La 25ª ora PDF 
di Leone Augusto   

Val Valkmann, il regista newyorkese dell'ultimo film di Woody Allen, Hollywood Ending, a un certo punto perde la vista e gira lo stesso il suo film. La cecità è qui evidente metafora dell'incapacità del cinema contemporaneo di interpretare la realtà. Di fatto un filo conduttore lega tutte le più significative uscite sugli schermi delle pellicole targate USA ed è l'urgenza da parte della società americana, dopo l'11 settembre, di ridefinire i propri valori, il suo bisogno di riflessione e critica nei confronti di se stessa, delle sue istituzioni, della sua forma mentis, e del suo modo di fare arte: basta pensare alla verità di lacrime e sangue dietro il mito della gloriosa democrazia statunitense svelata da Scorsese in Gangs of New York; ma persino in Chicago di Marshall, tratto da un celebre musical, il virtuosismo della struttura e la strabiliante abilità del montaggio nascondono con stile la presa in giro inclemente dell'orgoglio dell'uomo medio americano per l'appartenenza a un sistema e a una civiltà. Con La 25° ora di Spike Lee si può, però, dire che il cinema ha riacquistato di nuovo la vista ed ha ripreso il suo ruolo di coscienza etica di una nazione.

Lee, a differenza del suo maestro (all'università di N.Y.) Scorsese, rimuove e sottintende il passato, quello remoto e quello prossimo, e sceglie piuttosto di penetrare con la sua macchina da presa direttamente dentro la lacerazione subita dalla sua città: i fasci di luce blu al posto delle Torri Gemelle costituiscono lo sfondo di tutta la pellicola. È in quello spazio vuoto che dà la finestra di uno dei protagonisti della vicenda ed è quello il perimetro attorno a qui tutti ruotano, vero cuore pulsante della metropoli come di tutto il film. Lo choc sta infatti alla base dell'intera sua struttura: l'imminente arresto per spaccio di droga di Monty (Edward Norton) produce uno squarcio violento nella sua vita e in quella di coloro che gravitano attorno a lui, il padre, la ragazza e i due migliori amici conosciuti a scuola, e la pellicola ne racconta le ultime ventiquattro ore di libertà. Spacciatori, violenza, odi razziali sono la geografia abituale della filmografia di Lee, ma il protagonista di La 25° ora è qualcosa di profondamente diverso: gli "eroi" di Fa' la cosa giusta o di Clockers erano una parte essenziale di New York, Monty è New York. Basta osservarne l'aspetto e l'atteggiarsi: niente abiti chiassosi e modi di fare arroganti da mafioso di infimo livello, ma l'eleganza sobria e raffinata, l'urbanità disincantata, l'amore per gli animali, la pacatezza e persino la paura di subire violenza in carcere di chi vive al Village, stesso quartiere di Woody Allen, stessa zona snob della metropoli più snob del mondo occidentale. Ma è solo apparenza, ipocrisia, Monty non va in prigione innocente; dietro gli abiti scuri da intellettuale, Monty nasconde la realtà di chi per procurarsi da vivere agiatamente provoca rovina e morte con lo spaccio di stupefacenti vari. La "grande mela" ha dunque la coscienza sporca.

Ma la diagnosi inclemente di Lee non si ferma qui: egli, pochissimo interessato allo scialbo intimismo di molti suoi colleghi americani ed europei, lascia, infatti, abbastanza in ombra la psicologia del suo antieroe, riducendone al minimo indispensabile la presenza, mette sulla scena più che degli individui dei simboli e sa renderli vivi, facendoli interagire fra loro in un contesto sociale conflittuale ed esplosivo. Come Monty, anche i suoi due migliori amici, Jacob (Philipp Seymour Hoffman) e Frank (Barry Pepper), si identificano perfettamente con New York: Jacob fa, come gli ricorda lo stesso Monty, il nobile mestiere di insegnante, ma forse è persino più colpevole ed ipocrita di lui, poiché viene meno al suo compito di trasmettere valori, non ne ha l'energia e la forza, e si infatua di una provocante diciassettenne (Anna Paquin) che invece dovrebbe educare. Illuminante la scena in cui Jacob fa la sua lezione di letteratura, con gli studenti seduti in circolo: viene letta la poesia "L'amante ritrosa" (la scelta è casuale?), il professore chiede agli allievi di esprimere il proprio punto di vista, ma l'unico ad alzare una mano è uno studente che chiede di uscire; solo la studentessa procace dà una sua risposta, ma riduce tutto a una questione spicciola di sesso, esprimendosi con il triste linguaggio da "caserma", con cui si esprimono qualche metro più in là gli operatori di borsa della prestigiosa banca di affari di Frank…e il docente non sa fare altro che ricavarne frustrazione, scontentezza. Non è questa la realtà delle nostre aule scolastiche? Senza contare poi che Jacob è ebreo e la sua figura fa venire in mente i tanti personaggi imbranati innamorati di adolescenti dei film così tipicamente newyorchesi di Woody Allen; la loro afasia, la loro arrendevolezza, il loro riflettere solo attorno al proprio ombelico, di fronte alla crisi evidente di una civiltà è un altro preciso atto di accusa, è un altro squarcio violento nel cuore della società stessa.

