Sbatti il mostro in prima pagina PDF 
Marco Capriata   

Ogni riferimento alla realtà è puramente casuale, recitano i titoli di coda, come si conviene per il cinema di denuncia sociale, anche se Bellocchio adotta proprio l’immagine di repertorio per ricostruire l’epoca in cui il film, che è del 1971, si calava perfettamente fotografando i sommovimenti politici del tempo. Per quanto schematico e programmatico possa apparire nelle sue tesi e nella sua esplicitazione, il film del regista piacentino inevitabilmente ci porta all’evidenza i meccanismi sottesi in un tipo d’informazione e nell’impiego che ne fa il potere in modo da forgiare un pensiero addomesticato in chi legge.

Scorse le prime immagini iniziali, in cui un giovane La Russa inneggia contro il Comunismo, slogan che in uno dei tre finali del film viene ricordato come sempre efficace per la facile malleabilità delle masse, Bellocchio apre la sua opera di finzione su una carrellata di striscioni politici, visti come una sorta di fiume colorato ma uniforme nei propri contenuti semantici. Immagine allegorica che si raccorda con quella definitiva di chiusura in cui ci presenta il Naviglio invaso dai rifiuti della società, o meglio, dell’industria e della politica, metafora forse troppo sfacciata ed evidente che si raccorda al contesto generale del film e ai suoi contenuti, i quali emergono con un certo disagio per le coscienze spettatoriali. Successivamente, l’autore introduce quello che è il personaggio chiave del film, subito tratteggiato attraverso pochi gesti e parole da un Gian Maria Volontè ancora una volta maestro di trasformazione attoriale, capace di calarsi perfettamente in un maschera ben lontana dai suoi ideali politici, ma così perfetto nella sua caratterizzazione fatta di una serie di inflessioni vocali che aiutano a renderlo ancor più ostile e odioso. Figura che sembrerebbe appartenere a un gradino inferiore nella scala gerarchica del potere interno della testata giornalistica, ma che in realtà è il suo oscuro manovratore, in accordo con il suo ricco e azzimato proprietario, nonché artefice della campagna di stampa volta a vincere le prossime elezioni. Volontè dimostra infatti, sin dall’inizio, la propria abilità e assenza di scrupoli nello sfruttare a proprio favore un’azione di protesta dei manifestanti di sinistra volta a danneggiare Il Giornale, reo di essere in mano ai padroni, sfruttando cinicamente l’immagine ad effetto del rogo di giornali scoppiato a seguito di una molotov, e trasmettendo così un chiaro messaggio volto a far apparire sotto una luce sfavorevole gli avversari politici. È poi il caporedattore stesso a ricordare ad un suo sottoposto che Il Giornale è un organo di stampa letto da 500.000 persone, individui che lavorano e che hanno una famiglia e che quando tornano a casa non vogliono avere problemi, che non devono sentirsi caricati di eventuali responsabilità dalla testata che si accingono a leggere. Pertanto, con mirabile dimostrazione di abilità manipolativa della semantica delle notizie, Bizanti (Gian Maria Volontè) insegna al giovane giornalista come rendere meno altisonante e quindi disinnescare la potenzialità ansiogena di una notizia avente ad oggetto il “gesto disperato di un disoccupato”, tanto da diventare sotto le mani del caporedattore il “suicidio di un immigrato”, in cui, a detta di Bizanti, nel termine “immigrato” il lettore può ritrovarvi tutto il dramma della notizia senza sentirsi caricato di quell’ansia di condivisione che disturberebbe la coscienza quieta del suo lettore. Aspetto che invece Bizanti ritrova suo malgrado nella propria moglie, la quale si lascia sfuggire un commento che a suo dire è tipico del lettore medio e che per una donna nella sua posizione andrebbe dissimulato meglio. Finzione che non riuscirà altrettanto bene allo stesso Bizanti durante la messa in ricordo della povera vittima intorno alla quale ruota la vicenda, in cui i gesti meccanici di genuflessione e preghiera svelano il suo disadattamento rispetto ad una borghesia bigotta ed ipocrita.

