Prince of Persia: Le sabbie del tempo PDF 
Maurizio Ermisino   

Avanti veloce e riavvolgimento. È in questi due “tasti” che si può racchiudere la trama, ma soprattutto il senso di Prince of Persia, il nuovo giocattolo prodotto da Jerry Bruckheimer, papà della saga de Pirati dei Caraibi (ma anche delle pellicole più fracassone di Michael Bay), e diretto da Mike Newell. E se i film del capitano Jack Sparrow nascevano da un’attrazione di Disneyland, Prince of Persia prende le mosse da un famoso videogioco (nato nel 1989), che vanta ben tredici edizioni. Perché diciamo avanti veloce e riavvolgimento? Perché Prince of Persia è questo: una serie di corse e combattimenti a perdifiato, senza sosta, in cui il principe Dastan (Jake Gyllenhaal) e la principessa Tamina (Gemma Arterton) devono difendere un prezioso e magico pugnale, in grado di liberare le sabbie del tempo. Una volta azionate, queste sabbie sono in grado di cambiare il corso del tempo: in pratica hanno il potere di riavvolgerlo, permettendo di rivivere gli eventi. Proprio per questo il malvagio Nizam (Ben Kingsley), fratello del Re e zio di Dastan, vuole impossessarsene per ordire la sua trama e conquistare il potere.

Avanti veloce e riavvolgimento è anche il senso dell’intera operazione Prince of Persia. Il fatto curioso non è tanto che un mezzo antico e nobile come il cinema si sposti in avanti nel tempo per raggiungerne uno più recente come il videogioco. Lo ha già fatto spesso, innescando dinamiche di influenze reciproche. È curioso, piuttosto, che lo faccia non tanto per cercare un nuovo linguaggio, quanto per riavvolgersi su se stesso e tornare ad un linguaggio antico, quello del cinema di avventura degli anni Trenta e Quaranta. Anzi, nemmeno questo è esatto: perché è vero che Prince of Persia guarda al vecchio cinema di avventura, ma lo fa strizzando l'occhio alla versione più deleteria e cialtrona che è stata la sua rilettura degli anni Ottanta. Per intenderci, quella delle brutte copie di Indiana Jones. Il ritmo, i toni, la sceneggiatura elementare e ripetitiva, e le ambizioni, sono quelle. È già capitato, in questa stagione, che il vecchio cinema di avventura sia stato riletto: Avatar e Up lo hanno fatto, ma grazie all’uso di tecnologie all’avanguardia (come il 3D, la computer grafica, la performance capture) il risultato è stato un prodotto completamente nuovo. Prince of Persia, invece, fa sì sfoggio di effetti speciali, ma quello che ne esce sembra uno di quei filmetti che passano su Italia1 la domenica pomeriggio.

È un vero peccato, perché il motivo ispiratore suggeriva un’interessante metafora del cinema stesso, come del videogioco. La possibilità di fermare il tempo e di riavvolgerlo è caratteristica di quei supporti che negli ultimi anni hanno permesso di fruire del mezzo cinema anche al di fuori del cinema inteso come luogo fisico: la videocassetta prima, e il dvd poi, permettono di riavvolgere l’immagine, di rivivere più volte ciò che accade, e quindi le vite dei personaggi. Così anche il videogioco può finire e ricominciare più volte, potenzialmente all’infinito. Si può completare il gioco attraverso una serie di schemi, e poi ricominciarlo daccapo. Ma si può anche continuarlo dopo essere morti, perché un personaggio di un videogame ha molte vite.

Nonostante qualche riferimento all'attualità (il primo attacco dei persiani è pretestuoso, l'obiettivo è trovare armi che non ci sono, vedi guerra all’Iraq) e al cinema della Guerra dei Sessi anni Quaranta (il rapporto tra Dastan e Tamina), Prince of Persia è tutto tranne che un film ben riuscito. Anche se fosse voluta, cosa di cui non saremmo così sicuri, la citazione del cinema d’avventura anni Ottanta banalizza e appiattisce un film con ben altre possibilità, e la sceneggiatura è davvero povera. Se Bruckheimer aveva in mente un nuovo Pirati dei Caraibi dovrà presto ricredersi: Gyllenhaal (convincente in ruoli drammatici, come in Brothers) non ha il carisma di Johnny Depp (e passi), ma nemmeno quello di Orlando Bloom (e qui ce ne vuole), la sceneggiatura non possiede l’ironia degli script pirateschi (tra ironia e farsa c’è una bella differenza), e lo stesso impianto scenico appare meno curato e originale. Difficile, insomma, che un film come Prince of Persia possa aprire le porte di una nuova franchise. In questo caso, il tasto da premere non sarà avanti veloce, ma solo riavvolgimento.

TITOLO ORIGINALE: Prince of Persia: The Sands of Time; REGIA: Mike Newell; SCENEGGIATURA: Boaz Yakin, Doug Miro, Carlo Bernard; FOTOGRAFIA: John Seale; MONTAGGIO: Mick Audsley, Michael Kahn, Martin Walsh; MUSICA: Harry Gregson-Williams; PRODUZIONE: USA; ANNO: 2010; DURATA: 115 min.

 


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