È dietro una trama semplice, scarna, quasi priva di una vera azione, che spesso si nascondono i significati più profondi. Blow Up è un’avventura tra mondo reale e illusione, tra apatia e presa di coscienza, tra grigiore e colori sgargianti. Thomas, ragazzo frenetico e scontroso nonché celebre fotografo, è il protagonista inconsapevole di una vicenda senza effettivo svolgimento. Questa infatti è una storia in potenza, costellata da eventi incompleti e inconcludenti. Ed è seguendo il viaggio di Thomas a bordo della sua Rolls- Royce, tra le strade semi deserte di una Londra anni ’60, che ci accorgiamo di questo falso movimento.
Nulla, in Blow Up, viene portato a termine: pranzi ordinati e mai gustati, birre appena sorseggiate, discussioni e rapporti interrotti, ricerche abbandonate, Thomas viene travolto dal flusso incessante degli eventi, siano essi rilevanti o meno. La scoperta dell’omicidio dà inizio ad una crisi del personaggio, ma è al contempo l’inizio di una presa di coscienza, di una svolta. Non è però l’occhio di Thomas a vedere l’assassinio dell’uomo sconosciuto, non è Thomas ad assistere all’omicidio. Il vero testimone di questa storia è l’occhio della macchina fotografica, è l’obiettivo a registrare la realtà, a filtrarla e a renderla più comprensibile. Ma per il fotografo non esiste una reale distinzione tra la sua persona e il suo strumento, al contrario sembra che i due termini si fondano in un’unica persona. Ciò che ne deriva è un uomo uso ad osservare la realtà attraverso un occhio meccanico, un uomo incapace di osservare il mondo nella sua spontaneità. Thomas non vede la realtà in quanto tale, l’osserva soltanto in qualità di materiale fotografico. Nell’uomo, mente e vista cooperano, l’uno necessità l’altro ed è impossibile pensare a qualcosa in termini realistici, senza prima averla vista. L’unico modo per rompere questo legame e andare oltre la realtà visibile, è l’utilizzo della Fantasia, dell’Immaginazione. E che cos’è l’arte se non un modo per esprimere ciò che immaginiamo e ciò che non abbiamo mai visto se non in sogno? La fotografia, insieme al cinema, è l’espressione artistica che più si avvicina alla realtà che vediamo tutti i giorni. Non ci deve quindi stupire la tendenza di Thomas nel confondere questi due mondi, né la sua ricerca di risposte in un mondo sbagliato, fatto di persone apatiche e immerse nei piaceri effimeri della droga. Thomas probabilmente ha sempre pensato che la fotografia, la sua arte, non potesse far altro che aggiungere credibilità al reale. Sicuramente non avrebbe mai pensato che questa potesse rivelarsi fallace quanto la memoria umana; ma è proprio ciò che accade quando le fotografie scattate nel parco gli vengono sottratte. Tutto viene messo in discussione ed insieme a quelle preziose fotografie, è la realtà stessa a scomparire.
In questo mondo onirico situato a metà tra visibile e immaginario, tra fenomeno e noumeno, tra volontà e rappresentazione, Thomas sceglie di stare al gioco. Non rimane impassibile di fronte all’ambiguità della vita ma ne accetta le regole. Ed è facendo questo che si accorge di essere solo. Egli stesso finisce con lo scomparire in mezzo ad un prato deserto, in cui non rimane più nulla se non il soffio del vento.
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