Romeo + Giulietta: l'inno alla quantità PDF 
Lidia D'Angelo   

Portare la letteratura e il teatro al cinema è già di per sé una sfida; nel caso di Romeo + Giulietta di Luhrmann, l’ambizione del progetto autoriale duplica il grado di difficoltà dell’impresa. Il film, uscito nelle sale nel 1996, sembra essere la reazione a cui il regista approda dopo una parabola sperimentale che trova il suo unico punto fermo, oltre che principio generatore, nella sfida del contemporaneo: quali forze alchemiche si generano quando un classico della produzione teatrale inglese e la contemporaneità si sfiorano?  La soluzione più ovvia e semplice sarebbe stata una sola: il film in costume. E Luhrmann, pur guardando in avanti, non ne dimentica la lezione.

Se dovessimo muoverci alla ricerca della massa densa da cui si è originato, per bulimica espansione, il magma caotico di Romeo + Giulietta, potremmo, con ogni probabilità, rintracciarlo nella costruzione della scenografia e nelle scelte dei costumi. L’epica si fa con gli elmi, le armature e le spade, anche quando cambiano forma. Non è soltanto un caso, infatti, che sulle pistole usate nel film campeggi la scritta “sword” e che, estratte, producano lo stesso suono che fa una spada sguainata dal proprio fodero. La costruzione dell’universo formale del film passa attraverso una serie di scelte, nella messinscena, ripetutamente esibite e additate. Sin dai titoli di testa, l’annunciatrice di un fantomatico telegiornale, inscatolata in un televisore che cresce progressivamente fino ad occupare lo schermo intero, enuncia la prima presa di posizione del film. “La storia che vi racconteremo”, dice, scoperchiando definitivamente il meccano narrativo e i suoi ingranaggi. Luhrmann pioniere si fabbrica, così, un linguaggio del tutto originale, a partire dai materiali più fisici, secondo un’unica legge: quella dell’esuberanza. Decide di osare, e, nello stesso film, trova un posto per ogni cosa. Mette insieme, per il gusto dell’accostamento, e senza nessuna logica precostituita, le camicie hawaiane sbottonate dei protagonisti, una giostra in disuso, i grattacieli e le loro grandi insegne; e cartelloni pubblicitari enormi, targhe personalizzate per le automobili, pompe di benzina incendiate e crateri di una località fantasma, in cui i relitti, oggetti o persone che siano, compiono il proprio ciclo vitale, collocati in una specie di neutra catalogazione del diverso, dell’esubero, del colore, del corporale, di tutto il peggio possibile.

La prima parte del film, del resto, è tutto un crescendo sforzato. Tutto, perché questo mondo mostruoso e carnevalesco possa fare da rima, per intensità, all’incontro che, gradualmente, Luhrmann prepara, quello tra i due protagonisti, e su cui lavorerà per assenza. Giulietta e Romeo sono dalla stessa parte perché sono estranei, superiori. Sono investiti da una luminosità diversa e tendono alla rarefazione dei colori. Entrambi sono esseri acquatici, tutta la loro progressione è segnata dall’acqua, che è spessore, protezione e forza incontrollabile: prima l’acquario, poi la piscina, subito l’amore e, poi, i presagi di morte. I blocchi linguistici e drammaturgici costituiti dai due protagonisti e dal resto del mondo proseguono concatenati nel loro sviluppo, nell’inno, senza argini, della quantità, principio sacro in nome del quale tutto diventa possibile: sono ammessi gli sguardi in macchina, gli zoom continui e un sonoro continuamente allusivo. La cifra stilistica risultante è il cliché, rilanciato come sguardo di intesa tra il regista e lo spettatore. In Romeo + Giulietta di Luhrmann c’è il western tanto quanto il gangster movie, la struttura schematica del duello, il concetto di onore e lo sguardo dall’alto delle tragedie metropolitane apocalittiche da giorno dopo il disastro. La città tra i fumi delle battaglie si risveglia in una luce desertica e la polizia è uno sguardo verticale, non sempre efficace e, alle volte, del tutto impotente.

L’operazione del regista australiano è quindi, dal punta di vista formale e linguistico, assolutamente radicale. Egli consegna il suo lavoro tra le mani dello spettatore quando è ancora incandescente, senza curarsi troppo degli effetti e guadagnandosi, però, al di là di ogni possibile questione di gusto, il merito di essersi messo a guardare, insieme a pochi altri, da una posizione poco scelta e piuttosto scomoda. Quello che resta è almeno una domanda. Assumendo per ipotesi la scelta della contemporaneità, quali altri sarebbero i teoremi possibili?

TITOLO ORIGINALE: Romeo + Juliet; REGIA: Baz Luhrmann; SCENEGGIATURA: Baz Luhrmann, Craig Pearce; FOTOGRAFIA: Donald M. Mcalpine; MONTAGGIO: Jill Bilcock; MUSICA: Craig Armstrong, Nellee Hooper; PRODUZIONE: USA; ANNO: 1996; DURATA: 120 min.     

 


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