L'uomo di vetro PDF 
Andrea Bettinelli   
di Andrea Bettinelli
L'uomo di vetro racconta la vicenda di Leonardo Vitale, il primo pentito di mafia della storia del nostro paese. Arrestato il 17 agosto 1972 con il sospetto di avere preso parte al sequestro Cassina, in carcere decide di collaborare con la giustizia rivelando i nomi dei principali esponenti della mafia palermitana. Liberato dopo 43 giorni di isolamento, ha un crollo psichico che lo precipita nella depressione: i boss mafiosi fanno leva su questo disagio per indurre la famiglia a farlo ricoverare in manicomio. Dopo essersi ripreso, Vitale torna a testimoniare il 30 marzo 1973, ma le sue deposizioni vengono invalidate dai segni di un delirio mistico che sfocia in atti clamorosi, come quando si incide una croce sul petto con una scheggia di vetro, a espiazione delle proprie colpe, o come quando brucia i propri vestiti perché acquistati con soldi sporchi di sangue. I suoi avversari hanno quindi buon gioco a farlo passare per pazzo e provocarne la definitiva reclusione in manicomio. Vitale ne esce sono nel 1984, quando viene freddato da sicari.
Alla base della ricostruzione operata dal film è il libro omonimo - edito da Bompiani - di Salvatore Parlagreco, giornalista siciliano esperto in cose di mafia, che ha a sua volta preso in prestito il titolo da una novella di Miguel De Cervantes, in cui si racconta di un uomo che finge di essere pazzo e, quando decide di rinsavire, non viene creduto da nessuno. Questo riferimento letterario può essere a ben ragione traslato dal libro al film, visto che il regista Stefano Incerti (napoletano, già autore de Il verificatore) decide di trattare la materia al di fuori dei soliti cliché legati al filone del cinema di mafia, in cui a prevalere sono di solito gli elementi dell'indagine e della denuncia; e di sottoporla invece a una lievitazione drammatica che mette in primo piano non soltanto - come è stato rilevato - gli aspetti psicologici e morali, ma anche un simbolismo dai risvolti tragici, come se il protagonista venisse immerso nella sostanza filosofica di un dramma pirandelliano.
Per questo sembra opportuno rilevare come l'aspetto più interessante del film consista in una continua sottolineatura degli aspetti di ambiguità di Vitale, che resta sospeso per tutto il film tra innocenza e colpevolezza da una parte, tra lucida consapevolezza e pazzia dall'altra. I suoi gesti si prestano a una duplice lettura che lo spettatore non riesce a risolvere in modo univoco perché - sembra suggerire la regia - intelligenza e follia coesistono nel personaggio e probabilmente si alimentano a vicenda: forse a questa irriducibilità allude il montaggio della sequenza finale che alterna il primo piano di Vitale sdraiato sul letto del manicomio, con gli occhi spenti e inespressivi, a scene di felicità del passato, con il mare siciliano sullo sfondo. Va notato che questa contraddizione caratterizza anche i familiari di Vitale: in modo più palese lo zio Titta, uomo d'onore, che tenta invano di ricucire il dissidio che si è creato tra la famiglia naturale e quella acquisita con il giuramento di mafia; in modo più sfumato la madre, che pur cercando di proteggere il figlio, finisce con il prestarsi al progetto di rinchiuderlo in manicomio, dal suo punto di vista per salvarlo dalla morte, dal punto di vista della mafia per togliere credibilità alla sua testimonianza. È questa un figura inedita e di grande interesse, né madre-coraggio né madre-mafiosa, una "donna di vetro", persa nella stessa fragilità del figlio.
Nel film sembra poi acquisire un grande peso, che va al di là delle strette esigenze narrative, il tema della psichiatria e dei suoi metodi di cura negli anni Settanta, prima della riforma Basaglia. Come se il regista avesse colto l'occasione per tornare su questo spunto polemico che il cinema italiano ha già affrontato altre volte (di recente Marco Tullio Giordana ne La meglio gioventù), rappresentando in modo dettagliato l'iter clinico basato sull'elettroshock ed equiparando sostanzialmente il manicomio all'universo carcerario.
Per concludere, il film è raccontato con taglio asciutto e sicuro, sulla base di una sceneggiatura solida e senza sbavature (dietro cui si sente la mano esperta di Heidrun Schleef), e acquista forza e vitalità grazie all'apporto di un cast di bravissimi attori siciliani, da David Coco (Segreti di stato e Placido Rizzotto) a Tony Sperandeo, e della napoletana Anna Bonaiuto, splendida nel ruolo della madre.
Note:
(1) L'ingegnere Luciano Cassina, figlio del conte Arturo Cassina, deteneva a Palermo il controllo dei lavori riguardanti le strade, l'illuminazione pubblica e le fogne. Fu rapito su iniziativa di Totò Riina.
L'UOMO DI VETRO
(Italia, 2007)
Regia
Stefano Incerti
Sceneggiatura
Salvatore Parlagreco, Heidrun Schleff, Stefano Incerti
Montaggio
Cecilia Zanuso
Fotografia
Pasquale Mari
Musica
Andrea Guerra
Durata
96 min
 


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