Swingers, quei favolosi anni Ottanta PDF 
Aldo Spiniello   

Si sente cantare Dean Martin, all’inizio di Swingers. E allora? Poteva benissimo trattarsi di qualsiasi altra canzone. Non proprio. Visto che quella voce è un segno, evoca un tempo e un’atmosfera, i favolosi anni Cinquanta, il rat pack, quel branco di magnifici topi che attraversava le notti folli di Las Vegas. Swingers è, sin da subito, dalle prime immagini, dalle prime note, un omaggio e un riferimento. Epopea quotidiana di un gruppo di squattrinati, attori mai emergenti, sedicenti produttori, artisti senza ingaggio, poveri Pippo sulla via del fallimento. Sfiammati di giorno, ma leoni di notte, nell’oscurità movimentata dei bar fumosi e dei locali affollati. Sfigati che dominano la notte, dalla città degli angeli a Vegas. Un po’ folli, ma dall’animo romantico e il cuore tenero. A cominciare da Mike, comico “melodrammatico”, condannato alla gavetta perenne, eppure testardamente legato a un’idea d’amore come unica chiave possibile della felicità. C’è la realtà, l’osservazione minuziosa e partecipe di un ambiente nelle pagine della sceneggiatura di Jon Favreau. Ma c’è anche un complesso orizzonte immaginario di riferimento, che dalla scrittura si riflette nella tessitura visiva del film, nella fascinazione notturna e citazionista dello sguardo low budget di Liman. Il rat pack di Martin e Sinatra, appunto, ma anche Tarantino e Scorsese. Vita e cinema si legano indissolubilmente, tra strizzate d’occhio un po’ furbe e omaggi dovuti e sinceri. Ma, in ogni caso, la consapevolezza estrema, fin troppo evidente, delle implicazioni e dei rimandi interni ed esterni appare come una delle corde fondamentali di questa nuova commedia americana, che sembra riemergere faticosamente dalle ceneri degli anni Ottanta, senza più (o ancora) impelagarsi nelle ultime derive e nei giochi del postmoderno.

Swingers è davvero al passo coi tempi, uno dei quei film che, ancor più delle loro qualità, mettono in mostra le dichiarazioni d’intenti. E non è un caso che esca nel 1996, quasi in contemporanea con Un colpo da dilettanti, esordio di Wes Anderson e dei fratelli Wilson, e con Il rompiscatole di Ben Stiller. Tre film di passaggio e congiunzione, tre film cerniera, che aprono la strada a un cambiamento generazionale del sistema hollywoodiano. Dagli anni Ottanta del brat pack al frat pack del nuovo millennio (sebbene, a rigore, Swingers non sia considerato un film frat pack, nonostante la decisiva presenza di Vince Vaughn). Certo: cambia solo una consonante. Tutto avviene con naturalezza, senza scosse telluriche o rivoluzioni violente, segno di una continuità di fondo, di una filiazione diretta. E la dichiarata indipendenza non è una sfida lanciata al potere, quanto un’opportunità, un passaggio obbligato per l’integrazione nel sistema. Ma una rivoluzione pacifica è pur sempre una rivoluzione. Swingers lancia definitivamente Vince Vaughn, Jon Favreau e Doug Liman. E, soprattutto, apre uno sguardo amaro su un mondo, un universo sgangherato e romantico, che sarà al centro di tanti film successivi, a cominciare da quelli di Judd Apatow. Dopo il successo, ognuno prenderà le sue strade. E soprattutto Liman sembrerà andare altrove. Verso altri generi e altri temi. Eppure, forzando un po’ lo sguardo, si può scoprire una coerenza di fondo. Partendo dalla considerazione che oggi Liman, al pari di Greengrass, suo successore nella saga dell’agente Bourne, mostra sempre più l’intenzione di ridisegnare la geografia del mondo e, al tempo, di procedere a una rimappatura delle coordinate del cinema. I continui spostamenti di The Bourne Identity, di Jumper e della prima parte di Fair Game assomigliano a una sorta di delocalizzazione dell’immaginario, spinto verso le nuove frontiere. Dagli USA al Medio Oriente in un sol balzo, un solo stacco di montaggio. Cifra della velocità dei collegamenti, dell’ubiquità che sembra il sogno della contemporaneità.

Cosa c’entra Swingers con tutto questo? Nulla si dirà. Un piccolo film piantato in una città, in un ambiente ristretto, costruito quasi in una sola strada, una sola casa, una sola vita. Un film in cui di tecnologico c’è ben poco, al punto che persino i videogiochi sono rigorosamente in versione arcade. Eppure, come dicevamo, il terreno del confronto è sempre l’immaginario, il mondo da mappare. C’è sempre uno spostamento, un salto dal reale al cinema e, all’interno di questo, da un tempo all’altro. E tutto diviene chiaro con il doppio movimento di Fair Game, che prova (magari fallendo) a stringere in un solo abbraccio Greengrass e Pollack. Ogni fuga all’indietro, verso il passato, non può nascondere la vocazione, la tensione profonda a esser presenti, contemporanei, nel proprio tempo. Il desiderio di essere ancora amati e vivi.

TITOLO ORIGINALE: Swingers; REGIA: Doug Liman; SCENEGGIATURA: Jon Favreau; FOTOGRAFIA: Doug Liman; MONTAGGIO: Stephen Mirrione; MUSICA: Justin Reinhardt; PRODUZIONE: USA; ANNO: 1996; DURATA: 96 min.

 


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