Il castello errante di Howl PDF 
di Eva Maria Ricciuti   

La nippofilia-cinetica (patologia diffussa ormai a macchia d'olio tra gli appassionati della settima arte) pare abbia contagiato anche la 62esima Mostra del Cinema di Venezia tingendola inevitabilmente dei colori del Sol Levante. Grande spazio infatti è stato dedicato al cinema di animazione "made in Japan", con eventi quali la presentazione della seconda attesa parte di Final Fantasy e, soprattutto, il meritatissimo Leone d'Oro alla carriera conferito a Hayao Miyazaki. E già, perché il papà di Conan, Heidi e Lupin III il 9 settembre scorso ha raccolto gli onori del Lido accettando con la sua proverbiale timidezza il felino aureo di fronte ad una platea stregata, e ricevendo in quello stesso giorno l'omaggio dei suoi ammiratori che a centinaia facevano la fila di fronte ai cinema di tutt'Italia per assistere alla proiezione del suo ultimo lavoro: Il castello errante di Howl.

Tratto da una favola di Diana Wynne Jones, il film racconta la semplice storia della cappellaia Sophie, vittima di un malvagio sortilegio che la trasforma in una gentile nonnetta al servizio del vanesio mago Howl del quale conquisterà il cuore, liberandolo dal demone che ne aveva stregato l'animo. Una storia semplice, dunque, per certi versi sentita in mille varianti più o meno simili. Eppure Miyazaki riesce a trarne un racconto che, oltre che estremamente godibile, affronta con notevole piglio alcuni dei temi-cardine della cinematografia del regista-animatore: la lotta dell'uomo segnato dal progresso della tecnologia con una natura che non vuole piegarsi alla sua prepotenza, l'odio per la guerra e la condanna per ogni manifestazione d'intolleranza. Temi adulti adatti ad un pubblico adulto ma con l'animo un po' bambino. Spettatori capaci di astrarsi dalla realtà così come la conosciamo, felici di ritrovarsi proiettati in un mondo che sapientemente mescola e sovrappone presente e passato, fantasia e realtà, un po' alla maniera del Verne di 20.000 leghe sotto i mari. E non conta più allora che il mezzo di espressione utilizzato per veicolare messaggi di tal portata sia tradizionalmente associato ad un pubblico più che giovane, perché il mezzo è perfetto e perfettamente si adatta al contenuto.

A volte si è erroneamente tentato di etichettare Miyazaki come un "Disney nipponico". Ebbene mai definizione sarebbe potuta esser meno azzeccata, perché se è vero che egli ha materialmente costruito una solida società che si occupa della realizzazione di film d'animazione (la Ghibli) e li distribuisce in tutto il mondo (anche avvalendosi del supporto della major statunitense) e a questa ha affiancato un vero e proprio museo dell'animazione (il Ghibli Museum Mitaka), è altrettanto vero che i lavori di Miyazaki presuppongono un livello di attenzione molto superiore rispetto alle capacità dei più piccoli e affrontano temi e aspetti della realtà che da loro non potrebbero esser colti pienamente. Nello specifico le ellissi narrative, lo sviluppo della psicologia dei personaggi rispetto allo scorrere della trama, i frequenti cambi di ambientazione spazio-temporale e la complessità di alcuni passaggi presenti in Il castello errante di Howl sono tipici di un certo tipo di pellicole appartenenti al genere fantasy ed espressamente dedicate ad un pubblico più adulto del target disneyano.

Affascinante il modo in cui questa volta Miyazaki affronta un tema (non solo) a lui caro quale "il viaggio dell'eroe". Se infatti in molti suoi lavori precedenti (si pensi alla ormai leggendaria serie Conan, il ragazzo del futuro) i personaggi partivano alla ricerca di un "qualcosa" che potesse riportare l'equilibrio nelle loro vite turbate dall'iniziale privazione di un bene prezioso o, più frequentemente, di una persona cara, questa volta il viaggio non è alla ricerca di, ma è per fuggire da (dalla guerra, dalla Strega delle Lande, dal sortilegio, dalla solitudine) e non costringe i personaggi ad un pellegrinaggio ramingo, ma li trasporta - loro malgrado - in un viaggio che non è propriamente "fisico". È infatti lo stesso castello, manovrato dal simpatico Calcifer (spirito che anima il fuoco), a trasportare in giro per il mondo l'allegra brigata capitanata dal mago Howl, ed è proprio durante questo viaggio che i personaggi troveranno l'equilibrio e la gioia nella nascita di un puro sentimento che li legherà indissolubilmente l'uno all'altro, facendoli diventare una vera e propria famiglia. Un viaggio dunque interno, anzi un viaggio "in un interno" alla conquista della consapevolezza di sé e dell'importanza degli affetti.

Indiscutibile l'alto valore tecnico della pellicola di Miyazaki (basti pensare alla purezza del tratto, lineare e a volte persino sintetico, ma mai semplicistico o didascalico), che sapientemente sposa la tradizione dell'animazione (nella realizzazione dei personaggi) e l'innovazione tecnologica (nella definizione dei fondali), creando un mix affascinante e facendo muovere figure bidimensionali su sfondi quasi tridimensionali. Ma ciò che rende questa pellicola tanto affascinante è che, malgrado la sostanziale complessità dell'opera, la storia della dolce cappellaia può essere tranquillamente fruita anche da un pubblico bambino che, abituato com'è al cartone animato di nuova generazione modello Yu-Gi-Oh, ossia privo di una qualsiasi trama intelligibile, non proverà smarrimento di fronte all'impossibilità di afferrare la complessità di alcune sfumature ma ne trarrà puro godimento e, chissà, magari anche qualche buon insegnamento.

 


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