Non sono bastati il talento registico di Edward Zwick (Blood Diamond, L’ultimo samurai e molta televisione) e un capitolo poco conosciuto della Shoah per aggiungere un tassello di un qualche interesse alla rievocazione dell’antisemitismo durante la Seconda Guerra Mondiale. La storia dei fratelli Bielsky, qui nell’adattamento dal romanzo di Nechama Tec, è raccontata alle soglie dell’invasione tedesca in Polonia, nell’estate del 1941. I quattro giovani contadini ebrei, sopravvissuti all’eccidio che sterminò i loro genitori, resistettero straordinariamente ai rastrellamenti dei tedeschi durante l’occupazione. La particolarità di questi partigiani, rispetto ad altri gruppi formatisi in Bielorussia dopo l’invasione, sta nel fatto che i Bielsky non si limitarono a combattere i nazisti, ma riuscirono a salvare un migliaio di ebrei fuggiti dai villaggi circostanti, proteggendo nelle foreste un’intera comunità destinata ad una fine certa.
Il film è girato quasi esclusivamente in esterni (nelle foreste lituane, per le analogie con i boschi della Bielorussia dove si svolse la resistenza). Zwick sceglie di aderire realisticamente ai fatti. Filma la guerra, le continue fughe provocate dall’avanzare dei tedeschi, le azioni di sabotaggio per reperire armi, medicine e cibo destinati agli ebrei affluiti con l’intensificarsi delle deportazioni nelle città. Eppure il risultato è un generico affresco di guerra. Lo sguardo oggettivo non arriva ad assumere un valore di autenticità. Non si riesce a percepire il "sentire" dei contadini ebrei assediati a causa di un plot in cui la drammaturgia è asservita principalmente all’inanellarsi delle azioni. Quando l’attenzione si sposta sugli ebrei nell’accampamento, sui nuovi amori che le circostanze favoriscono, o sui problemi di organizzazione del campo, la narrazione perde ogni specificità interna alla vicenda. Nel dramma dell’attacco nazista imminente, si inserisce poi, come plot secondario, una tensione tutta interna alla comunità. I due fratelli maggiori Bielsky, a capo della cellula partigiana, detengono le armi e determinano la strategia del gruppo. Ma un diverso atteggiamento nei confronti della resistenza – salvare la propria pelle oppure rischiare il massacro accollandosi la protezione di centinaia di persone – genera un conflitto di potere. Tuvia Bielsky sceglie l’accoglienza di ogni semita in fuga e convince gli ebrei ancora rimasti nei ghetti a seguirlo nella foresta, mettendosi di fatto al comando della comunità. Suo fratello Zus abbandona presto il campo e si arruola nelle file della resistenza russa. Ancora una volta l’azione prende il sopravvento e non si viene coinvolti dall’umanità dei protagonisti. I Bielsky rimangono rinchiusi in un ruolo epico, da condottieri di una battaglia.
A peggiorare le cose contribuisce l’attore protagonista, l’algido Daniel Craig, che interpreta Tuvia Bielsky, qui ritratto come un guerriero perfettamente addestrato, con qualche momento di debolezza a cui si crede poco. Le uniche immagini che ci catapultano nella storia sono i filmati di repertorio in bianco e nero. Cinegiornali che ritraggono Hitler durante l’invasione, usati come prologo del film. E gli unici volti autentici si trovano nei titoli di coda dove vengono affisse le foto dei veri fratelli Bielsky. Un incontro mancato tra cinema e storia. Un tentativo discutibile di ricostruzione. Mentre è del tutto assente quello sprofondamento nella storia che lo spettatore prova, ad esempio, vedendo La caduta (Olivier Hirschbiegel, Germania, 2004), uno straordinario tentativo di rievocare gli ultimi giorni di vita di Hitler.
TITOLO ORIGINALE: Defiance; REGIA: Edward Zwick; SCENEGGIATURA: Clay Frohman, Edward Zwick; FOTOGRAFIA: Eduardo Serra; MONTAGGIO: Steven Rosenblum; MUSICA: James Newton Howard; PRODUZIONE: USA; ANNO: 2008; DURATA: 137 min.
|