L’innocenza dell’eccesso: Blues Brothers, un gioco da bambini PDF 
Piervittorio Vitori   

Due personaggi in rampa di lancio dopo il battesimo del fuoco al Saturday Night Live. Un attore carismatico già in odore di cult dopo le performance nel suddetto programma e il ruolo di “Bluto” Blutarsky in Animal House. Un regista considerato un “cavallo vincente”. Inseguimenti d’auto come mai prima di allora. Black music a profusione, con partecipazioni del gotha del soul e del rhythm & blues per un’operazione di recupero dei due generi il cui successo era già stato certificato dall’album Briefcase Full of Blues. Un preservativo non usato, uno usato… All’epoca, le premesse alla fortuna di Blues Brothers (da qui in avanti BB) c’erano praticamente tutte. Quello che dunque stupisce, rivedendo la pellicola a trent’anni di distanza e avendo presente che si tratta pur sempre di un cult movie e di un’opera che ha raggiunto un pubblico vastissimo (due concetti che  sono quasi un ossimoro), è il senso di tenerezza che si può provare constatando la scarsa eredità che essa ha lasciato. Sempre in retrospettiva, a trarre vantaggio dal successo – non immediato ma comunque indubitabile – dell’impresa fu, più che l’industria cinematografica, quella musicale, che vide un rialzo delle quotazioni di artisti (Ray Charles, Aretha Franklin, per non dire di Cab Calloway) che il verbo della disco allora imperante sembrava aver prepensionato.

Il film, in sé, fatica ad effettuare un rilancio verso l’oggi, tanto che l’impressione visiva è quella di trovarsi di fronte ad un reperto vintage (termine che comunque già di per sé implica un ritorno di fiamma rivolto al passato). Certamente in questo aiuta il fatto che il rilancio di cui sopra non sia riuscito ai due interpreti, con Belushi destinato a morire a meno di due anni dalla realizzazione della pellicola e con Aykroyd che dalla fine degli anni Ottanta vide la sua carriera imboccare la strada dell’oblio, almeno per ciò che concerne la percezione del vasto pubblico. Ma, allargando il tiro al piano discorsivo in senso lato, è l’intero apparato figurativo del film a denunciare la propria inattualità. Un apparato che, data la struttura particolarmente esile del plot, occupa il centro della scena principalmente grazie all’alternanza tra due isotopie: il numero musicale e il car chase. La disputa su quale tra questi elementi abbia la predominanza all’interno della vicenda ha tenuto banco in ambito critico fin dall’uscita della pellicola: BB è più apparentabile ad un musical o ad una sorta di action demenziale a base di inseguimenti fracassoni? In realtà, più che rispondere a questa domanda, è importante notare come entrambe le isotopie si pongano in continuità rispetto a precedenti cinematografici facilmente rintracciabili (1) e, al contempo, trovino di lì in poi epigoni in numero proporzionalmente ridotto o comunque caratterizzati da una messa in scena stilisticamente molto distante dai canoni adottati da Landis. In un’epoca in cui l’impatto visivo delle pellicole d’intrattenimento non poteva ancora risentire di quello che per amore di semplificazione potremmo chiamare effetto-MTV, l’action contenuta in BB pare declinata quasi con ingenuità. Un’ingenuità che colpisce e che è dovuta, in parte, anche alla scelta di ambientazioni che favoriscono una messa in scena realistica (che poi la bluesmobile “voli” è un altro paio di maniche…).

Breve digressione: personalmente ho trovato conferma dell’unicità di questo carattere inattuale ed ingenuo del film nel confronto con la successiva prova di Landis, Un lupo mannaro americano a Londra. Anch’essa opera riconoscibilmente figlia di quel decennio, la pellicola del 1981 è probabilmente in grado più di BB di stabilire una “sintonia figurativa” con il pubblico giovane di oggi. E questo essenzialmente per due ragioni, riconducibili ad altrettanti elementi: uno è naturalmente il licantropo, che ha attraversato con successo la storia del cinema da Lon Chaney a Twilight; l’altro è l’effetto speciale, che grazie alla metamorfosi più credibile mai vista su schermo fino ad allora pare farsi esso stesso personaggio, lanciando peraltro una sfida verso il futuro. Ecco, questo in BB è del tutto assente (2). Al di là del cupo incipit della pellicola, capace di far pensare più a Blade Runner che a una commedia demenziale, è emblematica la sequenza del primo inseguimento, svolto all’interno di un mall interamente ricreato e popolato ad hoc. La frenesia cinetica e distruttiva va dunque in scena in un contesto che possiede un marcato carattere di realismo; lo stesso accadrà poi nel finale, con il centro di Chicago esplicitamente connotato a partire dalla toponomastica (il Lower Wacker Drive, la Daley Plaza…) e con Landis che insiste a percorrerlo senza velocizzare il girato. Al netto di qualche eccesso che ha l’evidente funzione di enfatizzare l’effetto comico (l’auto della polizia che finisce nel camion, la bluesmobile che cade letteralmente a pezzi appena giunta a destinazione…), siamo quindi in presenza dello sconvolgimento reale di luoghi reali.

