I 400 colpi: il giudizio universale di Truffaut - François Truffaut PDF 
di Arianna Mereu   

Il film nasce come cortometraggio, in seguito alla realizzazione di Les mistons, sotto il nome di La fuga di Antoine, capitolo secondo del progetto messo in atto da Truffaut volto a realizzare una raccolta di brevi film dedicati al mondo dell'infanzia. Durante la realizzazione de La fuga di Antoine, pare che l'autore abbia avuto difficoltà nel condensare nella laconicità espressiva del cortometraggio tale riflessione, e perciò, a causa di ricorrenti richiami alla personale esperienza vissuta - non solo in quanto uomo, ma in quanto cinefilo - il cortometraggio si è naturalmente trasformato in un lirico lungometraggio, un prodotto che oggi ci si mostra agli occhi con l'andamento itinerante di un viaggio attraverso l'infanzia, nel continuo avvicendarsi di tappe date luogo dalle azioni e reazioni del piccolo protagonista interpretato dal giovane e talentuoso Jean-Pierre Léaud.

La figura di Antoine Doinel si rivela quindi alter ego dello stesso Truffaut, che nel mostrarlo, non redige una semplice ed informale autobiografia, ma compone per mezzo di un collage di ricordi nella loro forma filmica, un'opera di intenso impatto visivo, la cui straordinarietà risiede appunto nel combinare l'aneddoto vissuto con la finzione del cinema mediante lo stretto rapporto tra regista e personaggio, che vive nel gioco di sguardi tra Antoine e François: il primo rivolto verso il futuro, il secondo contemplante il passato; l'uno di fronte alla macchina da presa, l'altro dietro. Ed è esattamente all'interno di questo scambio di sguardi che il film si crea un luogo di azione, dalle precise coordinate temporali e spaziali, che se da un lato implicano una precisa metodologia di messa in scena, dall'altro privano la rappresentazione di ogni sterile retorica. Tale spazio filmico - che viene definito dallo stesso Truffaut: "un'espressione simultanea di un'idea di mondo e un'idea del cinema" - ne I quattrocento colpi dimora nella cornice che segna il percettibile confine tra autore e personaggio, tra realtà e finzione, riconoscibile nella prima e nell'ultima sequenza; sequenze entro le quali lo spazio funge come luogo di sviluppo per un iter psicologico, quello dell'autore, dapprima intradiegetico, successivamente extradiegetico.

La prima sequenza, che definirò " sequenza cornice", mostra una serie di riprese delle strade di Parigi in soggettiva, nelle quali l'occhio della macchina da presa (l'occhio quindi di Truffaut), coincide con quello di Antoine, esprimendo chiaramente la funzione intradiegetica di Truffaut e stabilendo il punto di partenza del cammino verso la piena consapevolezza di se, che avrà luogo nell'ultima sequenza, quando tale collimazione di sguardi divergerà determinando la completa scissione tra autore e personaggio, attraverso il lungo piano sequenza sulla fuga di Antoine, e ancor maggiormente nell'ultima inquadratura, quando addirittura gli sguardi di entrambi, ormai distinti, finiranno per incontrarsi, chiudendo il film. Congiunzione tra queste particolari sequenze è un'altra sequenza, a circa metà film, nella quale viene mostrato attraverso un geniale uso della mdp, la genesi del processo di scissione tra Antoine e Truffaut, messa in scena attraverso un' alternanza di soggettiva - semisoggettiva - oggettiva, durante il trasporto di Antoine nel cellulare.

Ciò che accomuna queste scene, e che al contempo le rende differenti dal resto delle sequenze interne al narrato filmico sono: l'utilizzo della medesima colonna sonora, la mobilità errante della macchina da presa e l'identificazione di questa nello "sguardo umano", ora in un ruolo di soggettività, ora in un ruolo voyeurista.

Aldilà di queste tre particolari sequenze, le restanti scene de I quattrocento colpi sono trattate tutte con una metodologia di impiego, che è quella dell'alternare l'ambientazione, ossia intervallare frammenti di film girati in interni e frammenti di film girati in esterni, dove l'interno assume una funzione di chiusura interiore e oppressione, e l'esterno contariamente, una funzione di apertura e indipendenza.

