Sideways: Sketches of Road Movie PDF 
di Giampiero Frasca   

Due amici penetrati prepotentemente oltre la soglia dei quarant'anni, un'automobile dal design 70s, strade periferiche californiane, vitigni da raggiungere e vini da degustare, un'ex moglie amata da dimenticare e una prossima moglie non completamente amata da sposare. Apparentemente, al netto del rapporto d'amicizia, del consuntivo di una metà dell'esistenza, delle aspirazioni frustrate e dei sogni abbandonati, del cortocircuito comunicativo nella relazione tra uomo e donna e del tour promozionale delle aziende vinicole californiane, questo è Sideways, ultima fatica di Alexander Payne, beffardo quarantaquattrenne di quell'amena Omaha, Nebraska, che già diede i natali a Marlon Brando (ma anche a Fred Astaire e a Nick Nolte).

La strada come tessuto connettivo di una narrazione focalizzata su due personaggi, ognuno a suo modo perdente, pur nell'illusione che quello che si stanno apprestando a fare sia solo una vacanza spensierata prima di alcuni grandi passi: un matrimonio che dovrebbe sancire l'addio ad un patologico complesso di infanzia irrisolta, un romanzo da pubblicare per poter gridare con soddisfazione la propria presenza nel mondo. Due uomini in un'auto lungo una carreggiata, un abitacolo che diventa contenitore di speranze e disillusioni, esperienze e riflessioni: già visto tante, troppe volte. Non è più tempo di Road Movie nella sua accezione originaria e, me lo si conceda, etimologicamente kerouachiana: come già più volte sostenuto, alcuni registi che del Road Movie sono stati soltanto tardi epigoni (Reynolds, Scott, Van Sant e Lynch) hanno chiuso le porte in faccia alla facile e più volte sfruttata metafora strada/vita. Menomale. In virtù della sua stessa germinazione, il Road Movie ha racchiuso la sua esistenza nell'arco di una decina scarsa di anni, caso più unico che raro di genere nato per meiosi da un altro genere (il western) e dissoltosi per consunzione dell'afflato ideologico che lo reggeva e lo sostanziava. Il film on the Road, beninteso, è tutt'altro che morto, solo che la strada non ha più quell'immanenza esistenziale, non è più veicolo allegorico di speranza illusoriamente libertaria, non si colloca più come sintesi dialettica tra viaggio e consorzio sociale da sfuggire che possedeva negli anni Settanta: la presenza del lungo nastro d'asfalto non si pone, né si può più porre, nelle sue valenze metaforiche e critiche riguardo l'ideologia a Stelle e Strisce o nella sua caratterizzazione sintomatica di vite bruciate alla ricerca fugace di un'ultima, decisiva e chimerica attestazione, bensì in qualità di semplice spazio/palcoscenico ideale, memore (a distanza) di ciò che ha rappresentato il genere al suo acme e ben consapevole delle possibilità narrative ed icastiche che esso offre (calzanti esempi di questo tipo sono i recenti thriller Radio Killer di John Dahl e Highwayman di Robert Harmon, con la strada che diventa pretesto per un corollario di incontri/minacce/pericoli/percorsi che cortocircuitano in false piste/colpi di scena/finali solo apparentemente saturi ecc.).

 

Che tutto questo si possa attagliare al Sideways di Payne è assolutamente secondario: l'abitacolo in cui Paul Giamatti e Thomas Haden Church discutono durante il loro viaggio è solo incidentalmente quello di un'automobile, dato che appare più come una mera opportunità di verosimile spostamento per giustificare la loro permanenza nelle aziende vinicole e nei motel incontrati lungo la strada, veri teatri della loro commedia esistenziale di errori e tardiva consapevolezza. Eppure, nonostante il movimento sulla strada rappresenti per la storia narrata un aspetto meramente pretestuoso, questo stesso pretesto si ammanta di decisiva importanza nel momento in cui l'iconografia di riferimento si premura di garantire gli snodi narrativi necessari ai mutamenti di indirizzo della vicenda.