Questo sottolinea, per contrasto, la scarsa credibilità dei protagonisti come personaggi autonomi, e in effetti la sceneggiatura rende i due delle figure piuttosto vuote e scarsamente caratterizzate. Non hanno molte battute memorabili né tanto meno una psicologia complessa; si vedono affidate, semmai, delle pulsioni elementari e un look dietro cui nascondere gli elementi di potenziale individualità. Refrattari al controllo da parte di terzi e privi di senso della misura, i Blues sono in definitiva due bambini che si rifiutano di crescere. E se è vero che ogni buon comico, grazie anche al rifiuto dell’autorità costituita, dà sfogo ad un’anima di bambino, Jake ed Elwood estremizzano questa identificazione con la fascinazione per l’oggetto magico (la bluesmobile), l’atteggiamento infantilmente irritante (la scena del ristorante), lo sfrenato appetito (“Quattro polli e una coca!”), la quasi totale assenza nella trama di riferimenti alla sfera del sesso (3). Ancora, il dato forse più rivelatore: l’unica forma di responsabilità sentita dalla coppia è quella nei confronti dell’orfanotrofio e dei bimbi che ospita, rivolta cioè al luogo dell’infanzia e alle proiezioni dei protagonisti stessi. E il tributo che la pellicola paga al soul e al blues è anch’esso inquadrabile in questo schema, se solo assumiamo che una delle pulsioni infantili sia la tensione verso il proibito (4). Quella che nella vita reale era per Dan Aykroyd una passione sincera, nel film viene declinata come un’adesione talmente spontanea e priva di malizia da far sembrare fuori luogo le accuse di quanti imputarono a BB il delitto di “turismo culturale”.

Nell’arco del film c’è solo una scena, tra quelle essenziali per l’economia della trama, che ruota intorno alla possibilità di una dimensione adulta/sessuale. È quella della resa dei conti tra Jake e la ragazza misteriosa interpretata da Carrie Fisher, che scopriamo essere la promessa sposa abbandonata sull’altare. Il personaggio di Belushi, che dunque si era già ritratto davanti alla prospettiva di una maturazione, riesce a trarsi d’impaccio da una situazione apparentemente senza via d’uscita mettendo in atto una strategia di seduzione: il gesto di togliersi i Ray Ban (l’unica circostanza, durante il film, in cui lo fa) corrisponde ad un improvviso scarto d’identità, con l’assunzione del ruolo fin lì evitato. Ma, una volta che lei ha ceduto all’uomo, la finzione si svela: Jake è lesto a tornare bambino e a squagliarsela con Elwood. È evidente come il concetto di reato, includendo in esso anche la semplice irriverenza, nel sistema di valore dei protagonisti non faccia rima con quello di colpa. Assume quindi il valore di un ultimo sberleffo lo slogan che correda la parete dietro il palco nella scena conclusiva: “It’s never too late to mend”. I fratelli si sono veramente redenti? È vero, hanno racimolato i 5000 dollari necessari a salvare l’orfanotrofio, ma tuttavia sono di nuovo nel luogo in cui avevamo trovato all’inizio Jake, il penitenziario di Joliet, e sono sempre impegnati a suonare quella musica che irrita i rednecks e accende invece la frenesia dei carcerati. Qualche dubbio pare insomma legittimo, anche perché non è chiaro quali siano i peccati da cui si sarebbero dovuti redimere: hanno mobilitato e distrutto mezzo Illinois, ma in fondo, cos’hanno fatto di male?

