Lumière 2011: Grand Lyon Film Festival PDF 
Giulia Palmieri   

Venerdì 7 ottobre. Sono le 5 del mattino e mi ritrovo davanti a 2001 Odissea nello Spazio con tanto di pop corn in mano. Sarebbe già strano di per sé, eppure lo è molto più di quanto crediate: davanti a quello schermo, infatti, con me, ci sono altre 4000 persone, 4000 persone rimaste in coda per ore fuori dalla Halle Tony Garnier di Lione apposta per assistere alla Nuit de la Science Fiction. Questo è il Festival Lumière. Un carosello di sorprese in una settimana in cui il tempo pare fermarsi e tutti, proprio tutti, sono contagiati dalla febbre del cinema. Le 8 ore di maratona fantascientifica che mi hanno rapita grazie a gioielli del calibro di Le Voyage dans la Lune di Georges Méliès (versione inedita a colori, dipinta a mano e restaurata dalla Lobster Film), 2022: i sopravvissuti (con un Charlton Heston in versione Greenpeace, già in lotta nel 1973 contro un futuro distrutto dal riscaldamento globale), District 9 (capolavoro di Neill Blomkamp, prodotto da Peter Jackson, di cui è previsto un sequel in uscita nel 2012) e L’uomo che visse nel futuro (ovvero il romanzo di Wells The Time Machine, che il regista e produttore Gorge Pal traspose proprio come fece con La guerra dei mondi) sono solo un assaggio di quanto accaduto in questi giorni nella città in cui il cinema ha preso vita grazie al genio dei fratelli Lumière.

Più di 80 film e 200 proiezioni hanno riscaldato l’inizio di questo autunno a Lione, dove per il terzo anno consecutivo il Festival Lumière ha premiato per l’insieme delle sue opere e per la sua carriera una delle icone più rappresentative della Settima Arte. Dopo Clint Eastwood e Milos Forman, tocca stavolta ad un attore ritirare il premio ideato da Bertrant Tavernier, direttore dell’Institut Lumière: si tratta dell’immenso Gérard Depardieu, francese in terra di Francia, accolto con un calore degno della commozione di Fanny Ardant. Fotografarla con gli occhi lucidi dopo la proiezione de La signora della porta accanto di Truffaut è stato magico, ma il buon Gérard non si è scomposto neanche in quell’occasione; una battuta sulla cucina locale evidentemente ci stava meglio: “Mi sento un po’ appesantito, i vostri bouchon (ristoranti tipici lionesi ndr) sono eccezionali!”. Eppure Depardieu non è l’unico ad apprezzare le gioie di questa città: già all’apertura Jean Dujardin, nell’insolita veste alla Gene Kelly che gli è valsa la vittoria a Cannes come miglior interprete maschile per lo straordinario The Artist, aveva detto: “Ho una gran voglia di farmi una bevuta con il mio amico Laurent Gerra!”, mentre la compagna di set Bérénice Bejo non riusciva nemmeno a parlare, tant’era in preda all’emozione. Standing ovation infatti per il film di Michel Hazanavicius che reinventa il concetto di muto nel XXI secolo: The Artist fa dell’immagine una sorta di poesia in cui l’effetto sonoro è bandito. Soltanto la musica accompagna il susseguirsi degli eventi in un crescendo di drammaticità direttamente proporzionale alla potenza dell’amore che racconta.

E al muto il Festival Lumière riserva sempre uno spazio, quasi a ricordarci che sebbene oggi il Dolby Digital e gli IMAX la facciano da padroni, un tempo era possibile sentire un film in maniera diversa: nella sezione Sublimes moments du muet, Gian Luca Farinelli, direttore della Cineteca di Bologna, presenta 12 pellicole mute a colori, in un lasso di tempo che copre la storia dal 1896 al 1914. Senza dimenticare le proiezioni de I quattro cavalieri dell’Apocalisse di Rex Ingram; i due pilastri di William A. Wellman, Wings e Beggars of Life; e Il fuoco di Giovanni Pastrone, presentato direttamente dal direttore del Museo Nazionale del Cinema di Torino, Alberto Barbera. E Torino è decisamente presente quest’anno: oltre a Il Fuoco, la nostra cineteca ha infatti offerto a Lione le versioni restaurate dei primi due film di Elio Petri, L’assassino, con Marcello Mastroianni e Micheline Presle, e I giorni contati. Al Village du Festival inoltre, nei giardini dell’Institut Lumière, là dove vi è ancora l’hangar in cui è stato girato il primo film della storia, è stata ospitata inoltre la mostra Immagini dal silenzio, ovvero l’avventurosa storia del cinema muto torinese.

