Il principe del deserto PDF 
Eva Maria Ricciuti   

Jean-Jacques Annaud è un artigiano del cinema, un profondo conoscitore del mestiere, un maestro indiscusso nell’esprimere per immagini passione, conoscenza, sogni, speranze, frustrazioni. Un cantastorie del cinema che racconta di mondi lontani e realtà sconosciute affascinando il suo pubblico e regalandogli istantanee preziose, emozioni profonde. Quanti di noi, immaginando un battello sul fiume, non ricordano la scena della traversata di L’amante? A chi è capitato di dimenticare per sempre che Sean Connery è stato, fra gli altri, anche il Guglielmo da Baskerville di Il nome della rosa? I film di Annaud rimangono impressi nella memoria proprio per questo loro “plus”, per  questa verità che ne sottende la narrazione, per questo loro mostrare nelle evidenze delle immagini i non detti, le possibilità esplorabili e inesplorate dei rapporti umani e dell’umano con la natura. Da Il nome della rosa a L’Orso, da L’amante a Sette anni in Tibet, l’universo umano è indagato, mostrato e descritto nelle sue aspirazioni e paure, nelle contraddizioni del rapporto con i suoi simili e con la natura, presenza che diventa quasi umana, personaggio in tutto e per tutto, primus inter paris, nelle pellicole del regista francese.

Il principe del deserto è l’opera che segna il ritorno di Annaud alla regia a quattro anni di distanza dall’ultima pellicola Sa Majesté Minor, uscita nel 2007 con scarsi successi. Dodicesimo film di una brillante carriera, abbraccia le immense distese del deserto narrando la storia del giovane Auda, figlio secondogenito del sultano di Salmaah, Amar, che seguendo un’antica tradizione, a seguito della sconfitta del padre da parte dell’emiro e rivale storico di Hobeika, Nesib, passa in dote a quest’ultimo insieme al fratello Saleeh, come garanzia del patto stipulato secondo il quale nessuno dei due sovrani potrà avanzare diritti sulla terra di confine tra i due regni: la Striscia Gialla. Uomo di lettere dalla indole mite e pacifista, Auda si ricongiungerà al suo vero padre solo dopo la morte violenta del fratello Saleeh, facendosi carico di guidare il suo popolo alla riconquista del predominio sulla Striscia Gialla, motivato dalla scoperta di un ricco giacimento di petrolio, dal miraggio della ricchezza e dalla paura che i proventi  finiscano per incrementare le ricchezze e il potere di Nesib.

Le sabbiose dune del deserto sembrano quasi accentuare i toni edulcorati della narrazione che Annaud sceglie di utilizzare in questa sua nuova opera. Le lunghe sequenze che indugiano sulla silhouette sinuosa delle dune, le luci calde, la dominanza dei gialli e degli ocra testimoniano ancora una volta l’amore di Annaud per la natura, in ogni sua manifestazione, che stride e combatte la violenza degli insediamenti umani, o almeno di alcuni insediamenti umani. Tuttavia, questa volta, la magniloquenza e l’irrefrenabile gusto per l’estetica del maestro connotano con eccessiva enfasi la pellicola, dando così vita a situazioni spesso ridondanti, quasi a voler manifestare a tutti costi quella tanto conclamata conoscenza e padronanza del mezzo che l’universo cinefilo gli tributa, facendola virare al grottesco e trasformando infine in difetti insopportabili quelle stesse caratteristiche che hanno fatto la sua fortuna.

La sceneggiatura - firmata da Annaud in collaborazione con Menno Meyjes - si perde sovente in passaggi inutili e forzati, rallentando il ritmo della narrazione e accentuando le incoerenze narrative della trama, soprattutto per quello che riguarda l’evoluzione del carattere dei personaggi. Ciò che convince di meno, infatti, è il cambiamento, poco credibile, che coinvolge il protagonista (Auda, brillantemente interpretato da Tahar Rahim), che da uomo di studio, goffo e mite, improvvisamente, quasi immotivatamente tanto il passaggio è repentino, si trasforma in impavido condottiero pronto a guidare le schiere di un intero esercito per perseguire i propri ideali. Del tutto insignificanti, peraltro, risultano le performance di Antonio Banderas (che presta le sue sembianze a Nesib) e Freida Pinto, nomi di richiamo che tuttavia, e nonostante la conclamata esperienza, deludono e quasi infastidiscono lo spettatore, lasciando l’amaro in bocca. In ultima analisi, Il principe del deserto è una pellicola deludente, offuscata da granelli di sabbia che il vento non è riuscito a portare via, lasciandoli lì, a coprire di roba inutile il prezioso che è in Annaud, ma che questa volta non si è riuscito a liberare.

Titolo originale: Black Gold; Regia: Jean-Jacques Annaud; Sceneggiatura: Menno Meyjes, Jean-Jacques Annaud, Alain Godard; Fotografia: Jean-Marie Dreujou; Montaggio: Hervé Schneid; Scenografia: Fabienne Guillot; Musiche: James Horner; Produzione: Quinta Communications, Prima TV, Carthago Films S.a.r.l., France 2 Cinéma; Distribuzione: Eagle Pictures; Durata: 130 min.; Origine: Francia/Italia/Qatar, 2011

 


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