TOFIFE 2004 / La trilogia della guerra di Gianikian - Ricci Lucchi: recupero di un visibile PDF 
di Mauro Brondi   

a trilogia della guerra realizzata dalla coppia di cineasti Yervant Gianikian e Angela Ricci Lucchi, nata dagli archivi di mezza Europa in collaborazione (fra gli altri) con il Museo Storico di Trento, è composta da Prigionieri della guerra, Su tutte le vette è pace, Oh Uomo e presenta documenti cinematografici della Prima Guerra Mondiale rielaborati con la tecnica, il cervello e il cuore.

Con la tecnica, perchè Gianikian e la Ricci-Lucchi creano opere inedite realizzando un vero e proprio restauro (autoriale) della pellicola attraverso la loro "camera analitica", appositamente creata per far sì che le ombre sulla pellicola decaduta ritrovino la loro densità originale. Con il cervello, perchè la loro ricerca è scientifica e storica, basata sulle fonti, prima letterarie e poi filmiche. Infine, con il cuore, perchè lo sguardo dei cineasti vede, rielabora e presenta sullo schermo le immagini recuperate con l'entusiamo e la limpidezza di una visione appassionata, poetica, capace di conservare e amplificare il mistero del cinema, rinnovando così la sfida dell'uomo e della sua memoria contro il tempo. Si tratta quindi di un cinema complesso, fatto di echi, intuizioni, recuperi e suggestioni che vanno dal pre-cinema al cinema sperimentale, passando per il documentario storico, il tutto condito da una ricerca sonora (con le musiche e la voce di Giovanna Marini) da non sottovalutare per sensibilità e capacità di variare di volta in volta fra diverse soluzioni: silenzio, suono, cori e voce.

Già dallo scorso anno la coppia firma anche la sigla del Torino Film Festival con due semplici inquadrature che sintetizzano quella che è la loro ricerca artistica: un primo quadro, leggermente mosso, a investigare una striscia di fotogrammi in decomposizione e un secondo a mostrare una vecchia pellicola incollata che viene lentamente sbobinata. L'inquietudine e il richiamo ispirato dal vecchio materiale filmico grezzo è la base di partenza per la trilogia (e in generale per tutto il loro cinema) che dimostra come il recupero sia un'operazione necessaria e possibile. Si tratta di una sfida che non può essere rifiutata, nè dimenticata; una sfida, anzi, cui è necessario aderire per capire il nostro presente e poterlo vivere con uno sguardo nuovo.

Prigionieri della guerra, del 1995, apre la trilogia. Si tratta di un film dai toni epici, popolari, collettivi. E' il film che mostra i gruppi di soldati prigionieri, spostati come migranti da un campo all'altro fino alle città, come per dimostrare da parte dell'esercito vincitore la propria superiorità sull'altro. La riuscita del film sta nella forza visiva e vitale del materiale filmico recuperato, virato e rallentato, amplificato nei tagli al montaggio e negli ingrandimenti. Lo spettatore non può tirarsi indietro, non può non aderire a quella che si configura come una vera e propria rivelazione cinematografica. Nonostante il tema di fondo sia quello della collettività e della massa anonima, ogni individuo, con il sorriso, il dolore, le lacrime, lo sguardo, è il protagonista del film, anche quando esso diventa corpo-figura-cadavere anonimo sepolto nelle fosse comuni. Si va alla ricerca di una storia dentro la Storia in questo Prigionieri della guerra, il quale, come tutta la trilogia, attraverso la rielaborazione tecnica, diventa un inno alla ragione, alla riflessione, alla rivelazione rispetto al dramma della guerra e della sofferenza umana.

Su tutte le vette è pace, del 1998 (il titolo è tratto da un diario di Goehte), è un film che sembra essere più astratto, fatto di figure scure che si muovono come marionette meccaniche sui fondi bianchi, monotoni e innevati delle montagne, ma che in realtà mette in ulteriore evidenza l'interesse verso l'individuo e verso la microfisionomia del volto, qui portata all'estremo. Ralenti e ingrandimenti sui volti dei soldati, fotogramma dopo fotogramma, creano una sinfonia visiva essenziale e minimale dove lo splendore della pellicola rinvenuta apre un discorso universale sul dramma dell'umanità in guerra. Il film si avvale della colonna sonora cantata in diverse lingue (italiano, tedesco e inglese) e recupera gli scritti dei diari di due soldati dei diversi battaglioni, uno italiano e uno austriaco, morti nella stessa guerra poco distanti uno dall'altro.

Oh uomo (da uno scritto di Leonardo che apre il film), presentato in anteprima al Festival, mostra invece "l'uomo nuovo", l'uomo-rovina uscito dalla guerra e colpito in modo permanente dalle violenze del conflitto. Tracce visibili sui corpi che ritornano a vivere sullo schermo in una sequenza di esempi tragici, e al contempo dignitosi, che ricambiano lo sguardo dello spettatore proponendo inaspettatamente un misterioso dialogo, capace di rendere il tutto ancor più doloroso, al limite del visivamente accettabile. Tutte le immagini proposte da Gianikian-Ricci Lucchi interrogano lo spettatore, come se fossero quelle immagini a guardare lo spettatore, ancor prima che lo sguardo di quest'ultimo possa cadere e cercare di decifrarle. E in questo risiede il mistero del loro cinema, nel fatto che un'immagine quasi perduta, in bilico tra la non-vita e la morte definitiva, possa ritornare con quella forza viva di uno sguardo interrogatorio e coinvolgente.

Inoltre la trilogia sviluppa un discorso sulla visibilità del corpo. Il corpo ritrovato (corpo cinematografico, figura), ma anche il corpo ferito, ammazzato, violentato dalla messa in scena reale della guerra. Una riflessione sul corpo che si collega in modo così attuale al corpo perduto del cinema contemporaneo: il corpo virtuale o digitale. Le ombre perdute sulla pellicola e recuperate definitivamente da Gianikian-Ricci Lucchi si impongono come "altro" rispetto ai corpi perfettamente e lucidamente calcolati dalle macchine digitali delle produzioni hollywoodiane che sono sì in grado di creare un immaginario (Spiderman, ad esempio, oppure Hulk) ma che, al contempo, non essendo veri, fondano un visibile dell'artificiale. Corpi veri contro corpi virtuali, materiale filmico in decadenza contro immaterialità del calcolo digitale. Non è solo una suggestione ma una contrapposizione che fonda addirittura la vita sociale nell'età contemporanea, e non è un caso se Gianikian-Ricci Lucchi insistono sul loro essere nella contemporaneità e nel voler fare un cinema del presente, per il presente. Ogni eroe-individuo anonimo della Trilogia lancia allora una sfida muta ai supereroi hollywoodiani. Non ci vergogniamo nel dire che quanto più questi ultimi ci emozionano con la loro mobilità impossibile, tanto più i primi ci coinvolgono con il loro semplice esistere, ora rivelati, come per la prima volta, dalla forma cinematografica. Magie e misteri del cinema.

 


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