The Hole 3D PDF 
Simone Dotto   

Fin dal momento in cui Cameron arrivò ad aprire il viatico con i suoi potenti mezzi, era chiaro che i primi a far da cavia nelle fauci della Terza Dimensione sarebbero stati loro: gli autori dell’establishment. Quelli che, non contenti di stare di stanza a Hollywood, si concedono pure il lusso di portarsi appresso una “poetica” personale. Sempre meno benvisti da un sistema che si sta rifacendo i conti in tasca (e che ha già dato lo sfratto a più di un ospite eccellente), ai signorini è arrivata infine la temuta cartolina rossa: spediti in prima linea, a risollevare le sorti delle major con gli ultimi ritrovati tecnologici. E se la chiamata era già toccata a personalità tutto sommato “remunerative” quali Zemeckis o Burton, poteva forse sottrarsi Joe Dante, nome da tempo ormai latitante nell’ambito delle megaproduzioni? Nossignore, divisa e occhialini anche per lui.

La buca, dunque. Che cosa c’è dentro? Cercano di scoprirlo i giovani fratelli Dane e Lucas Thompson, bei faccini da copertina appena trasferitisi con la mamma dal caos della metropoli losangelina a Bensonville, una località sperduta quel che basta per poterci trovare seminterrati con botole misteriose e belle dirimpettaie pronte a buttarsi nell’avventura. La buca è il pretesto narrativo, ma anche visivo. Inquadrature prevedibilmente volte dal basso verso l’apertura del tunnel, da dove i tre giovani continueranno a far piovere su noi seduti in sala chiodi, sassi e oggetti vari per capire “quanto è profonda”. Più che in quello che sta in fondo, però, il problema sta in ciò che verrà sputato fuori: all’inizio sono giocattoli, un burattino/giullare dal ghigno malefico, debitore di altri diecimila pupazzi dal ghigno malefico sparsi in giro nella letteratura horror per ragazzi. Poi è la volta della bambina fantasma, che omaggia altre centinaia di inquietanti bambine fantasma che affollano la cinematografia del genere, e dell’ombrosa sagoma paterna, posta alla fine a mo’ di mostro da livello finale (e i precedenti, in fatto di sublimazioni più o meno nascoste di figure paterne, nel cinema come nelle lettere, davvero non si contano). Sono incarnazioni delle peggiori paure dei tre protagonisti, tornate a trovarli dal buio profondo, come si premura di spiegarci Dante in uno dei tanti dialoghi che fanno da note a piè pagina per i più distratti. Si tratta, aggiungiamo noi, di qualcosa che, pure in termini molto semplicistici, ha a che fare con l’inconscio, il limbo oscuro e i rimossi dell’infanzia. Il regista, va da sé, butta tutto sullo spaventevole andante, ma il brivido dell’ignoto che all’inizio fa dire “fico” al piccolo Lucas è lo stesso che lo metterà faccia a faccia con i suoi modesti fantasmi di preadolescente. Lo stesso che porta noi ad inforcare gli occhialetti, a sborsare quei tre/quattro euro in più solo per il piacere di allungarci in avanti per “toccare con mano” l’effetto che fa, e poi subito dopo ripararci istintivamente il volto da quel che ci arriva addosso: come la folla in fuga dal train de La Ciotat di lumierana memoria. Bambini cinematografici.

E quant’è profonda allora la nostra buca, questa famosa “terza dimensione”? Poco, almeno fino a quando lo schermo magico continuerà a tirar fuori le cose in questo modo, anziché invitare a calarcisi dentro. Resta il divertimento infantile, la leggera vertigine dell’affacciarsi e vedere quanto “va giù” e poco altro. Ma fino a che punto riusciremo a farci bastare le viste strategiche della camera a picco verso il basso, o ad emettere “ooh” di stupore quando una pallina da tennis sembra piombarci in mezzo alla platea? E soprattutto, basta questo tipo di profondità a giustificare la piattezza generale delle storie, dei personaggi, e la clamorosa assenza del “doppio fondo” politico/sociale alle Joe Dante, che mai era mancato fino ad ora, nemmeno nelle sue prove più “pop”? Se il pubblico dovesse crescere più in fretta di quanto non abbia preventivato l’establishment, si ritroverà fra le mani l’ingombro di tre dimensioni irrimediabilmente superficiali.

TITOLO ORIGINALE: The Hole; REGIA: Joe Dante; SCENEGGIATURA: Mark L. Smith; FOTOGRAFIA: Theo van de Sande; MONTAGGIO: Marshall Harvey; MUSICA: Javier Navarette; PRODUZIONE: USA; ANNO: 2009; DURATA: 98 min.

 


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