Ritorno al futuro di un mito passato: il leggendario Green Hornet PDF 
Gianmarco Zanrè   

Le prime apparizioni del famigerato Calabrone verde – adattamento non felicissimo dell’originale Green Hornet – risalgono addirittura ad uno show radiofonico che andò in onda negli Stati Uniti dal 1936 al 1952, riscuotendo un successo così ampio da accendere la scintilla che sarebbe sfociata, all’inizio dei Quaranta, in fumetti e lungometraggi. In un’epoca in cui gli eroi in costume inauguravano la loro età dell’oro, Green Hornet si inseriva alla perfezione nel filone dei giustizieri, alla Batman e, a partire dagli anni Settanta, alla Daredevil, entrambi più noti, soprattutto presso il pubblico giovane, allora come ora, dell’alter ego di Britt Reid. Eroi importanti e d’impatto perché molto più vicini alla realtà quotidiana dei loro fan, in quanto tendenzialmente privi di superpoteri che non fossero un costante allenamento e una mente aperta e il più possibile lucida, dedita alla tattica e allo studio dell’avversario, nonché, spesso, osteggiati dalla legge e dalle forze dell’ordine quanto e più dei loro stessi nemici.

Ma fu con la serie televisiva andata in onda sul finire degli anni Sessanta che Green Hornet conobbe un rilancio unico e un successo insperato, anche grazie alla partecipazione, nel ruolo di Kato, di un attore divenuto in quegli anni simbolo di più di una generazione, e ancora oggi leggendario: Bruce Lee. A partire dalle uniche due stagioni che vennero realizzate, il personaggio divenne un vero e proprio culto per gli appassionati di fumetti e di arti marziali, e continuò a raccogliere fan, nel corso dei decenni, pur rimanendo, di fatto, un character “di nicchia”. Lo stesso Quentin Tarantino, grande appassionato delle avventure del Calabrone, lo omaggiò prendendo in prestito la theme song della sigla della vecchia serie per una delle sue creature più celeberrime, quel Kill Bill che incantò vecchi e nuovi fan del geniaccio di Knoxville, e che ora, per i neofiti del Calabrone, potrebbe addirittura risultare come un omaggio “al contrario”. Seth Rogen, coltivando la stessa passione del regista di Pulp Fiction, inseguiva il progetto di un reboot del personaggio ormai da anni, tanto da cogliere al volo la disponibilità data dalla produzione e da Michel Gondry, autore normalmente lontano dalle atmosfere del cinema d’azione di largo consumo, rimettersi in forma e preoccuparsi in prima persona della sceneggiatura, che non solo interpreta il personaggio secondo i canoni e le convenzioni sociali degli anni zero, ma ne offre una versione sicuramente più “terra terra” di quanto non fosse stato sviluppato ormai più di settant’anni fa.

L’impronta e la presenza di Rogen, tra gli elementi di maggior spicco della new wave della commedia trash/intelligente made in Usa degli ultimi anni – il ponte ideale che collega Kevin Smith e SuXbad –, si fanno sentire principalmente nel personaggio di Reid e nei suoi scambi con Kato, che da aiutante tuttofare diviene un vero e proprio genio, il vero “supereroe” del duo, almeno fino alla piena maturazione del protagonista. Di certo, i fan più accaniti di Michel Gondry non tarderanno a rimproverare il regista, da sempre simbolo di un’autorialità spiccata, qui quasi irriconoscibile sia nello stile che nelle scelte tecniche: l’impressione, però, è quella che il cineasta dei magici Eternal Sunshine Of The Spotless Mind e L’arte del sogno, in realtà, si sia semplicemente divertito senza involgarire troppo la sua opera – vicissitudine occorsa, al contrario, a Florian Von Donnersmarck con The Tourist –, confezionando un lavoro più simile al primo Iron Man e agli Spider Man di Sam Raimi. Certo, siamo lontani dai miracoli del Batman di Nolan, ma la divertita atmosfera al crocevia tra fumetto ed action movie avvince e tiene bene il minutaggio, a patto di considerarla un puro e semplice intrattenimento.