Coccolatissimi ospiti della soirée d’ouverture anche Benicio del Toro e Charlotte Rampling, rispettivamente accorsi per due gioielli. Del Toro introduce Hadaka no shima (The Naked Island) di Kaneto Shindō, un film che lui stesso definisce tra i più bei drammi del cinema mondiale. Charlotte Rampling è invece arrivata per presentare sé stessa: nell’ultimo lavoro della tedesca Angelina Maccarone, presentato a Cannes quest’anno, si interroga sulla propria vita, accompagnata per nove capitoli da Peter Lindbergh e Paul Auster. Un docu-film quasi autobiografico che rende grazia a tutte le sfaccettature che un personaggio come lei ha saputo interpretare magnificamente nel corso di un’intera cine-esistenza. Retrospettive mirate anche per alcune personalità incancellabili, come il regista e sceneggiatore Jacques Becker, lo storico del cinema Kevin Brownlow (che grazie ai suoi studi sul restauro salvò il kolossal Napoléon vu par Abel Gance), e il super produttore Roger Corman, Oscar alla carriera nel 2010. E naturalmente Gérard Depardieu: 2 cortometraggi e 15 film tra cui non possiamo non citare Novecento di Bertolucci, L’ultimo metrò di Truffaut, Danton di Wajda e quel Cyrano de Bergerac che gli valse, nel 1990, il premio per la miglior interpretazione maschile a Cannes, proiezione che ha siglato la cerimonia di chiusura del Festival.

Tra gli eventi impedibili, due spazi dedicati al cinema estero: l’omaggio a Bollywood presentato da Shekhar Kapur, produttore di Bollywood : The Greatest Love Story Ever Told, in anteprima esclusiva a Lione, dopo l’avant-prémère a Cannes 2011. E non poteva quest’anno mancare uno spazio per il Giappone: Yakuzas! non è solo un modo per parlare dell’omonima organizzazione criminale che ispira tutt’oggi un numero infinito di pellicole (presente Kill Bill?), ma è soprattutto un buon pretesto per scoprire le opere di Kinji Fukasaku, Masahiro Shinoda e Hideo Gosha. Largo poi ai più piccoli con Mon Festival à Moi che proietta La guerra dei bottoni di Yves Robert in pieno pomeriggio. Numerosissime le scuole che si sono mobilitate in massa apposta per l’occasione.

Non restano che due sezioni: Déjà Classique! riservata ai cult francesi degli anni Settanta, direttamente presentati dai loro realizzatori, e Le temps retrouvé, ovvero quando gli archivi delle più importanti cineteche d’Europa svelano alcuni dei più bei classici della storia in versione restaurata (per citarne due: La macchina ammazzacattivi di Rossellini e Frankenstein Junior di Mel Brooks). Omaggio anche ad Helmut Berger, presente alla proiezione de Il giardino dei Finzi Contini di Vittorio De Sica. E se per il cinquantenario del leggendario Ben Hur, la Warner Bros ha voluto regalare al pubblico lionese una copia digitale completamente rimasterizzata, non possiamo non citare un’altra serata eccezionale, la Mini-nuit de la Bande-Annonce: presenziata da Axel Brücker, eccentrica personalità del cinema che per prima ha compreso il potenziale del trailer, è stata un’immersione totale nella celluloide. Da La strada di Fellini a Il quinto elemento di Besson, non ci sono filtri né pregiudizi nella selezione di Brücker: 500 film riassunti in 3 ore di trailer, davanti a un pubblico che durante l’intervallo non ha esitato a chiedere “Encore!”. Succede solo a Lione.

 


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