Il Cinema Ritrovato 2008 PDF 
Francesca Druidi   

ImageFilm introvabili, scoperti negli archivi di mezzo mondo e scelti tra le migliori copie disponibili. Rarità che hanno scritto le pagine più significative della storia del cinema. Capolavori oltre le mode estemporanee, che hanno saputo attraversare i tempi, domarli e incastonarsi nel patrimonio filmico collettivo, mantenendo integri i loro valori tecnici e culturali. Sono loro gli autentici protagonisti della ventiduesima edizione del festival Il Cinema Ritrovato, diretto da Peter von Bagh e promosso dalla Mostra Internazionale del Cinema Libero e dalla Cineteca del Comune di Bologna, che si è svolto nel capoluogo emiliano dal 28 giugno al 5 luglio, tra le sale cittadine e il magico schermo ricreato sul “Crescendone” di Piazza Maggiore. Sono state 380 le pellicole presentate nelle dieci sezioni della rassegna, di cui 128 – quasi un festival nel festival – appartenenti alla sezione “Cento anni fa”: i film del 1908. Immancabili le sezioni “Ritrovati & Restaurati” e “Il cinema più grande della vita”, giunta ormai al suo quinto capitolo. Tra i titoli di “Recovered & Restored”, Good Times, Wonderful Times di Lionel Rogosin (1966), Gli ultimi giorni di Pompei di Rodolfi (1913) e In Which We Serve di Noel Coward e David Lean, conosciuto in Italia come Eroi del mare – Il cacciatorpediniere Torrin (1942). Ambientato e girato durante la Seconda Guerra Mondiale, la pellicola consacra il talento registico di Lean, concentrando il discorso filmico sulla storia di una nave della marina militare britannica, la Torrin, che assurge a vero e proprio personaggio dominante del film, perno attorno a cui ruotano i destini del Capitano Kinkross (Noel Coward), del marinaio semplice Shorty Blake (John Mills) e del sottoufficiale capo Walter Hardy (Bernard Miles). Non privo di accenni retorici e interclassisti, il film si fa apprezzare per il lirismo e la sensibilità con cui vengono affrontati i temi del coraggio e delle nefaste conseguenze della guerra, intrecciando in un sapiente montaggio alternato le peripezie che portano all’affondamento della gloriosa Torrin e al recupero dei sopravvissuti dell’equipaggio su una scialuppa di salvataggio, e i flashback relativi al passato dei protagonisti, che illustrano e chiariscono allo spettatore i legami sentimentali e familiari lasciati a terra.

ImageAl centro del programma di quest’anno spiccano senz’altro le donne. Dalle suffragette a Marlene Dietrich, fino a Martine Carol diretta da Max Ophüls in Lola Montès, interprete della prima italiana della versione  francese  restaurata da Les Films du Jeudi e dalla Cinémathèque Française  (per  concessione di Ripley’s Film). Un film-testamento, apoteosi del film storico, melodramma  smisurato e barocco e per molti l’esempio più mozzafiato di CinemaScope di tutti i tempi. E poi Le amiche di Michelangelo Antonioni, film tratto dal racconto di Cesare Pavese Tre donne sole e restaurato dal Laboratorio L’Immagine Ritrovata della Cineteca di Bologna a partire dal negativo camera originale depositato dalla casa di produzione Titanus all’Archivio filmico della Cineteca. L’accurato lavoro di ripristino della pellicola (del valore complessivo di 90.000 euro), i cui test sono stati approvati da Martin Scorsese, ha permesso di preservare fotochimicamente il negativo camera e di restaurarlo digitalmente, eliminando le righe verticali e i molti graffi, la grana accentuata, l’instabilità e lo sfarfallio della luce. Anche il restauro dell’audio è stato realizzato digitalmente da una copia positiva stampata a partire dal negativo suono originale. Sono state rispettate le peculiarità della produzione dell’epoca, quali le caratteristiche del doppiaggio (non tutti gli attori recitavano in italiano), le dinamiche della colonna sonora e il missaggio.

