; Produzione: Apple Corps; Distribuzione: Dear UA; Durata: 81 min.; Origine: Gran Bretagna, 1970

 


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