Tale alternanza deriva dalla precisa intenzione di accostare, in termini di tempi e spazi filmici, il percorso del raggiungimento della consapevolezza supportato dalla cornice, metaforicamente parlando si potrebbe dire che tale avvicendamento rappresenti l'andamento con il quale Antoine/Truffaut procede lungo il film. Proprio per questo i lassi temporali di tali frammenti mutano via via che il film procede e se in principio appaiono equilibrati, in seguito saranno disarmonici, in quanto le scene girate in ambienti chiusi annovereranno tempi sempre più dilatati, mentre quelle girate in esterni saranno mostrate in tempi sempre più ristretti. Non solo, nella seconda parte del film si può constatare che quelle brevi sequenze riprese all'esterno, sono in realtà anch'esse sequenze girate in condizioni di chiusura, e mi riferisco in questo caso, prima alla scena del trasporto di Antoine in cellulare che, nonostante sia posta in alternanza alla scena girata all'interno del commissariato - quindi destinata ad essere girata in esterni - viene sì ambientata per le strade parigine, ma nell'angusto spazio di un furgone destinato al trasporto di carcerati; e in secondo luogo alla scena ambientata nel campo libero del riformatorio, ubicato però all'interno del correzionale. Entrambe le sequenze - la prima mostrante uno piccolo spazio interno (il cellulare) posto all'esterno (Parigi), e la seguente mostrante uno spazio esterno (il campo libero) delimitato in un vasto spazio interno (il riformatorio) - che ipoteticamente appartengono a quella serie di scene girate in esterni in contrapposizione a quelle girate in interni, sono in realtà "pseudoalternanze", che concorrono nel percorso di avvicendamento, al raggiungimento della completa abolizione dello spazio aperto, confacente a limitare lo spazio entro il quale Antoine possa esprimersi, e contemporaneamente, aumentando i tempi entro i quali egli possa riflettere.

E' importante sottolineare che tale uso del montaggio, non limita ogni singola sequenza alla formale osservanza di tempi e spazi categorici e leziosi, ma al contrario ognuna di esse nasce prima di tutto con una propria "autonomia espressiva", dove l'uso di taluni simbolismi suggerisce visivamente lo status dei personaggi prima ancora della narrazione stessa; ne sono esempio la sequenza iniziale nella quale appare uno scolaro maldestro intento a scrivere il dettato del maestro (del quale è udibile soltanto la voce proveniente dal fuoricampo), che ignora totalmente le difficoltà incontrate dall'alunno e che quindi procede ininterrottamente nella lettura; o ancora la scena dell'interrogatorio da parte della psicologa - anche in questo caso, estromessa dal campo - nella quale l'immagine di Antoine, spezzata e ricucita da una serie di stacchi, non solo comunica efficacemente una realtà vissuta, ma attraverso una precisa scelta visiva, mostra i segni del cinema nouvellevagueiano che si scopre, non si tradisce e si rinnova.

Nel film I quattrocento colpi è inoltre possibile tracciare un vero e proprio percorso di citazioni, precise scelte visive o metodologie di messa in scena, accuratamente selezionate tra i film di quegli autori che Truffaut ha tanto elogiato nelle pagine de I Cahiers du Cinema. Su tutte, è evidente l'influenza che Roberto Rossellini e il Neorealismo hanno avuto su Truffaut e il suo cinema, soprattutto quando si tratta di portare in scena la realtà; non c'è un meticoloso studio a livello visivo teso a ricrearla, ma un limitato intervento su di essa che pare consista nell' osservarla e selezionarla da quel materiale girato. Come l'Edmund Koeler di Germania anno zero, Antoine Doinel è continuamente indagato dalla macchina da presa, quasi sempre padrone del campo; l'unica libertà che Truffaut si prende in questo splendido impiego della metodologia rosselliniana, risiede nell'atto di relazionare il personaggio e il contesto ambientale attraverso un uso del montaggio strettamente simbolico, donando alla pellicola una valenza poetica, un realismo poetico alla Jean Renoir. L' impiego di citazioni cinefile (come quella della scolaresca che si disperde tra le vie parigine, ripresa da Zero in condotta di Jean Vigo) o la messa in scena di particolari situazioni cariche di tensione dal sapore hitchcockiano, fanno si che il film oscilli costantemente tra realtà e finzione e che di conseguenza le soluzioni visive tra un raccordo e l'altro donino al film una piacevole nota ironica, preservandolo dall'innaturale e posticcia melodrammaticità.

François Truffaut, senza tradire le aspettative di tutti quei cinefili che lo avevano sostenuto sin dal suo pamphlet "Une Certaine Tendance du Cinema Francais", ci ha regalato un magnifico esempio di cinema puro, realistico e nuovo.

 


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