L’Hitchcock inglese

ImageEvento esclusivo del festival Il Cinema Ritrovato è stata la première mondiale della nuova  partitura composta da Neil Brand per Blackmail, capolavoro giovanile di Alfred Hitchcock realizzato nel 1929, anno cruciale della transizione dal muto al sonoro. Sulle note dell’orchestra del Teatro Comunale di Bologna diretta dal maestro Timothy Brock, torna sul grande schermo uno dei migliori, se non il migliore film inglese della fine degli anni Venti. Un film muto, del quale però resta maggiormente nota la sua versione sonora, portata a termine con grande abilità affrontando i notevoli ostacoli tecnici dovuti all’aggiunta dei dialoghi con un approccio creativo e intelligente che, d’altronde, è tipico del Maestro. A Bologna è stata quindi proiettata la versione muta di Blackmail, già diretta dal regista in previsione di una successiva post-sincronizzazione. Alice White (Anny Ondra), la vivace fidanzata di Frank Webber (John Longden), poliziotto di Scotland Yard, dopo un litigio con l’uomo al ristorante, si fa corteggiare da un pittore, che la porta nella sua stanza tentando poi di approfittare di lei. Ma la giovane lo pugnala a morte e scappa vagando nella notte. Al fidanzato viene assegnato il compito di risolvere il caso. Durante le indagini scopre sul luogo del delitto il guanto di Alice, che nasconde però ai suoi superiori. Entra così in gioco un truffatore che ricatta i due giovani. Le conseguenze dell'accaduto si sviluppano con crescente tensione, finché Hitchcock dà il via alla prima delle scene di inseguimento a effetto – in questo caso sull’iconografica cupola del British Museum – che diverranno un suo marchio di fabbrica. Già si prefigurano i temi e la poetica che renderanno Alfred Hitchcock immortale: l’eterno scontro dialettico tra l’innocenza e la colpa, eros e thanatos; la passione per le donne bionde, catalizzatrici degli eventi; la creazione di un perfetto congegno narrativo in cui ogni scena contribuisce a costruire la suspence; dettagli e oggetti simbolici che fanno avanzare la narrazione; movimenti di macchina geniali e fluidi, funzionali allo sviluppo dei personaggi e dell’universo diegetico. Sono molte le sequenze memorabili: innanzitutto la sequenza dell’omicidio. Nella colluttazione, invisibile allo sguardo dello spettatore da una tenda dell’appartamento, Alice riesce ad afferrare un coltello con un movimento del braccio all’indietro, così come avviene a Grace Kelly con le forbici in Un delitto perfetto. L’omicidio è restituito attraverso i movimenti convulsi della tenda. In un’altra scena, la protagonista incontra un barbone sdraiato con la mano tesa, in una posizione che immediatamente le ricorda quella del corpo dell’artista che ha appena pugnalato a morte, dopo il tentativo di stupro. Lo stacco successivo rimanda efficacemente lo spettatore alla stanza del morto, dove la padrona di casa ha appena scoperto il cadavere del giovane. E, infine, di grande effetto è la caccia all’uomo al British Museum, che inaugura la serie di inseguimenti in luoghi celebri della filmografia hitchcockiana, in questo caso eseguito con il "metodo Schufftan" per simulare grandi scenari senza costruirli a grandezza naturale, collocando uno specchio che riflette dei modellini vicino alla macchina da presa e posizionandolo a 45 gradi dall’obiettivo.

Fuller in Cinemascope

Non è mancato, nella sezione riservata ai capolavori mozzafiato del CinemaScope, un titolo della filmografia di Samuel Fuller: La casa di bambù (1955), ulteriore incursione del regista in Asia dopo China Gate (proposto nella scorsa edizione) e primo film statunitense girato in Giappone dopo il secondo conflitto mondiale. Un sergente militare americano, Eddie Kenner (Robert Stack), va in missione a Tokyo sotto le mentite spoglie di Eddie Spanier e si spaccia per gangster, con lo scopo di infiltrarsi – per sgominarla – nella banda guidata da un criminale yankee, Sandy Dawson (Robert Ryan), che controlla gli affari sporchi in città e architetta rapine studiate con manovre militari. Ci riuscirà grazie anche all'aiuto di Mariko (Shirley Yamaguchi), vedova di uno dei membri della banda ucciso dai suoi stessi compari. La convenzionalità del soggetto è esaltata dal formato panoramico e dalle scelte stilistiche di Fuller che, con la consueta potenza visiva, sfrutta appieno - a cavallo tra il noir e il film di guerra - l'esotismo dell’ambiente e cavalca la psicologia sovraccaricata dei personaggi, volutamente ambigui e spietati. Il cattivo è un megalomane che finisce per affezionarsi all’infiltrato, degradando il suo precedente uomo di fiducia (chiamato “ichiban”), ma anche il protagonista è un personaggio violento ed esaltato, non privo di ombre e nevrosi. Il film mantiene la sua efficacia drammaturgica, a dispetto dell’intreccio non propriamente credibile, e si ricorda per il fulminante inizio della rapina al treno e la conclusione nel luna park di Tokyo sulla giostra panoramica.