Forse meno nuova dopo Wall Street di Oliver Stone, ma altrettanto funzionale al messaggio della pellicola è la figura di Frank, il disinvolto e arrogante broker di Wall Street: il crollo della borsa, gli scandali finanziari hanno fatto crollare molte certezze e la fiducia nella trasparenza e nell'onestà di un intero sistema economico e anche in questo caso ci sono i colpevoli, quelli che come Frank determinano l'andamento dei mercati, scommettono ed esultano per un dato parziale ed irrilevante e creano un'economia irreale, precaria, un castello di carte che non può far altro che cadere, creando migliaia di vittime, esattamente come l'ecstasy venduta da Monty e come gli aerei di Bin Laden.

Ed è proprio questo che Lee ha il coraggio di dire con estrema lucidità: il buco in mezzo alla città non è uno solo; le ferite mortali autogeneratesi nel cuore della metropoli sono molteplici, il "ground zero" le rende visibili e percepibili in modo ineluttabile. La notte trascorsa da Monty e dai suoi cari in una Manhattan nebbiosa, quasi popolata da fantasmi, vulnerata e dolente, è una rabbiosa discensio ad inferos che ha come punto d'arrivo il rimorso della consapevolezza: Monty, chiuso in una toilette di un bar, intona a ritmo di rap un "fuck you" includente tutti, da se stesso a Bin Laden, da Bush ai dirigenti della Enron; ed è frase ricorrente in bocca ai suoi amici "che abbiamo fatto noi per evitarlo?". Il dolore impotente esplode nella rissa finale fra i tre, pugni che paradossalmente rinsaldano il loro vincolo di fratellanza e non lo dissolvono nell'indifferenza.

Si, perché qualcosa si salva in noi da tanta sofferenza e distruzione. E' la capacità di essere leali nell'amore e nell'amicizia: Monty scopre che Naturelle (Rosario Dawson) non lo ha tradito e lo ama davvero; l'idillio dell'altalena nel parco giochi, unica sequenza serena del lungometraggio, momento in cui si sono conosciuti, non è infranto, potrà conservarsi intatto nella sua memoria; Frank starà seduto nella stessa panchina in riva all'Hudson e Jacob porterà a passeggio il suo cane, simbolo di fedeltà, con cui non a caso inizia il film. Ma è immagine di fedeltà e di appartenenza a un popolo e alla sua storia nonostante tutto anche la bandierina a stelle e strisce sull'auto del padre di Monty, mentre, nella conclusione, lo accompagna in prigione.
Nella medesima sequenza il vecchio genitore prospetta al figlio una via di fuga verso il Messico, e gli parla di una possibile vita di famiglia serena in una bella casa dipinta di bianco e conclude la descrizione dell'ipotetico Eden con questa frase "Tu dirai ai tuoi figli: c'è mancato poco che tutto questo non avvenisse". Ma, pare suggerirci con questa fine enigmatica Lee, cosa racconteremo noi ai nostri figli e nipoti? E, soprattutto, li avremo? Di fatto a una civiltà arrivata sull'orlo di un precipizio può avvenire tutto o niente: e noi, se è vero come si sente dire spesso, siamo tutti americani?

Continueremo a vivere nell'Arcadia dell'inconsapevolezza fino alla caduta inevitabile nel precipizio, giacché difficilmente la storia perdona, o intraprenderemo il sentiero di Monty, verso l'assunzione delle proprie responsabilità, per far sopravvivere un mondo simile a quello che egli lascia dietro le porte della sua prigione, e per scoprirne uno più sano, il giorno lontano in cui vi uscirà? Certo è che non avremo una 26° ora.

 


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