La seconda volta PDF 
Felicia Buonomo   

Un dialogo assente, atteggiamenti intensi e miriadi di cose da immaginare, suggerite da una stagione passata ma che ancora oggi ha i suoi riverberi sociali. Mimmo Calopresti, con La seconda volta, firma una pellicola che certo non eccelle al cospetto di quelle dei colleghi che si inseriscono nello stesso filone, ma solo perché differente ne appare la cifra stilistica. Il regista  calabrese, al suo primo lungometraggio, non sembra voler raccontare il terrorismo che fu, non palesa con pregnanza concetti quali la lotta di classe, l’imperialismo, la rivoluzione; piuttosto li cita, elargisce degli input sui quali si spera lo spettatore possa interrogarsi. E lo fa con una logica inversa. La vittima diventa carnefice, intenta nel sadico gioco del non detto, fino al momento dello “sputo” di verità, di una tale veemenza da sembrare inverosimile. La terrorista, invece, si veste di umanità, di semplicità, mentre si aggira indisturbata nella normalità quotidiana del capoluogo piemontese. Siamo a Torino: Alberto Sajevo, professore universitario, un giorno incontra per caso Lisa Venturi, la terrorista che dodici anni prima tentò invano di ucciderlo sparandogli un colpo alla testa. Condannata a trent’anni, Lisa gode ora di un regime di semilibertà. Questo l’immediato esplicarsi della scarna storia sottesa alle immagini che, per questo, sembrano parlare più del testo tradotto.

La pellicola, infatti, si apre con l’immagine del protagonista (Nanni Moretti, che al ruolo di interprete affianca quello di produttore con la sua Sacher Film), intento in un invano remare, quasi a voler sciacquare ricordi che neanche il tempo riesce a rimuovere, prefigurati da quella pallottola conficcata nel cranio di Alberto che costantemente bussa alla porta della dolorosa reminescenza. Un’immagine suggestiva, metafora meta-cinematografica, quell’ossimoro che solo il cinema riesce a restituire e che permette di osservare un movimento statico, qualcosa che si muove pur rimanendo fermo dinanzi ai nostri occhi. Dopo l’incontro fortuito, il professore, appena ripresosi dopo le sedute obbligate di riabilitazione cui lo costringe la pallottola che ancora porta conficcata nel cranio, comincia per curiosità, e forse per rivalsa, a seguirla, riuscendo infine a parlarci e a conquistare la sua amicizia. Dapprima la ragazza non lo riconosce e lo scambia per un corteggiatore. Il pedinamento appare ben studiato registicamente: prevalgono i primi piani dei due protagonisti, come a sottolineare un trascorso intimo di cui presto se ne svelerà l’identità.

A tratti sembra riconoscersi lo stile morettiano, come quando Alberto aspetta concitatamente la telefonata di Lisa; ci piace pensare che sia uno slancio d’ispirazione da parte di Calopresti o semplicemente un omaggio a un maestro del cinema contemporaneo quale è il caro Moretti. Il film è del 1995, una strana data, presagio di tempi ancora a venire, quali quelli di Marco Biagi, del cui assassinio a opera delle Brigate Rosse quest’anno ricorre il decennale. Vengono tuttavia rispolverati slogan del passato, ma ancora una volta in una logica inversa. Ritornando sulla barca, nel remare invano, il protagonista cita frasi del tipo “colpirne uno per educarne cento”; ma non è chiaro se la frase si risolva in una semplice citazione o suoni di appropriazione da parte di quella che anni prima era stata la vittima. Dimenticare, perdonare: la società ci addomestica a questi sentimenti, ma la vita reale naviga in ben altri lidi, quelli del rancore, spesso dell’ossessione, quella che porta a pronunciare frasi come “non voglio fare la vittima, voglio fare il nemico”.

La seconda volta è un film di discreta fattura, che probabilmente è valsa a ricevere il premio Ciak d’Oro 1996 come miglior opera prima, un Nastro d’Argento nello stesso anno come miglior produttore e due David di Donatello a Marina Confalone, come miglior attrice non protagonista, e Valeria Bruni Tedeschi, come miglior attrice protagonista. Non si può dire che l’immagine cinematografica di Lisa non renda, faccia pulita, carina, “enormemente normale”, ma forse erroneamente priva di alcun piglio di reminiscenza. Coerente, tuttavia, con la parte finale del film, dove la chiarificazione tra i due avviene in modo eccessivamente sommario, come a lasciare in sospeso questioni che ancora oggi attendono una risposta. Ma qualche dubbio, sul fatto che la “banalità” del dialogo finale sia una scelta di regia, rimane.

Titolo originale: La seconda volta; Regia: Mimmo Calopresti; Sceneggiatura: Francesco Bruni, Mimmo Calopresti, Heidrun Schleef; Fotografia: Alessandro Pesci; Montaggio: Claudio Cormio; Scenografia: Giuseppe M. Gaudino; Costumi: Lina Nerli Taviani; Musiche: Franco Piersanti; Produzione: Banfilm, La Sept Cinéma, Sacher Film; Distribuzione: Lucky Red; Durata: 80 min.; Origine: Italia/Francia, 1995

 


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