Un tranquillo paese della provincia americana, una famiglia apparentemente felice nella sua prevedibile quotidianità, un lavoro semplice in grado di fornire una certa sicurezza economica. Sono questi gli ingredienti della vita di Curtis La Forche, operaio di una piccola industria mineraria nell’Ohio, d’improvviso catapultato in un incubo apocalittico dal quale non riuscirà più a sottrarsi. Take Shelter, di Jeff Nichols, mette in scena una paura ancestrale, che lentamente corrode certezze, amicizie, futuro. Sogni inquietanti, eventi improvvisi che progressivamente minano la gioia di vivere, la speranza in un domani, la fiducia negli altri: sogni in cui Curtis presagisce un’imminente catastrofe, che non solo spazzerà via tutte le cose che lo circondano, ma che influirà profondamente anche sulle persone a lui più care, tramutandole in nemici, in un pericolo da cui dovrà difendersi con tutte le sue forze. Divorato dal dubbio e dal sospetto che queste visioni non siano altro che episodi psicotici privi di alcun fondamento nella realtà, Curtis prenderà progressivamente consapevolezza della veridicità delle sue premonizioni, convincendosi della necessità di dover agire per proteggere se stesso e la propria famiglia.
L’opera di Nichols fa leva sui timori della società americana contemporanea, l’incertezza di un mondo sull’orlo della distruzione finale, la precarietà di un avvenire appeso a un filo e il senso d’impotenza dell'individuo nel contrastare eventi che sfuggono al suo controllo. Una lotta impossibile, condannata a non trovare riscontro negli altri, come avvenne ai tempi del mito per Cassandra, che nelle sue infauste, e inascoltate, profezie trovò un tragico destino. Se le premesse, dunque, puntano in alto, il risultato purtroppo non convince fino in fondo. La metafora è troppo esplicita e non riesce a emergere naturalmente dall’opera filmica, manifestandosi piuttosto come una presa di posizione a priori, atta a instaurare un parallelismo esteriore con il senso di insicurezza che affligge oggi il mondo occidentale. Da questo punto di vista non si può non instaurare un seppur rapido paragone con Melancholia di von Trier, opera di tutt’altro spessore, nella quale il senso di un’umanità alle prese con una fine incombente muoveva innanzitutto dalle immagini, dai simboli e dal ritmo, rifiutando una più facile e univoca esposizione narrativa.
Vero è che Take Shelter può essere vissuto anche come un semplice thriller metafisico, in grado di instillare una buona dose di tensione nello spettatore per tutto l’arco della sua durata. Ma anche in questo caso l’operazione non va completamente a buon fine: la scrittura è spesso piatta e i personaggi non solo si prendono troppo sul serio, ma agiscono monodimensionalmente, privi di una dinamica interiore tale da renderli veramente interessanti: se Curtis è preso unicamente dalle sue ossessioni, Samantha, la moglie, è succube dei cambiamenti di stato del marito, dimostrandosi priva di qualsivoglia autodeterminazione; la figlia Hannah, del resto, con la sua disabilità, è semplicemente in balia di quanto le accade attorno, e gli amici, i colleghi e i parenti della famiglia La Forche appaiono e scompaiono senza imprimersi nella memoria. Anche il quadro stilistico, invece di lasciare nell’indeterminazione il confine che separa la realtà dall’allucinazione, opta alla fine per una netta demarcazione, sfumando quel senso di ambiguità che avrebbe potuto prolungare un senso di inquietudine strisciante ben oltre l’accensione delle luci in sala. In sostanza, il film di Nichols delude, più che altro per il senso di occasione perduta che lascia, per l’incapacità di mantenere le promesse formulate all’inizio.
Titolo originale: Take Shelter; Regia: Jeff Nichols; Sceneggiatura: Jeff Nichols; Fotografia: Adam Stone; Montaggio: Parke Gregg; Scenografia: Chad Keith; Costumi: Karen Malecki; Musiche: David Wingo; Produzione: Hydraulx Entertainment, REI Capital, Grove Hill Productions, Strange Matter Films; Distribuzione: Movies Inspired; Durata: 120 min.; Origine: USA, 2011
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