Rai 3, inverno 2000, ventiquattro, e dieci ("purtroppo", come precisa la sigla); Antonio Rezza galoppa per le strade di Roma, s'intrufola all'improvviso nei pensieri delle persone in transito, le insegue, le rincorre e porge loro l'estremità del suo braccio sinistro: una mano su cui si arrampica un microfono, pronta ad accogliere parole. (non) Interviste, (non) riflessioni e (non) pensieri resi in qualche modo tali solo dalla presenza di due telecamere, una professionale e una handycam digitale gestita da Flavia Mastrella con l'intento di essere gammaticalmente scorretta. Come è possibile rispondere a domande del tipo "Chi è più vicino alla purezza di un Platini: una persona che corre e suda o un disabile?". Oppure, "Le persone alte non dovrebbero essere privilegiate nel trovare un posto di lavoro?"; e ancora, "Perché i baffi ricrescono e un braccio non ricresce?". Se c'è una telecamera accesa è possibile trovare delle risposte.
Intrusioni nella vita anonima di tutti i giorni, nei gesti, ma soprattutto nelle parole quotidiane, quelle superflue, non necessarie. E così tante persone si trasformano per forza di cose in personaggi inquietanti, divertenti, spiritosi, logorroici, morbosi, presuntuosi, ridicoli o ingenui; persone che altrimenti si ignorerebbero, sono condotte dalla presenza televisiva a un confronto, a una relazione spesso imbarazzante. Antonio Rezza e Flavia Mastrella sembrano trovare con Troppolitani l'unica via praticabile per quella televisione che cerca di catturare la realtà ma, nello stesso tempo, demoliscono le fondamenta del potere televisivo italiano odierno. Gli spunti infatti, le domande intrise di volontarie provocazioni, assurde divagazioni e generalizzazioni a cui nessuno reagisce, trascendono la banalità, e allora sorge il sospetto che non si discostino molto dal livello di certi speciali televisivi sulla società proposti dalle redazioni giornalistiche. Non appena la camera comincia a registrare, Rezza comincia a violentare la realtà, ma sempre con umorismo. Le sue improvvisazioni verbali nonsense fanno ridere lo spettatore, a cui viene comunque il dubbio o il timore di essere troppo simile alle cavie intervistate, agli abitanti della metropoli.
Un'analisi sociale attraversa Troppolitani, e se ne può scovare l'intento già nella scelta dei luoghi: parchi dove si va per correre e mantenersi in forma, l'esterno dello stadio nell'imminente svolgimento di un'importante partita di calcio, l'ippodromo, l'università, i mezzi pubblici, l'ufficio di collocamento, il cimitero, la stazione, ma anche una chiesa e i dintorni di un ospedale. Lo sguardo del Rezza intervistatore spesso vaga, e l'attenzione verso chi è disposto a rispondere latita; il suo aspetto al contrario attira proprio l'attenzione dei passanti, che tuttavia anche di fronte all'assenza di metà baffi, non si stupiscono affatto. Durante il dialogo, poi, la stessa televisione da tutti stimata per aver alfabetizzato gli italiani diventa portatrice di un linguaggio ufficioso o anche inesistente. E qui fa la sua parte anche la vocalità di Rezza, non solo quella più nota, la stessa che i suoi personaggi assumono negli spettacoli teatrali, ma anche quella caratterizzata da un tono che non nasconde la superfluità di alcune parole.
A due anni di distanza dalla realizzazione di questa idea così poco televisiva, se si prende in considerazione l'immagine canonica e più diffusa che si ha del mezzo, esce in una sola sala cinematografica (finora) Delitto sul po, ulteriore conferma di come in Italia chi è disposto a evitare l'autocensura e a percorrere nuove strade, esista, ma non è sufficientemente appoggiato. Sottotitolo della pellicola ideata e realizzata da Antonio Rezza e Flavia Mastrella: Antifilm a corpo morto. Intanto su Rai 3, in pieno inverno 2002, fra le ventiquattro e l'una circa, le notizie di Rai News 24 cominciano a occupare la prima parte della nottata per poi essere replicate fino all'alba...
|