Il movimento apparente
A ben guardare, Paul Giamatti e Thomas Haden Church non si muovono. Il loro viaggio è solo una gita fuori porta, ad un paio di centinaia di chilometri dalle rispettive abitazioni. La loro mancanza di evoluzione esistenziale vivifica soprattutto lungo questo aspetto. Una delle caratteristiche formali del Road Movie era la soggettiva dei personaggi oltre il parabrezza dell'auto ad osservare allegoricamente la speranza di un altrove possibile davanti a sé, lo sguardo su quel Furthur coniato da Ken Kesey come sintomatica crasi tra Oltre e Futuro; in Sideways, però, perlomeno fino all'ultima sequenza, non c'è alcuna traccia di soggettiva dei personaggi sullo spazio che essi percorrono. Il Futuro è bloccato nell'immediatezza di un'emozione (carnale) usa e getta, l'Oltre non va al di là di un abitacolo non troppo confortevole e di una stanza di motel in cui palesare i propri dubbi e le personali vacuità di realizzazione.

Sorprende quindi, ma solo da un punto di vista epidermicamente significante, che uno stacco tra due sequenze utilizzi un legame illusorio e virtuale in grado di porsi simbolicamente come lettura di un malessere profondo, ancora più grave perché non immediatamente percepibile come tale: Stephanie, la suadente sino-americana sedotta dal fascino ormonalmente replicante e avvilentemente paraculo di Thomas Haden Church, si lancia affettuosamente al collo del suo (ancora) amato mentre questi e Paul Giamatti stanno sorseggiando un drink al bancone del bar del motel. La donna esorta Haden Church: "Noi dobbiamo andare", quasi un ribaltamento del motto beatnik ribadito e perifrasato a più riprese, tra gli altri, da Captain America e da Sissy Hankshaw; Paul Giamatti, che vede a rischio il prosieguo della vacanza, risponde, anche se non chiamato direttamente in causa, con un allarmato "dove???". Dove? Stacco, fine sequenza, inizio della successiva. Un'auto rossa inquadrata con una plongèe sull'asfalto. Momento di perplessità. Dove? Nella sala giochi di un bowling delle vicinanze, perché l'auto beffardamente in movimento è quella di un videogame che rende palesemente fittizio ciò che reale non può più essere per sperimentata incapacità e scorata indolenza dei protagonisti. Il movimento paradossalmente (e indicativamente) si immobilizza, paralizzando viaggio, vacanza, situazioni e potenziale evoluzione dei personaggi attraverso un raccordo tra due segmenti di pellicola che si mostra falsamente consequenziale sul piano narrativo, quanto brillantemente emblematico su quello simbolico.


Deviazioni
La plongèe come cifra stilistica decisiva, l'identità di schemi visivi come ripetizione significativa: la macchina da presa posizionata ad un'altezza relativamente elevata, atta ad inquadrare il tragitto di un'autovettura in prossimità di un bivio (stradale, ma anche esistenziale); situazioni simili che si ripetono con differenti modalità per sottolineare la progressione dal punto di vista narrativo.

Situazione 1. Paul Giamatti ha da poco baciato Maya; entrambi sono appena usciti dall'abitazione di Stephanie dopo la serata trascorsa insieme. Si fermano nello sterrato prossimo all'abitazione, poco prima di imboccare la strada che porta sull'arteria principale. Paul Giamatti auspica una felice continuazione della nottata, ma Maya rifiuta con estremo garbo. Maya, con la sua auto, si dirige a sinistra, Paul Giamatti va dalla parte opposta, svoltando sulla destra.

Situazione 2. Stesso luogo, identica inquadratura, ma questa volta una sola auto. Dentro di essa Maya e Paul Giamatti. L'auto svolta a sinistra, verso l'abitazione di Maya, come la situazione 1 ha precedentemente chiarito allo spettatore. Il significato è lasciato all'inferenza del pubblico, che non deve sbizzarrirsi molto per comprenderlo.

