Picnic ad Hanging Rock PDF 
Saverio Foti   

"La vita è sogno, soltanto sogno, il sogno di un sogno". Con questa citazione di Edgar Allan Poe sussurrata da una voce fuori campo, l’australiano Peter Weir introduce il suo secondo lungometraggio, basato sull’omonimo romanzo di Joan Lindsay: un giallo dai toni metafisici in cui il reale si contamina di onirico.

E’ il giorno di San Valentino dell’anno 1900, e le ragazze del prestigioso Appleyard College stanno festeggiando la ricorrenza con un picnic a Hanging Rock, imponente roccia vulcanica situata a nord di Melbourne. Quattro di loro chiedono alle insegnanti il permesso di allontanarsi per esplorare la zona circostante: solo una farà ritorno, in stato di shock e incapace di spiegare che fine abbiano fatto le altre, e nel frattempo si scoprirà che anche una delle insegnanti è scomparsa. Seguiranno affannose ricerche che porteranno al ritrovamento di una delle collegiali, ancora viva ma del tutto immemore di quanto accaduto tra quegli anfratti scoscesi, mentre delle altre non si saprà mai più nulla.

Il mistero di Hanging Rock, che a distanza di decenni conserva inalterato il proprio fascino, va però ben al di là di quella sparizione insoluta, pervade le molteplici chiavi di lettura dell’opera, ne costituisce le instabili fondamenta. Tutto è appena accennato, suggerito, lasciando allo spettatore il compito di cogliere le numerose indicazioni fornite e di costruirsi una autonoma opinione su ciò che accadde quel giorno. Il che comunque non vuol dire necessariamente che egli dovrà (o potrà) trovare una risposta. Nonostante le varie ipotesi “plausibili” formulate nel corso delle indagini dalla polizia (le donne sono cadute in burrone? sono state rapite? sono state violentate e uccise da un maniaco?), col procedere della narrazione sarà sempre più chiaro che in realtà esse costituiscono solo l’ingenuo tentativo, tipico dell’indole umana, di spiegare a ogni costo l’incomprensibile. Ma la razionalità perde ogni valore di fronte alla dimensione inintelligibile del monolito.

Un forte senso di fatalismo domina per tutta la durata del film, assieme alla netta sensazione che quella scomparsa non sia stata un semplice incidente: essa ha piuttosto il sapore di un solenne rito di passaggio già previsto "in disegni misteriosi". E non è un caso che venga celebrato tra le fauci della roccia, eruttata con violenza dalle viscere della terra un milione di anni prima e ora così immobile e silenziosa: un luogo fuori dal tempo (tutti gli orologi dei gitanti si fermano a mezzogiorno) e dallo spazio, sospeso nella tiepida luce pomeridiana catturata dall’ipnotica fotografia di Russell Boyd.

Hanging Rock assurge a simbolo di una natura arcaica e impenetrabile, un tempio pagano pregno di quell’animismo caratteristico della cultura aborigena e posto in antitesi al collegio Appleyard, che rappresenta invece il mondo cosiddetto “civile” dell’Inghilterra vittoriana. Accompagnata dalle note del flauto di pan, la fuga da quell’ambiente rigido e soffocante, assimilabile a una sorta di esistenziale walkabout, si rivelerà essere un viaggio senza ritorno. Rimanendo fedele allo spirito del libro, il giovane Weir costruisce un film che non si esaurisce nella mera esposizione dell’evento (forse realmente accaduto), ma che trova il suo punto di forza in un’atmosfera rarefatta e allusiva, e nelle suggestioni che è in grado di creare. Il risultato è un’opera di straordinaria bellezza formale e di grande impatto emotivo: un enigma che, privato di ogni soluzione, ha conquistato l’eternità.

 


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