Palombella rossa PDF 
Marco Doddis   

“Ecco chi sono! Sono un comunista!”. Frasi forti, politica, amnesie provvidenziali e catartiche: Palombella rossa si nutre di questi ingredienti; ingredienti semplici, mescolati dall’appassionato surrealismo del suo autore e capaci di dar vita a un mix esplosivo. Correva l’anno 1989, quando il film apparve nelle sale. Con quest’opera, Nanni Moretti riuscì a trovare la proverbiale quadratura del cerchio: portò, cioè, a compimento il suo processo di maturazione artistico e intellettuale. “Ecco chi sono! Sono un comunista!”: bastano sei parole per iniziare, per dare subito la misura, il senso di una composizione caleidoscopica. Dopo pochi minuti di immagini, il protagonista (Michele Apicella, storico alter ego morettiano) inizia il suo personale percorso di auto-agnizione, che lo porterà a uscire da uno stato di amnesia. Lo fa con una di quelle battute che tutti, anche i non “morettofili”, hanno sentito una volta nella vita. Quel “Sono un comunista!”, così profondo nella sua banalità (fa sorridere, ma a qualcuno può anche far tremare i polsi) rientra tra gli aforismi dell’“uomo Sacher”, quasi al livello di “Giro... vedo gente... mi muovo... conosco... faccio delle cose” (Ecce Bombo) e di “D’Alema, di’ una cosa di sinistra!” (Aprile). L’esclamazione racchiude in sé tutta l’essenza costitutiva della pellicola, chiarendo sin da subito la varietà dei suoi livelli di lettura: ci parla dello smarrimento dell’uomo Apicella, ma anche di quello del regista Moretti; fotografa un intero popolo, quello “rosso”, impotente di fronte alla Storia, e, al tempo stesso, costituisce un timido tentativo di superamento del travagliato presente.

La vicenda è nota. Il protagonista è un politico costretto a far luce in un tunnel di smemoratezza a causa di un incidente stradale che gli ha fatto dimenticare quasi tutto. Si ritrova prima in un autobus e poi ai bordi di una piscina, in compagnia di una squadra di pallanuoto. Lo circondano personaggi di tutti i tipi, grazie ai quali l'uomo ricompone gradualmente il confuso mosaico nella propria mente: l'infanzia, i primi contatti con quello sport che sarebbe diventato la sua vita, la militanza giovanile, la famiglia. Michele Apicella fa i conti con il proprio passato, cercando di riconciliarsi con esso proprio nel corso della lunga partita di pallanuoto, contro l'Acireale, che scorre in sottofondo. Proprio l'evento sportivo si configura come elemento determinante per la progressione narrativa della pellicola, scrivendone la sintassi e determinandone le interpretazioni. Non è un caso, cioè, che Moretti abbia scelto una piscina al posto di un lettino da strizzacervelli. "Lo sport come metafora", si potrebbe dire. E' vero: in Palombella rossa siamo di fronte a un esempio, uno dei tanti della storia del cinema, in cui l'evento agonistico fa da cornice e da quadro allo stesso tempo. E lo siamo sin dal titolo: la palombella, equivalente del pallonetto calcistico, è certamente un colpo d'astuzia caro al protagonista, ma rimanda anche a un volo, a una traiettoria che ne descrive la vita. Naturalmente, è impossibile non cogliere il rimando alla sua attività politica (altrimenti, non sarebbe stata rossa). Si pensi allo svolgimento della partita, lungo e singhiozzante; si consideri l’idea di una squadra che incontra difficoltà (anche a causa di inettitudini interne), parte male, riesce a rimontare, per poi fallire l’obiettivo quando questo è a portata di mano; si tenga in mente il pubblico, dagli umori tanto ondivaghi. Bene, tutti queste componenti della vicenda pallanuotistica di Apicella sono gli stessi elementi salienti della storia politica sua e del Partito Comunista. Quando il film uscì nelle sale, nel 1989, la critica mise giustamente l’accento su questa chiave di lettura del film: il periodo (mancavano pochi mesi alla caduta del muro di Berlino e un paio d’anni al preannunciato discioglimento del PCI) non poteva essere più fecondo per stimolare riflessioni in tal senso.

