Cosmopolis PDF 
Maurizio Ermisino   

Tom Stall. Nikolai. E ora anche noi di Effetto Notte. Gli ultimi film di Cronenberg, A History Of Violence e La promessa dell’assassino, avevano come protagonisti uomini dall’anima divisa in due, tra passato e futuro, anime in mutazione da una vecchia a una nuova identità. Ora ci sentiamo anche noi profondamente scissi nel valutare Cosmopolis, il nuovo film di David Cronenberg, tratto dal romanzo omonimo di Don DeLillo. Divisi tra la fascinazione per l’abbagliante forma visiva del film, degna delle migliori opere del maestro canadese, e una storia che non riesce mai a catturare la nostra attenzione, a conquistarci, a emozionarci. La storia è quella di un giovane uomo (Robert Pattinson), miliardario, che attraversa la città in limousine per recarsi nel quartiere dov’è nato e tagliarsi i capelli. Nel frattempo, intorno alla sua limousine, sembra stia per finire il mondo, o meglio il mondo come lo conosciamo, quello del Capitalismo, tra borse che crollano, manifestanti inferociti, lo spettro dell’economia cinese. Un’incombente senso da fine del mondo grava sul film e sul protagonista. Potrebbe essere anche la sua fine. Ma forse la sua fine è già avvenuta.

Cosmopolis è un gran film. Se la nostra prima identità, quella abbagliata dalla forma visiva del film potesse parlare, direbbe questo. Perché Cronenberg, costretto a girare praticamente tutto il film in una limousine, sfoggia il suo repertorio migliore. E così Cosmopolis diventa una summa di tutto il suo cinema, una sorta di antologia cronenberghiana che un appassionato non può non amare. La fotografia è quella pastosa e brillante dei suoi film migliori, e le prime scene fanno venire subito in mente Crash: sesso e automobili, più un incombente senso di morte. Così, da cronenberghiani doc, restiamo subito imprigionati nella claustrofobica limousine del protagonista, che scorre lenta tra le strade di New York quasi fosse la barca di Caronte, trascinati in quella che è a tutti gli effetti una discesa agli inferi. Ogni movimento di macchina è impeccabile, ogni inquadratura è un quadro degno di Hopper, con il neon impresso su pellicola là dove nel pittore americano veniva impresso su tela (nei titoli di coda vediamo invece i quadri di un altro esponente dell’arte moderna, Rothko). E ogni inquadratura è un’icona, cliccando sulla quale la nostra memoria viene idealmente riportata dentro i migliori incubi cronenberghiani: le lucide superfici degli schermi e dei computer della limousine ci riportano alle capsule de La mosca, l’assassinio in diretta del politico alle sferzate di violenza di Videodrome.

Cosmopolis non è certo il miglior film di Cronenberg. Alla fine è la nostra seconda anima a prendere il sopravvento e la parola. Perché man mano che scorre il film ci riprendiamo dall’abbagliante forma visiva che lo caratterizza e dalle citazioni che hanno gratificato la nostra passione, e ci rendiamo conto che nel film, a dire il vero, non siamo mai entrati veramente. Le elucubrazioni del protagonista in realtà non ci hanno coinvolto. Perché quello che non funziona in Cosmopolis è sostanzialmente lo script. Fedelissima al libro di DeLillo, la sceneggiatura di Cosmopolis, che è una (profetica?) riflessione sul Capitalismo e la sua fine, è una sorta di continuo trattato filosofico, una serie di massime che, lette su carta - con il tempo necessario a digerirle - hanno un loro senso. Ma sparate a raffica in un film, dove non hanno il tempo di sedimentarsi nella mente dello spettatore, finiscono per contribuire a un racconto sterile. Cosmopolis è un film tutto di parole, di testa, mentre Cronenberg, anche quando ci ha parlato di mutazioni mentali, è sempre stato un regista di pulsioni fisiche, di passioni, di viscere e di cuore. Per questo, e forse anche perché per la prima volta parla di denaro, Cronenberg non sembra essere pienamente a suo agio. Come per un altro film tratto da un libro, Il pasto nudo, sembra non riuscire ad avere il sopravvento sull’opera letteraria, e non riesce a caratterizzare il film come un’opera personale. Non aiuta nemmeno la recitazione imposta agli attori, volutamente straniata, alienata, come se i personaggi non fossero delle persone ma i loro alter ego virtuali, come quelli generati dai gamepod di eXistenZ. In questo senso, è difficilmente valutabile anche la prova del protagonista Robert Pattinson (che si muove in mezzo a un cast eccezionale, tra Juliette Binoche, Paul Giamatti e l’affascinante Sarah Gadon): freddo e distante per copione, certo, ma in fondo lo è sempre, e quindi non è questo film a dirci qualcosa di più sulle sue qualità di attore.

Asimmetria, imperfezione, anomalia. Sono questi i concetti chiave del film. Il protagonista ha la prostata asimmetrica. Ed è nell’imperfezione che si trovano le risposte, dice. Forse ne ha bisogno, con la vita (apparentemente) perfetta che ha condotto finora. E forse ha bisogno di imperfezione anche Cronenberg, che ci ha abituato quasi solamente a film perfetti. Cosmopolis, che come dicevamo è una summa di tutto il suo cinema, sembra una di quelle opere fatte per mettere un punto e a capo sulla carriera di un artista. Per un nuovo inizio, sia chiaro. Abbiamo allora la sensazione che il Cronenberg che tornerà con il prossimo film avrà, come Tom e Nikolai, un’altra identità. E sarà l’ennesima mutazione del Signore delle Mutazioni.

Titolo originale: Cosmopolis; Regia: David Cronenberg; Sceneggiatura: David Cronenberg; Fotografia: Peter Suschitzky; Montaggio: Ronald Sanders; Scenografia: Arvinder Grewal; Costumi: Denise Cronenberg; Musiche: Howard Shore; Produzione: Alfama Films, Prospero Pictures, Kinology, France 2 Cinéma, Talandracas, Téléfilm Canada, Leopardo Filmes, Canal+, Rai Cinema, Radiotelevisão Portuguesa; Distribuzione: 01 Distribution; Durata: 108 min.; Origine: Francia/Canada/Portogallo/Italia, 2012

 


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