Linea d'Ombra - Festival Culture Giovani PDF 
Gabriele Diverio   

Dal 14 al 19 aprile si è svolta a Salerno la quattordicesima edizione di Linea d’Ombra - Festival Culture Giovani. La manifestazione, una fusione tra Linea d’Ombra Salerno Film Festival e Festival Culture Giovani, ha avuto come filo conduttore il tema del caos, affrontato ed esaminato non solo nel ricco programma di corti e lungometraggi in concorso. Nel ribollente calderone di iniziative proposte dal direttore artistico Peppe D’Antonio e dai suoi collaboratori Gianluca De Falco e Agostino Riitano erano infatti presenti appuntamenti dedicati a musica, performing art, retrospettive, workshop e stage. Da ricordare l’apertura del festival alla presenza della cantate partenopea Teresa De Sio intervistata da Enrico De Angelis, giornalista e critico musicale. Decisamente meno vicino allo spirito musicale della tradizione del bel Paese sono invece state le serate dedicate al djset: la prima in compagnia di Alessio Bertallot – conduttore di B-side su Radio DeeJay – , la seconda con i Jahcoozi, un terzetto multietnico proveniente dalla scena clubbing di Berlino che ha fatto ballare tutti i giovani accorsi alla serata.

Grande successo ha avuto anche la performing art Nel di quel geniaccio, funambolo della parola e della fonetica che è Alessandro Bergonzoni. Forse l’appuntamento più vicino allo spirito “caotico” della rassegna. Il caos è stato poi assoluto protagonista della maratona “La notte delle catastrofi”: 12 ore filate di pellicole catastrofiche. Deludenti invece gli stage di cinema con Fabio De Luigi e Davide Ferrario. Se per il primo la delusione è nata dal fatto che il brillante comico non ha potuto partecipare al festival per impegni di lavoro, per il secondo il discorso è diverso. L’appuntamento con il regista bergamasco – torinese d’adozione –, presente a Salerno anche per presentare la sua ultima fatica Tutta colpa di Giuda, è stato poco interessante: non uno stage, non un workshop, ma una chiaccherata con il regista a commento di spezzoni di suoi film, selezionati con poco criterio e di scarsa qualità video. Un’occasione d’incontro persa per quest’anno, ma migliorabile nel futuro. I premi ai giovani emergenti del cinema italiano sono andati quest’anno a Valentina Lodovini (Fortapàsc, Generazione mille euro) e a Michele Riondino (Il passato è una terra straniera, Fortapàsc). Per la regia il premio è stato consegnato a Massimo Venier (Chiedimi se sono felice, Generazione mille euro).

Ma veniamo al cuore della manifestazione: il concorso lungometraggi “Passaggi d’Europa” – comprendente 6 opere provenienti da tutta Europa (ma non dall’Italia) – e il concorso di 22 cortometraggi  “Corto d’Europa”. Diciamo subito che ad aggiudicarsi il primo premio sono stati, per la sezione lungo, Dr. Alemàn di Tom Schreiber; per i cortometraggi, invece, sono state assegnate due onereficenze: il premio europeo è stato conferito a Day In/Day Out di Jez Scott, mentre il premio “talento italiano” è andato a Cronaca di un rapimento di Guido Tortorella. In un livello qualitativo non esaltante, con opere confuse a base di sesso – numerose le scene di svariate pratiche sessuali mostrate con eccessivo compiacimento sullo schermo –, hanno trionfato delle opere “classiche”, lineari e narrative. Dr. Alemàn narra la vicenda di un ingenuo dottorino tedesco (August Diehl) alle prese con un tirocinio in Colombia. Lo straniero con la faccia da bravo ragazzo si scontrerà con una realtà dura dove le morti da arma da fuoco sono all’ordine del giorno. Day In/Day Out racconta invece il dolore e la fatica che vivono nel cuore di un figlio che deve prendersi cura di un genitore malato di Alzhaimer. Cronaca di un rapimento, infine, è un divertente ribaltamento di prospettive sulla cruda realtà dei rapimenti: una famiglia disperata rapisce la figlia di un ricco egiziano e chiede un lauto riscatto con un video d’autore realizzato dal figlio. C'è da credere che il folto pubblico di giurati provenienti da molte scuole ed università di cinema d’Italia non abbia faticato a scegliere dei vincitori. Personalmente speravamo in un riconoscimento per il lungometraggio Frankie is a womanizer di Jan Prusinovsky – divertente vicenda di un don giovanni ceco costretto a pagare in un solo colpo (e in tutti i campi della vita) per ogni singola avventura avuta – e per il corto Corrente di Rodrigo Areias, l’unica opera breve in grado di evocare suggestioni, capace di spingere lo spettatore a costruirsi una storia da sé solamente indicando un possibile cammino, senza ricorrere a trucchi da pessimo prestigiatore come invece hanno fatto tre delle opere italiane come Il citofono, L’estraneo e L’inganno.

Non è stata quindi un’ottima prestazione quella della nazionale italiana di scena a Salerno. L’unica eccezione è L’arbitro di Paolo Zucca: divertente, cinico, spietato, più profondo di quanto possa sembrare, con una fotografia e un’armonia di inquadrature che ricordano Paolo Sorrentino. Una dimostrazione di quanto l’idea di cinema che viene insegnata nelle scuole d’élite italiane sia profondamente sbagliata e “furbetta” – nel senso più meschino del termine – è invece La determinazione dei generi di Ivan Silvestrini. Scenario: la Roma dei ricchi, dei “pariolini” (quella del primo Muccino insomma); protagonista: una fotocopia della Crescentini (perché il mercato ci dice che funziona così); comprimari: un gruppo di ragazzi bene (che bene bene non sono); plot: il branco entra in azione e violenta la malcapitata ad una festa mentre è ubriaca (sembra il lancio di una notizia di Studio Aperto). A chi interessa una storia così? Perché viene accettato come lavoro di fine anno una storia così? Ci pensa già il mercato a ribadire l’inutilità della cultura cinematografica, una scuola avrebbe il dovere di cercare di insegnare non ciò che funziona, ma ciò che è culturalmente ed artisticamente giusto. Un consiglio per Silvestrini (e per gli insegnanti della sua scuola): andate a vedervi 2 Birds di Rúnar Rúnarsson, anch’esso in concorso a Salerno. L’argomento è simile – un abuso sessuale ai danni di una ragazzina incapace di intendere e di volere – , la durata la stessa (15’), ma il tocco, la delicatezza, il rigore scenico presenti nell’opera finlandese sono di un altro livello, distante anni luce da una qualsiasi dimensione di volgarità. Una dura lezione di cinema.

 


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