Situazione 3. Matrimonio di Thomas Haden Church. Paul Giamatti, in crisi perché la sua embrionale relazione con Maya si è arenata per un'inopportuna gaffe, crolla definitivamente quando dopo la funzione incontra l'ex moglie, risposatasi recentemente, e apprende che quest'ultima aspetta un bambino. Una lunga teoria di automobili prende il via dal sagrato della chiesa per raggiungere il luogo dei festeggiamenti. Della lunga teoria fa parte anche l'auto, ormai semidistrutta, di Paul Giamatti. La macchina da presa inquadra il segmento ancora una volta da una posizione elevata: il corteo di invitati sterza a destra, mentre Paul Giamatti, improvvisamente, decide di sottrarsi al suo ruolo di invitato e di indirizzarsi a sinistra, lontano dalla baldoria che sente così estranea al suo attuale stato d'animo, e di riconnettersi con la sua monotona ma rassicurante quotidianità.

Tre semplici e discrete deviazioni di percorso che evidenziano altrettanti snodi narrativi di rilievo: frustrazione dell'obiettivo, raggiungimento momentaneo dello stesso, presa di coscienza del bisogno di una svolta decis(iv)a nella propria esistenza. Il tutto marcato da una costante rappresentativa che confronta esplicitamente le varie situazioni non solo tra loro, ma anche in relazione al motivo del movimento, spesso frustrato, talvolta bloccato, sovente inutile, ma proprio per questo da osservare attentamente per discernere le poche e determinanti variazioni di un percorso che parrebbe già definito.

Lo sguardo davanti a sé
Un altro scarto nelle modalità di rappresentazione, sicuramente quello decisivo. Si accennava in precedenza alla totale mancanza di quello che nella pratica del Road Movie è lo sguardo dal veicolo, la soggettiva oltre il parabrezza dell'auto, che nell'epoca d'oro del genere forniva attitudini e propensioni alla figura del personaggio (e dello spettatore), il quale, in virtù dell'induzione prospettica adottata, era chiamato a percorrere il tragitto spaziale attraverso una gerarchia formale di predisposizioni e linee di forza che doveva solo essere decodificata per accedere al piano del significato.

In Sideways nessuna predisposizione: in avanti non si guarda perché da una parte, quella di Thomas Haden Church, c'è un matrimonio deciso da tempo che non offre la necessaria fibrillazione emotiva e una carriera di attore in fase di stallo; dall'altra, quella di Paul Giamatti, ci sono le scorie di un divorzio non ancora elaborato, un'esistenza grigia e un romanzo che nessuno vuole pubblicare. Ci si guarda vicendevolmente, a volte ci si specchia per notare le differenze, ma la volontà di guardare avanti, oltre il parabrezza, per vedere la proiezione di se stessi su una strada sempre uguale, nelle vicinanze delle proprie dimore, tanto per non sprofondare in un ignoto da cui si conosce a priori la difficoltà di fuoriuscire, è praticamente (e indicativamente) inesistente. Thomas Haden Church, nonostante la complicata settimana libertina, si sposa e si conforma; Paul Giamatti ha invece un piccolo ma decisivo sussulto: non c'è un controcampo che lo espliciti, ma lo sguardo dal parabrezza dell'auto sulla piovosa strada che lo conduce all'abitazione di Maya è inequivocabilmente suo. Una soggettiva davanti a sé, l'unica dell'intera pellicola, per lasciarsi alle spalle la delusione di un matrimonio naufragato con tutte le sue residue illusioni, un romanzo fiume di impossibile collocazione e una quotidianità reiterata ed invariabile. Uno sguardo diretto oltre il parabrezza rigato dalle gocce di pioggia, al di là della congiunzione delle linee di fuga della carreggiata, rivolto alla speranza e alla possibilità di bussare alla porta di Maya, per dimenticare i banali errori del passato e poter ricominciare su basi nuove. Una sola soggettiva; in grado, però, di cambiare il corso degli eventi di una vita e gli equilibri narrativi di un intero racconto.

 


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