Un giorno perfetto PDF 
Andrea Bettinelli   

ImageEmma e Antonio sono separati. Lei è andata ad abitare, assieme ai due figli (Valentina e Kevin), nella casa della madre; vive di stenti perché il marito non le passa gli alimenti, e lavora come centralinista in un call-center. Lui sta bene economicamente ma è sull’orlo dell’esaurimento nervoso perché non accetta l’idea del divorzio. Lavora come guardia del corpo dell’onorevole Fioravanti, uomo ricco e potente ma con molti problemi familiari: la prima moglie si è suicidata; la seconda, molto più giovane di lui, vuole andarsene di casa; il figlio lo disprezza intimamente per aver sempre pensato alla carriera. Dopo aver subito un tentativo di violenza, Emma sporge denuncia contro il marito. Antonio invita i figli a casa sua, li uccide e si toglie la vita. Dalla strage si salva, per miracolo, Valentina. Quella notte Emma sta camminando ignara per le vie di Roma, quando la assale un sinistro presentimento.

Un giorno perfetto è un film su commissione, proposto al regista dal produttore che aveva acquistato i diritto dell’omonimo romanzo di Melania Mazzucco. È la prima volta che Ferzan Ozpetek realizza un film partendo da un soggetto non suo. Ed è una novità di non poco conto, se pensiamo che gli altri suoi film sono caratterizzati da una ridondanza di temi tipici, di motivi, contenuti, piccoli particolari riconducibili alla personalità, ai gusti, alla formazione del regista turco. Non ho letto il romanzo della Mazzucco. Ma mi sembra di capire che ci siano stati problemi di compatibilità tra l’impronta cruda della pagina scritta e l’indole intimistica del regista. In alcune interviste Ozpetek ha fatto riferimento a questa divaricazione e agli interventi operati, in fase di sceneggiatura e di messa in scena, per ammorbidire alcune asprezze della storia. La scena della sparatoria finale, ad esempio, si svolge tutta fuori campo, la dinamica dello sterminio familiare è affidata esclusivamente alla colonna sonora. Certo, lo stile del film, la scorza formale, è quella tipica di Ozpetek, riconoscibilissima: basti vedere la scena iniziale, il piano-sequenza che esplora, di notte, la casa della famiglia di Emma e Antonio, insinuandosi nell’intimità delle stanze, con un movimento musicale e un indugiare sui primi piani dei personaggi addormentati. Ma l’impressione è che ci sia qualcosa di irrisolto già alla base del film, in questa compresenza di violenza e intimità, come se il regista fosse alle prese con una materia non del tutto sentita. La storia di cronaca nera di partenza dovrebbe deviare verso la forma del melodramma, ma non riesce mai ad emozionare completamente.

Detto questo, forse ci sono altri motivi che presiedono alla mancata riuscita del film. Innanzitutto, una debolezza di scrittura, di definizione dei personaggi e di costruzione delle scene, che caratterizzava già Saturno contro e che sembra segnare un’involuzione nel linguaggio del regista. Non convincono, per fare solo uno degli esempi possibili, le scene che vedono coinvolti i bambini, caratterizzate da un eccesso di leziosità e da soluzioni di facile effetto: come quella in cui il piccolo Kevin improvvisa un balletto in casa dei Fioravanti, cantando una canzone di Irene Grandi e mettendo in imbarazzo i padroni di casa. La costruzione stessa dell’inquadratura, divisa in due - i ricchi padroni in una stanza che osservano sgomenti il bambino, i servi stranieri nell’altra stanza che ridono di gusto - risente di un eccesso di artificiosità. Non fa ridere e non aggiunge niente alla storia. Così che alla fine lo sconcerto è solo dello spettatore. Ma segna il passo anche la sociologia che è sottesa a Un giorno perfetto, che è quella tipica del cinema italiano di oggi. Una rappresentazione dell’Italia che avviene all’insegna di modelli e figure ricorrenti: da una parte la borghesia urbana, ricca, moderna, collocata in appartamenti dal design raffinato e minimalista, corrosa dall’interno dal morbo dell’incomunicabilità; dall’altra parte il nuovo proletariato urbano, vittima dei processi di globalizzazione e omologazione sociale, immancabilmente alle prese con lavori precari. Ecco, forse questa vena di ispirazione si è ormai seccata e il cinema non è più in grado di ricavarne racconti originali, in grado di incuriosire ed emozionare. Anche la realtà del precariato, la popolazione del call-center, è già diventata stereotipo. Certe sceneggiature sembrano scritte, più che da scrittori, da esperti di marketing attenti a inserire nelle loro storie tutti i ritrovati della sociologia giornalistica più spiccia. Internet, i cellulari, i centri commerciali. Le nuove professioni.

D’altro canto, è curioso notare che, tutte le volte che esce da questi stereotipi sociali e narrativi, il cinema italiano riesce a dar vita, se non al capolavoro, a elementi di novità e di interesse: riesce a ritrovare forza e linfa vitale quando scantona dai sentieri battuti e prova a esplorare i margini della società, i territori decentrati delle mille province italiane. Per cui non sorprende il successo di un film come Il vento fa il suo giro, che analizza il problema - macroscopico, come sanno tutti, tranne sembra gli uomini di cinema - dello spopolamento dei paesi di montagna nel nord Italia: un soggetto formidabile di esplorazione narrativa, in cui si scontrano modernità e tradizione, lingua e dialetto, ricerca del benessere e perdita di identità. O ancora, non ci si meraviglia, assistendo a un piccolo delizioso film come Pranzo di ferragosto, di scoprire che esiste una Roma diversa da quella raccontata dai registi più quotati. Una Roma marginale, borgatara, decorosamente povera, veramente anziana e vecchia, con uno spostamento di simboli e di luoghi, dal supermercato alla bottega di quartiere, dalla cucina etnica dei locali di moda a quella popolare e casalinga di Di Gregorio.

Queste zone inesplorate hanno fatto in passato la gloria di un cinema italiano curioso, umile e ambizioso, degli Olmi, dei Pasolini, dei De Seta. Forse bisognerebbe tornare a questa lezione.


TITOLO ORIGINALE: Un giorno perfetto; REGIA: Ferzan Ozpetek; SCENEGGIATURA: Sandro Petraglia; FOTOGRAFIA: Fabio Zamarion; MONTAGGIO: Patrizio Maroni; MUSICA: Andrea Guerra; PRODUZIONE: Italia; ANNO: 2008; DURATA: 105 min.

 


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