Infine, il candore e l’impunità dei protagonisti sembra fare il paio con quelli degli autori. Quanto senso di responsabilità c’è nell’elaborare uno script la cui prima stesura conta più di 300 pagine? Quanto nell’impiegare buona parte del budget (circa 30 milioni di dollari, cifra all’epoca enorme) per correre dietro ad una Dodge Monaco del 1974, farle distruggere un centro commerciale e farla sfrecciare per il downtown di Chicago? C’è chi ha scritto che la pellicola è “il carro armato Sherman dei musical” (5) e che, durante le riprese, sembrava che più che un film si stesse preparando una guerra. Osservando nel making of le scene in cui Landis grida ordini alle decine di comparse che devono assediare i Blues Brothers nella Daley Plaza, non si può che concordare. Eppure, parlando di guerra, l’impressione complessiva è quella di un bambino che gioca con i soldatini, procedendo in maniera (apparentemente) scriteriata secondo una logica di accumulo ed eccesso: troppi generi mischiati assieme, troppa musica, troppi ballerini in Maxwell Street, troppe automobili, troppa polizia, troppa potenza di fuoco (in senso sia figurato che letterale, come dimostrano gli attentati che l’ex fiamma di Jake compie ai danni della coppia). Che alla fine la bluesmobile di Landis non esca di strada o non vada fuori giri è il vero miracolo dell’operazione. Un miracolo cui si può credere a patto di riuscire ad apprezzare il film “di pancia” e non “di testa”. O con gli occhi di un bambino.

Note:
(1) Per il musical gli esempi naturalmente si sprecano; quanto al car chase, negli anni Settanta si contano ad esempio Duel, Il braccio violento della legge, Punto zero, Il bandito e la madama
(2) “Nessuno più gira film con auto della polizia che volano in aria e si sfasciano a mucchi. Forse gli effetti computerizzati hanno svalutato questo tipo di moneta ...”. Cit. Peter Bradshaw, The Blues Brothers, http://www.guardian.co.uk/film/2009/jul/24/film-review-the-blues-brothers (trad. mia), 24/07/2009.
(3) E si pensi all’importanza di questo aspetto nella ricetta del cinema demenziale …
(4) Se il termine “proibito” sembra eccessivo in relazione al rapporto tra società wasp e cultura black, si tenga presente che per le sale Landis dovette tagliare 15’ di girato perché la prima versione del film fu giudicata troppo “nera”. Cfr. Devin Faraci, It’s news to you: racism shortened The Blues Brothers, http://www.chud.com/23013/its-news-to-you-racism-shortened-the-blues-brothers, 24/03/2010.
(5) cit. Roger Ebert, The Blues Brothers, http://rogerebert.suntimes.com/apps/pbcs.dll/article?AID=/19800101/REVIEWS/1010306/1023 (trad. mia), 01/01/1980.

TITOLO ORIGINALE: The Blues Brothers; REGIA: John Landis; SCENEGGIATURA: Dan Aykroyd, John Landis; FOTOGRAFIA: Stephen M. Katz; MONTAGGIO: George Folsey Jr.; PRODUZIONE: USA; ANNO: 1980; DURATA: 133 min.

 


#01 FEFF 15

Il festival udinese premia il grandissimo Kim Dong-ho! Gelso d’Oro all’alfiere mondiale della cultura coreana e una programmazione di 60 titoli per puntare lo sguardo sul presente e sul futuro del nuovo cinema made in Asia...


Leggi tutto...


View Conference 2013

La più importante conferenza italiana dedicata all'animazione digitale ha aperto i bandi per partecipare a quattro diversi contest: View Award, View Social Contest, View Award Game e ItalianMix ...


Leggi tutto...


Milano - Zam Film Festival

Zam Film Festival: 22, 23 e 24 marzo, Milano, via Olgiati 12

Festival indipendente, di qualità e fortemente politico ...


Leggi tutto...


Ecologico International Film Festival

Festival del Cinema sul rapporto dell'uomo con l'ambiente e la società.

Nardò (LE), dal 18 al 24 agosto 2013


Leggi tutto...


Bellaria Film Festival 2013

La scadenza dei bandi è prorogata al 7 aprile 2013 ...


Leggi tutto...


Rivista telematica a diffusione gratuita registrata al Tribunale di Torino n.5094 del 31/12/1997.
I testi di Effettonotte online sono proprietà della rivista e non possono essere utilizzati interamente o in parte senza autorizzazione.
©1997-2009 Effettonotte online.