" La mia bocca narra quel che i miei occhi le hanno raccontato "
(Ernesto Che Guevara)
[da: Latinoamericana – Un diario per un viaggio in motocicletta, Feltrinelli Editore]
Nel 1952 Ernesto Guevara, studente di medicina prossimo alla laurea, decise di partire con l'amico Alberto Granado per un viaggio in motocicletta alla scoperta dell'America Latina in sella ad una Norton 500 detta "la poderosa". Non risulta eccessivo definire viaggio iniziatico quel peregrinare che scaturì da velleità di esplorazione mista a voglia d'avventura e si trasformò, per Ernesto, nel prologo di un'esistenza da consegnare alla memoria dei libri di storia. Prima che a qualsiasi libro le imprese di quei mesi vennero, però, affidate ad un diario, oggi edito in Italia da Feltrinelli con il titolo Latinoamericana – Un diario per un viaggio in motocicletta. Da quel testo e da Un gitano sedentario di A. Granado nasce la sceneggiatura del film.
Cavalcando il motociclo i due prodi s'illudevano di compiere l'impresa conclusiva di una stagione della vita, di guadagnarsi un bottino di ricordi da spolverare all'evenienza per addolcire l'ipotesi di un avvenire ordinario, senza soffermarsi sul fatto che spesso i migliori finali contengono un nuovo inizio. Granado guidava veloce per sfuggire all'incalzante arrivo dei suoi trent'anni, consapevole di dover voltare pagina e diventare adulto, già nostalgico della giovinezza spensierata: deciso a scriverne l'ultimo glorioso capitolo per scelta. Ernesto, ventitreenne, non era in preda a frenesia, ma ugualmente vibrava dell'emozione del viaggiare per il gusto di viaggiare, del ricercare uno stato d'animo più che puntare ad una meta. Estasiato riconosceva nel vento sul viso e nella polvere delle strade il gusto tipico della libertà, la fresca sensazione di inseguire l'orizzonte. Entrambi assorbivano le immagini dei panorami come esperienze necessarie al loro vivere futuro.
Il viaggio allontana da casa, sovverte la quotidianità, ma sviscera e chiarisce quesiti che la riguardano. Le prove trasformano inevitabilmente i protagonisti in eroi, se non in senso letterale almeno in senso letterario. Ernesto, visitando i luoghi delle antiche civiltà sudamericane, si chiedeva se si potesse avere nostalgia di epoche che non si sono vissute, di qualcosa che non si è conosciuto di persona. Non è proprio questa la linfa vitale del cinema? Il desiderio di rendere visibili storie che non abbiamo vissuto: trasformare l'immaginazione (che nasce dal racconto orale e prende spunto dagli indizi visibili) in immagine. Arte nostalgica per antonomasia, il cinema nasce come antidoto al fuggire del tempo, si illude d'averlo fermato, ma ne sancisce solo la riproducibilità della fuga. In questo "fallimento" si nasconde però la grande rivelazione: si può avere nostalgia anche di ciò che non si è vissuto, rivivendone il racconto (attraverso il cinema o ispirati da qualsiasi visione evocativa, nel caso di Ernesto dai resti archeologici), constatandone lo svanire. Il fattore positivo di questa nuova consapevolezza risiede nella spinta rivitalizzante che la nostalgia può generare, rivelandoci non una mancanza generica, ma il bisogno specifico di qualcosa, che una volta individuato può essere inseguito. Nel caso di Ernesto fu nostalgia per una civiltà antica, ma più evoluta di quanto non gli apparisse quella in cui viveva. Il bisogno di far rivivere quel mondo si saldò alla necessità di combattere le ingiustizie che vedeva perpetrarsi nel suo presente e lo spinse ad agire.
Ernesto Guevara divenne il "Che", quindi, forse anche inseguendo la nostalgia di un passato mitico; sicuramente per la voglia di intervenire sul presente, come il cinema. Gael Garcia Bernal dona, allora, movimento all'iconografia classica ed immobile del Che, quella foto che Alberto Diaz Korda scattò nel 1960 e che non smette di esser riprodotta su bandiere e t-shirt. Rodrigo de la Serna sfida addirittura il vero Alberto Granado, incarnandone la giovinezza nel film, assumendone completamente lo sguardo: una soggettiva dell'attore si trasforma, per scelta di montaggio, in soggettiva del vero, anziano, Granado che regala i suoi occhi al film partecipando per un attimo. Lo spettatore, nel frattempo, si è immedesimato in quello sguardo doppio, ha visto finzione e realtà incontrarsi. Mentre sfilano i titoli di coda le vere fotografie del viaggio di Ernesto e Alberto appaiono sullo schermo, continuando a paragonare la storia appena raccontata dal film con i resti della realtà, le prove fotografiche degli eventi. Dinanzi a quei reperti la platea può chiedersi se prova nostalgia per quell'epoca (o almeno quel viaggio) che non ha vissuto.
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