Le altre sezioni

ImageUna delle perle del festival è stata “Facevamo dei film, Lui ha fatto il Cinema”, la retrospettiva integrale delle opere dagli anni 1917-1943 di Lev  Kuleshov, da molti considerato il padre e il fondatore teorico dell’avanguardia sovietica. Una retrospettiva arricchita dalla presenza della nipote, Ekaterina Khokhlova. E poi ancora “Le burrascose avventure di Giovannino Guareschi nel mondo del cinema”, nell’anno delle celebrazioni del centenario  della nascita di Guareschi; “Emilio Ghione, l’ultimo Apache”, “Progetto Chaplin: omaggio a Monta Bell”, “Come ho imparato ad amare la bomba”, “L’età d’oro della Warner”. Tra i titoli proposti in questa sezione, l’intenso Amanti senza domani (One Way Passage, 1932) di Tay Garnett, dove commedia, melodramma e romanticismo si fondono proponendo l’appassionato incontro tra due anime gemelle, un uomo e una donna indirizzati però verso tragici destini, e Three on a Match (1932) di Mervyn LeRoy con Joan Blondell, Ann Dvorak, Bette Davis, Warren William e Humphrey Bogart: un’interessante analisi della società americana post-Depressione letta nella storia di tre amiche e compagne di scuola dell’infanzia, Mary Keaton, Vivian Revere e Ruth Westcott, che s’incontrano casualmente dopo che le loro vite avevano preso strade diverse. Vivian, sposata a un avvocato e madre di uno splendido bambino, è però la più insoddisfatta delle tre, tanto da lasciare la famiglia per un affascinante buono a nulla, conoscente di Mary, show girl di locali, coinvolto in loschi traffici. La frequentazione di Vivian, con il sottobosco gangsteristico, alla fine metterà a rischio la vita del piccolo. Nell’ambito della riproposizione della felice saga di Don Camillo, s’inserisce anche l’approfondimento del lavoro di Fernandel e della sua inconfondibile maschera attraverso l’omaggio a Marcel Pagnol, di cui sono state proiettati Le schpountz e il recentemente restaurato Topaze (1950). Terza versione della commedia omonima di Pagnol e seconda diretta dallo stesso autore dopo quella del 1936, il film si propone come pungente esempio di commedia dei costumi e di satira sociale, ripercorrendo l’amara traiettoria verso il cinismo di un onesto e incorruttibile maestro di scuola privata, Topaze, appunto, baluardo di inoppugnabile condotta morale per i suoi giovani allievi. Quando l’insegnante si rifiuta di alterare la pagella del figlio di un’abbiente baronessa – e accusato di molestare una collega, figlia del direttore Muche, un opportunista che regge la scuola con una visione esclusivamente economica –  viene licenziato in tronco. È però “soccorso” dalla zia di uno studente privato, avvenente amante dell’intrigante consigliere comunale Castel Vernac, che assume il maestro disoccupato come utile prestanome per i suoi loschi affari. Nella sua ingenuità, Topaze non è inizialmente consapevole della natura degli affari in cui è immischiato, ma quando comprende appieno l’ingranaggio di corruzione in cui è ormai coinvolto, dopo un primo moto di ribellione, cambia le carte in tavola, si libera del giogo di Castel Vernac e procede da solo sulla strada delle losche e proficue transazioni. La trasformazione è repentina e fulminea, segnalata allo spettatore dalla rasatura della barba. Il maestro bistrattato e umiliato diventa così un uomo d'affari potente, ricercato dalle belle donne, invidiato, adulato da tutti. L'ex collega Tamise, che cerca invano di rimetterlo sulla buona strada, sarà felice di divenire il suo segretario particolare, una volta toccato con mano i privilegi del nuovo status dell'amico. La pellicola, che sconta un po’ i limiti della derivazione teatrale del soggetto, mostra un eccessivo verbalismo nella messa in scena, ma rimane comunque una parabola, sempre attuale, di un “candido” che perde ogni illusione e idealismo di fronte alla corruzione imperante nella società.

