Chicago, 1941: Leonard Chess (Adrien Brody) sogna di aprire un locale "per neri" nell’oscuro periodo della segregazione razziale. Chicago, 1947, il Macomba Lounge apre i battenti e sul suo palcoscenico si succedono numerosi bluesman. In questo periodo avviene l’incontro tra Muddy Waters e Leonard; l’uomo che ha lasciato il profondo sud delle piantagioni del Mississippi per inseguire il proprio percorso artistico, entra in contatto con Leonard, un giovane bianco che, appassionato di musica blues, trova in Muddy una scommessa, la star da proiettare nella discografia politically correct di quegli anni. Il passo è breve e, ben presto, nascerà la Chess Records, etichetta discografica destinata a lanciare artisti che si trasformeranno in pietre miliari della musica nera: oltre al chitarrista e cantante Muddy Waters (Jeffrey Wright), l’irrequieto armonicista Little Walter (Columbus Short), il bluesman dalla voce profonda Howlin’ Wolf (Eammon Walker), il padre del rock’n’roll Chuck Berry (il rapper Mos Def) ed Etta James (interpretata dalla popstar Beyoncé Knowles).
La regista Darnell Martin realizza un biopic che si può definire "multiplo" o cumulativo, tratteggiando un affresco d’insieme e affrontando la storia umana e musicale di ben sei leggende della musica blues (compreso il discografico interpretato da Brody). L’impresa è stata inevitabilmente complicata e ha imposto alla regista una selezione ristretta di episodi della vita di ogni personaggio. La coerenza e l’uniformità della sceneggiatura sembrano essere relegate ad un paio di leitmotiv: uno è iconico-simbolico, le stratosferiche Cadillac che sono il premio per gli artisti della Chess Records; l’altro è, ovviamente, musicale: i brani cantati dagli artisti (incarnati in modo molto credibile da tutti gli attori), i loro blues, che definiscono sinteticamente il paesaggio interiore del personaggio. Il ricorso a questi escamotage appare come una tecnica eminentemente economica e riassuntiva. Esageratamente riassuntiva è anche la rappresentazione del contesto in cui si svolgono i fatti: gli States della segregazione razziale sono lasciati in lontananza, appena accennati. Ci sono poche tracce dell’importanza quasi rivoluzionaria della Chess Records, che negli Usa percorsi dall’ondata razzista di quegli anni rese celebri artisti di colore e contribuì a superare, almeno a livello culturale nelle giovani generazioni, il concetto di separazione dell’esperienza musicale tra bianchi e neri.
Le immagini di Cadillac Records risultano quindi meno potenti della storia biografica e della musica blues che portano in scena. La tendenza alla sintesi della regista, nonostante le ottime performance del cast, porta lo spettatore non iniziato, che non conosce le vicende legate alla Chess Records, a non capire a fondo la storia. Al contrario, lo spettatore esperto, appassionato di musica blues, rischia di trovare il racconto troppo semplicistico e di vedere l’indubbia portata artistica delle proprie icone semplificata e alleggerita.
TITOLO ORIGINALE: Cadillac Records; REGIA: Darnell Martin; SCENEGGIATURA: Darnell Martin; FOTOGRAFIA: Anastas N. Michos; MONTAGGIO: Peter C. Frank; MUSICA: Terence Blanchard; PRODUZIONE: USA; ANNO: 2008; DURATA: 109 min.
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