Il rispetto della materia d’ispirazione, nonostante l’adattamento ai nostri tempi, è comunque massimo, e i protagonisti finiscono per essere pienamente in linea con gli standard che, in maniera ovviamente differente, rappresentavano negli anni Trenta, Quaranta o Sessanta. Divertito e divertente, inoltre, risulta essere l’utilizzo di un nemico spietato quanto grottesco – penalizzato, nella versione italiana, da un terribile adattamento del nome di battaglia –, interpretato da un sempre ottimo Christoph Waltz, fresco dell’Oscar per Bastardi senza gloria, e i cameo di Edward Furlong – che mette definitivamente fine al suo status di futura promessa del cinema a stelle e strisce, fama che si portava sulle spalle dai tempi di Terminator 2 – e James Franco, non accreditato, che confeziona con Christoph Waltz un dialogo d’apertura che è un vero gioiellino, degno della nomination all’Oscar ricevuta per l’interpretazione in 127 hours di Danny Boyle.

Jay Chou, nel non facile ruolo di Kato – non tanto per lo spessore che richiede l’interpretazione in sé quanto per la pesantissima eredità lasciata nel cuore di milioni di fan da Bruce Lee –, pare reggere, tutto sommato, l’urto del leggendario maestro di arti marziali, e pur non mostrando il carisma del suo predecessore, spalleggiato dal più esplosivo Seth Rogen, riesce a ritagliarsi uno spazio onesto che potrebbe anche crescere, se il botteghino e la produzione giudicheranno riuscito l’esperimento Green Hornet, e, dunque, si dovesse pensare ad un sequel. Lo script, la parte sicuramente più convenzionale della pellicola, si mantiene fedele alla tradizione del reboot, con una prima parte dedicata alla genesi dell’eroe, una centrale in cui l’eroe affronta l’avvicinarsi della minaccia – spesso coperta da una rivelazione a sorpresa da giocarsi con il finale – e una conclusione dedicata all’azione in cui sciogliere i nodi della trama, senza tralasciare qualche sana sparatoria ed esplosione.

La tradizione tutta noir delle vecchie storie del Calabrone è dunque sostituita dal classico plot da film di supereroi, arricchito però dall’elemento nato dal contrasto tra Britt e suo padre, consumatosi principalmente dopo la morte di quest’ultimo e nella versione opposta al dramma di Bruce Wayne nella saga dedicata all’uomo-pipistrello: un tentativo di approfondimento apprezzabile, che, seppur non accostabile a pellicole dove il tema del rapporto padre-figlio ha dato i suoi frutti migliori – Big Fish, Gran Torino o The Wrestler, per citare alcuni tra gli esempi più recenti –, si difende comunque dignitosamente nelle spesso torbide acque del cinema d’intrattenimento. Tutto questo è sicuramente reso possibile grazie all’apporto di Gondry al lavoro svolto sulla sceneggiatura, quasi a dimostrare quanto l’impiego di un autore, e non di un qualsiasi mestierante che garantisca la qualità di un film da weekend al multisala, per quanto possa far storcere il naso ai fan più accaniti e agli appassionati, a volte riesca a trasformare un lavoro ad alto rischio di banalità in uno in grado di intrattenere e divertire il pubblico.

Un “ritorno al futuro”, dunque, sicuramente riuscito e divertente, che certo non passerà agli annali della storia del cinema, così come della carriera di Gondry, ma che riesce a trasportare un personaggio dalle ottime potenzialità nel nuovo millennio svecchiandolo di un’aura ormai obsoleta ed introducendo quelli che sono stati gli eroi dell’infanzia di più di una generazione: il simpaticamente borioso Britt Reid – qui alle prese, di fatto, con una sempre maggiore acquisizione delle proprie responsabilità – e il fulmineo Kato, che a prima vista potrà apparire solo come la spalla, l’aiutante, “quello vestito di nero”, ma che, di fatto, rappresenta la rivincita più grande di tanti invisibili del grande schermo giunti ad una ribalta anche maggiore dei loro ben più illustri datori di lavoro. Basti pensare, in questo senso, che in Oriente, ai tempi del serial con Bruce Lee, Green Hornet era chiamato, più propriamente, Kato Show. Meraviglie dei punti di vista.

 


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