Josef von Sternberg, non solo Dietrich

ImageFulcro del festival, l’ampia e spettacolare retrospettiva monografica dedicata a Josef von Sternberg, con la partecipazione del figlio del cineasta, Nicholas Josef, e la presentazione di documentari e materiali inediti. Annoverato tra i grandi registi mitteleuropei sbarcati a Hollywood – nacque a Vienna nel 1894 e morì a Los Angeles nel 1969 –, Josef von Sternberg non solo “inventò” Marlene Dietrich, con la quale ebbe un travagliato e leggendario rapporto di amore/odio, ma fu anche autore di un importante corpus di opere mute e uno dei  più grandi maestri della luce, capace di suggerire sentimenti affidandosi solo a contrasti di luce e ombre e inquadrature barocche. Nonostante l’altalenante successo dei suoi lavori, il percorso di Josef von Sternberg si contraddistingue per uno stile visionario, estetizzante ed espressionista, soprattutto nell’illuminazione. Passioni folli e impossibili, triangoli amorosi, temi come la colpa e la redenzione, sentimenti morbosi e autodistruttivi puntellano la filmografia di un maestro spesso incompreso, eppure geniale nell’arricchire melodrammi convenzionali con sorprendenti e simbolici effetti di luce multipla. Il regista era solito, infatti, applicare garze o piccole retine davanti all'obiettivo per inquadrare i volti degli attori, conferendo loro maggiore mistero. “La macchina da presa – sosteneva Sternberg – è servita a esplorare il corpo umano e a concentrarsi sul viso, che ne è l’essenza più profonda. Mostruosamente ingrandito sullo schermo, il volto umano deve essere trattato come un paesaggio. Come in un paesaggio, la faccia deve cambiare secondo le variazioni dell’ombra e della luce. La pelle deve riflettere, non cancellare la luce, che a sua volta deve carezzare, non appiattire quello che colpisce. Prima di illuminare un viso, illumino sempre lo sfondo, per riempire il quadro di valori luminosi. Il suo impatto fotografico si integra allora con tutto ciò che è visibile nell’inquadratura”. La prima parte della retrospettiva è dedicata al periodo iniziale della produzione del cineasta, dal suo primo film Cacciatori di salvezza (The Salvation Hunters, 1925), un’opera all’avanguardia di illusione naturalista proiettato in una nuova copia della UCLA Film and Television Archive, fino al suo primo film sonoro, La mazzata (Thunderbolt), comprendendo anche I dannati dell’oceano (The Docks of New York, 1928), storia di un fuochista e di una prostituta redenti dall’amore, Crepuscolo di gloria (The Last Command, 1928) e Children of Divorce, raramente visto e diretto da Frank Lloyd, poi in parte rigirato e montato da Sternberg. Riconosciuto capolavoro e grande successo personale di von Sternberg è Le notti di Chicago (Underworld, 1927), originale gangster movie – tanto da aver fatto da apripista al moderno genere noir degli anni Quaranta – e sorprendente esperimento di quel sonoro asincrono di cui all’epoca Eisenstein e Pudovkin stavano diffondendo i manifesti. George Bancroft è Bull Weed, impetuoso ladro di gioielli che fa di Rolls Royce (Clive Brook), un alcolizzato preso dalla strada, il suo fidato braccio destro, restituendogli dignità ed eleganza. L’amante di Bull, detta Feathers per le piume che l’adornano, si innamora di quest’ultimo, ma entrambi decidono di non tradire l’uomo a cui devono tanto, finito nel frattempo in prigione per difendere l’onore della donna. Scappato dalla prigione e convinto della colpevolezza dell’amico divenuto un rivale in amore, Bull si renderà invece conto della lealtà di Rolls Royce e, compresi i reali sentimenti dei due, li aiuterà a scappare ritardando l’avvento della polizia. 

La seconda parte si concentra, invece, sul periodo americano Sternberg-Dietrich, tralasciando The Blue Angel del 1930, prima interpretazione di Marlene Dietrich che lavorerà con Sternberg in altri sei film hollywoodiani. Sia che l’attrice interpreti una spia come in Disonorata (1931), o una cantante divisa tra un marito e un figlio e l’affascinante spasimante (Cary Grant) come in Venere bionda (1932), sia che la storia sia ambientata nell’Africa di Marocco (1930), nella Cina rivoluzionaria di Shanghai Express (1932), nella Russia zarista de L'imperatrice Caterina (1934) o nella Spagna di Capriccio spagnolo (1935), Marlene Dietrich incarna il mito della femme fatale. Sei diverse declinazioni della fatale donna del sogno (o dell’incubo) per gli uomini che tentano di conquistarla e legarla a sé. Proiettato anche il sottovalutato Una tragedia americana (An American Tragedy, 1931), tratto dall’omonimo romanzo di Theodore Dreiser da cui George Stevens realizzerà Un posto al sole nel 1951 con Montgomery Clift ed Elizabeth Taylor. Tra i documenti presentati, due preziose interviste con il regista (Cinéastes de notre temps - D’un silence l’autre, realizzata a Parigi nel 1966, e The World of Josef von Sternberg, con Kevin Brownlow, realizzata a Londra nel 1967) e filmati amatoriali con Marlene Dietrich, un film promozionale della Paramount con il re delle creazioni di moda Travis Banton, The Fashion Side of Hollywood, un’altra possibilità di vedere il frammento ritrovato di The Case of Lena Smith, film perduto di Sternberg del 1929, una panoramica sulla carriera del regista da The Salvation Hunters al suo primo successo commerciale, Underworld, e un approfondimento dedicato al perduto Sea Gull - A Woman of the Sea, del 1926, prodotto da Chaplin, che poi si rifiutò di distribuirlo.

 


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