Guardando il film oggi, forti di una prospettiva storica, ci rendiamo conto di quanto quelle questioni non siano affatto finite in soffitta, cristallizzate dal tempo. Palombella rossa, cioè, ci appare non già (e non solo) come l’utile reperto di un’epoca andata, ma anche come una lezione inascoltata sul ventennio appena trascorso. Ed ecco la forte attualità dell’opera: il periodo turbolento, vissuto dalla sinistra italiana alla fine degli anni Ottanta, ha insegnato poco o nulla agli eredi di quella tradizione politica. Eredi che non hanno mai smesso di discutere, di riflettere sui propri errori, di continuare la tradizione dell’involontario cupio dissolvi. Intanto, mentre la Sinistra cercava di fare chiarezza su se stessa (impressionante è la sequenza di partiti e gruppi che, tra gli anni Novanta e Duemila, si sono succeduti in quell’area: PDS, DS, Unione, Ulivo, Rifondazione Comunista, Margherita, Partito Democratico sono solo i più significativi), qualcun altro vinceva le elezioni o le perdeva di un soffio. Anche la strettissima attualità ci conferma questa tendenza, con un risultato elettorale sorprendente e la crisi interna di un PD apparentemente vittima della sindrome mnemonica di Apicella. “Noi dobbiamo riflettere assieme su questo decennio, c’è da costruire insieme una vera identità nostra, forte. L’alternativa è un movimento conflittuale, di lotta. Il potere dell’opposizione è la lotta”. “Siete un partito da rifare, siete scomparsi, galleggiate a mezz’aria.[…] Mancate di identità, avete almeno tre anime”. Queste frasi sono dette da due personaggi che popolano l’universo morettiano: la prima è di un sindacalista, la seconda è pronunciata dall’arbitro della partita. Non ci sarebbe da stupirsi, però, se le trovassimo in qualche bocca parlante dell’attuale agone politico. Insomma, come aveva fatto notare un secolo fa il padre di questa sinistra italiana, "la storia insegna ma non ha scolari". 

E’ interessante come Moretti non si sia limitato a descrivere i mali della Sinistra, ma ne abbia suggerito anche qualche cura. Un’approfondita lettura delle righe politiche del film consente infatti di osservare come Michele Apicella, protagonista di una sorta di palingenesi dopo la perdita della memoria, rifiuti alcuni atteggiamenti tipici di certa Sinistra. Tra tutti, quello più ricorrente è legato al parlare per slogan, per frasi fatte. Già da giovane faceva fatica a entrare in questi meccanismi (esilarante è un estratto da un video in Super 8 riferito alle origini della sua militanza, all’interno del quale un compagno lo schiaffeggia solo perché ha osato chiedere: “Ma siamo seri … Ma che ci frega a noi dei desideri delle masse?”); da adulto, ha dovuto accettarli a malincuore; poi, però, complice la disavventura automobilistica, la sua allergia emerge dirompente. A tal proposito, si veda il dialogo con la giornalista che lo intervista: costei è talmente abituata a sentire questo tipo di linguaggio da averlo introiettato. “Matrimonio a pezzi”, “rapporto in crisi”, “alle prime armi”, “kitsch” sono espressioni che fanno imbufalire Apicella, tanto da essere lui, questa volta, a dover ricorrere a un parossistico ceffone (parallelismo “alla rovescia” nient’affatto casuale). Al di là della tematica politica, Palombella rossa porta in dote anche un riuscito tentativo di bilancio autobiografico. Nel film, specie nella prima parte, la dimensione del ricordo la fa da padrona. Grazie alla diversificazione delle strategie linguistiche, Moretti riesce a destrutturare il flusso del passato e a far emergere due momenti fondamentali: la militanza giovanile, raccontata attraverso l'uso di immagini in Super 8, e, soprattutto l'infanzia, con i flashback sul bambino Apicella e sulla sua idiosincrasia verso la pallanuoto, imposta dai genitori. L'infanzia sta particolarmente a cuore al regista: rappresenta il legame con il passato, ma anche la proiezione nel futuro della vita o degli ideali politici. Non sorprende dunque che il film si apra e si chiuda con immagini "infantili" e che, nel corso della storia, un rilievo importante venga dato al rapporto tra Michele e la figlia (una quattordicenne Asia Argento).

E' qui, nell'elemento giocoso-bambinesco, che si manifesta tutta la dimensione felliniana del film. Moretti attinge con entrambe le mani al repertorio del Maestro: lo sberleffo della scena finale è felliniano tanto quanto la caotica deambulazione a bordo piscina (i personaggi che circondano Apicella non possono non rimandare a quelli che popolavano le terme di Guido Anselmi, in 8 1/2). Paradossalmente, il Moretti di Palombella rossa funziona di più quando cita, quando si dedica anima (da regista) e corpo (da attore) alla messa in scena, che quando si perde nel suo tipico "monologhismo". Per tale ragione, la parte finale della pellicola, in cui c'è un ricorso eccessivo alle interpellazioni spettatoriali (sguardi in macchina, soliloqui, canzone cantata con tutto il pubblico presente alla partita), fa perdere qualche colpo a una macchina altrimenti perfetta.

 


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