Diaz PDF 
Maurizio Ermisino   

Una bottiglia vuota volteggia nell’aria al ralenti. Come se non avesse peso, come se fosse la piuma di Forrest Gump. Ma un peso ce l’ha e si infrange al suolo. È questo l’inizio di Diaz - Don’t Clean Up This Blood, il film di Daniele Vicari sui fatti del G8 di Genova del 2001, che arriva finalmente sugli schermi, dopo che nessuno sembrava volerlo produrre. Che cos’è quella bottiglia? È il fatto dal quale i capi della polizia, trasformando il lancio di un pezzo di vetro in un “copioso lancio di oggetti”, hanno tratto il pretesto per un’irruzione indiscriminata alla scuola Diaz, dove dormivano alcuni membri dei Social Forum, giornalisti, sindacalisti e anche qualche persona che non aveva trovato posto in albergo. Diaz è un’opera corale che racconta tutte queste storie, decine di rivoli che sono confluiti in un’unica grande tragedia. Un film che prova a spiegare l’inspiegabile, come possa accadere che in un paese civile e democratico venga instaurato uno stato di polizia in tempo di pace, che chi dovrebbe essere preposto a proteggere finisca per massacrare degli indifesi. Lo fa mostrando i fatti, attenendosi agli atti del processo, che sono ormai acquisiti. Quello che vediamo è tutto vero.

Quella bottiglia che volteggia nell’aria per schiantarsi arriva dal processo. È da quegli atti che Vicari ha appreso che non si trattava di un copioso lancio di oggetti, ma di una singola bottiglia. Che così diventa il simbolo della mistificazione della realtà, dell’uso pretestuoso dei fatti piegato ai propri fini da parte di chi aveva il comando in quei giorni. Ma quella bottiglia diventa per Vicari anche un joystick per manovrare la narrazione avanti e indietro, per mostrare più punti di vista sullo stesso fatto. Perché Diaz ha il ritmo narrativo tipico dei media di oggi, dalla Playstation a Internet a YouTube, che permettono di entrare in una pagina per poi uscire e rientrare in un’altra, di fermare, riavvolgere e far ripartire la narrazione da un’altra parte, di uscire ed entrare nelle storie con un click, da pagine e da punti di vista diversi. I nuovi media, come sono oggi, allora non c’erano ma cominciavano già a diffondersi: c’era Internet, c’erano migliaia di microcamere pronte a filmare la propria versione della storia, c’era Indymedia. E proprio grazie a questi mezzi oggi non abbiamo una sola versione (“di regime”) di quei fatti. Diaz, in questo modo, vuole da un lato affermare la libertà e la pluralità dell’informazione, e dall’altro lato avvicinarsi al pubblico dei giovani, quello che conosce il linguaggio dei videogiochi più di quello del cinema.

Ed è importante che Diaz arrivi a tutti. Perché quei giorni del G8, quelli del popolo di Seattle e dei Social Forum, quelle persone che combattevano perché il mondo non diventasse quello che è diventato oggi, ora ci sembrano lontane un secolo. Il tempo è qualcosa di strano: fino a poco tempo fa il G8 di Genova ci è sembrato sempre ieri, un passato prossimo, poi, di colpo, ci siamo accorti che sono passati più di dieci anni. Diaz, grazie a una ricostruzione accurata, e a un uso del materiale di repertorio che si lega perfettamente con il girato, fa sì che lo spettatore venga immerso in quei giorni in maniera vivida, reale, in maniera che già dopo poche scene sembri di stare a Genova accanto a quelle persone. E di conseguenza di sprofondare in quello che diventa un horror, uno di quei film dove non c’è via d’uscita e da un brutto sogno si passa a un incubo peggiore (la caserma di Bolzaneto dopo gli orrori della Diaz). Diaz è allo stesso tempo un horror, un film di guerra, un film sociale, ma soprattutto è grande cinema civile, quello dei Rosi e dei Petri, che in Italia mancava da tempo. E c’è un filo rosso, rosso sangue, che lo lega a Romanzo di una strage, altro buco nero nella Storia della nostra democrazia, piombato ormai in quella “zona rimozione” dove piombano tutte le tragedie italiane. Mentre Silvio Berlusconi appare per qualche secondo in immagini di repertorio, a fare quello che meglio sa fare, dire bugie, Diaz ci ricorda che proprio il cinema, meglio di qualunque altro mezzo, può evitare che avvenga quella rimozione tanto in uso in Italia, ed essere quindi il mezzo più efficace per non dimenticare.

Diaz è un film che andrebbe fatto vedere a forza a tutti - soprattutto a chi ancora non ha chiesto scusa - come una “cura Ludovico” al contrario, non per reprimere ma per far conoscere, con gli eyes wide open, gli occhi tenuti aperti a forza. Tutti devono vedere cosa è successo. “Beato quel popolo che non ha bisogno di eroi”, scriveva Brecht. Forse di eroi l’Italia non ne ha bisogno, e comunque non ce ne sarebbero. Ma per non dimenticare, per non insabbiare, per denunciare, per spiegare a chi non lo sa, oggi l’Italia ha disperatamente bisogno del cinema.

Titolo originale: Diaz - Don't Clean Up This Blood; Regia: Daniele Vicari; Sceneggiatura: Daniele Vicari, Laura Paolucci, Alessandro Bandinelli, Emanuele Scaringi; Fotografia: Gherardo Gossi; Montaggio: Benni Atria; Scenografia: Marta Maffucci; Costumi: Francesca Vecchi, Roberta Vecchi; Musiche: Teho Teardo; Produzione: Fandango, Mandragora Movies, Le Pacte, Alto Adige Film Commission; Distribuzione: Fandango; Durata: 127 min.; Origine: Italia/Romania/Francia, 2012

 


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