A lui si contrappone l’ingenuo e forse idealista giornalista Roveda (Fabio Garriba), che crede ancora in quell’etica giornalistica tradita dal comportamento di Bizanti e del collega senza scrupoli Lauri, entrambi impegnati in azioni collusive con la Polizia per garantirsi le notizie e nel fabbricare piste investigative di comodo. Tutti dovranno tuttavia fare i conti con quella demistificazione della realtà operata in primis dai parenti stessi della giovane vittima per restituirne un’immagine pura ed illibata da servire in pasto ai lettori, sforzandosi di riportare alla luce un’immagine più reale e veritiera, quella di chi “la conosceva bene”. Un’immagine in grado di smascherare quella facciata perbene cui tutti vorrebbero credere, profondendosi in lettere di rabbia al giornale nelle quali si reclama la pena di morte, che, come ricorda cinicamente Bizanti, è un’idea che se all’inizio viene cavalcata con forza dalla gente, viene poi subito dopo rinnegata dal loro buon cuore e pietismo, inquadrando così perfettamente le contraddizioni e le ipocrisie di cui spesso siamo noi stessi promotori. Il titolo del film, d’altronde, è eloquente nel dimostrare la propria tesi di fondo su una modalità di informazione falsata, che se nel caso dell’addomesticamento del titolo della notizia, per quanto metodo subdolo, è ancora attuale e a suo modo efficace nell’assopire le coscienze, nel caso della campagna di stampa orchestrata per individuare l’assassino di una giovane studentessa diviene l’occasione per attaccare e far apparire come mostruosa la parte avversa e delegittimarla, mediante un capro espiatorio che verrà forse successivamente scagionato, a seconda dell’esito elettorale e della sua convenienza.

Il film si divide tra l’impianto giallo e la denuncia politica, dualità non sempre equilibrata che mostra a tratti delle ingenuità nella propria esplicitazione dei temi e delle teorie sottese dai suoi autori (tra cui figura Goffredo Fofi), ma che non lascia del tutto indifferenti, costringendo lo spettatore a fare i conti con la propria realtà e con il modo di fare giornalismo oggi. Forse meno ideologico ma comunque pericoloso. Se il personaggio di Volontè incarna un precisa strategia della tensione giornalistica che si insinua in un periodo drammatico della Storia italiana (la strage di Piazza Fontana, la morte di Feltrinelli…), oggigiorno i sospetti di asservimento al potere della carta stampata sono più facilmente esplicitati e pubblicamente condannati. Ciò che non si può o non si vuole contrastare è la tecnica dello svuotamento di senso delle notizie volte a creare una confusione di pensiero e di idee in cui tutto appare sbiadito. Ma quello che rimane impresso di Sbatti il mostro in prima pagina è forse il debordante ruolo interpretato da Volontè, che ancora una volta ci restituisce una figura umana la cui ambiguità non avrà forse la caratura dell’ispettore di Indagine su un cittadino al di sopra di ogni sospetto, ma è comunque un’ulteriore manifestazione di quel potere nascosto tra le pieghe degli organi che dovrebbero rappresentare spazi di garanzia per gli individui, in cui tutto viene invece smentito e sovvertito a seconda delle esigenze del superiore di turno. Bizanti è un manipolatore che sfrutta le persone e le situazioni con abilità machiavellica, e lo dimostra seducendo intellettualmente la frustrata e innamorata delusa Rita Zigai (Laura Betti), tanto da riuscire a trasformarla nella carnefice stessa del potenziale mostro da dare in pasto all’opinione pubblica, per poi sincerarsi ed assicurarsi che quello vero rimanga dormiente nella sua follia per il tempo necessario a conservare quella facciata di apparente verità. Che forse non verrà mai disvelata, neppure dagli allegorici rifiuti della città, vista in alcuni momenti rievocativi del delitto nei suoi aspetti paesaggistici più vicini alla pittura di Sironi, quale sintesi geografica di una desolazione umana a cui nessuno sembra poter sfuggire.

TITOLO ORIGINALE: Sbatti il mostro in prima pagina; REGIA: Marco Bellocchio; SCENEGGIATURA: Marco Bellocchio, Sergio Donati, Goffredo Fofi; FOTOGRAFIA: Luigi Kuveiller, Erico Menczer; MONTAGGIO: Ruggero Mastroianni; MUSICA: Ennio Morricone, Nicola  Piovani; PRODUZIONE: Italia; ANNO: 1972; DURATA: 93 min.

 


#01 FEFF 15

Il festival udinese premia il grandissimo Kim Dong-ho! Gelso d’Oro all’alfiere mondiale della cultura coreana e una programmazione di 60 titoli per puntare lo sguardo sul presente e sul futuro del nuovo cinema made in Asia...


Leggi tutto...


View Conference 2013

La più importante conferenza italiana dedicata all'animazione digitale ha aperto i bandi per partecipare a quattro diversi contest: View Award, View Social Contest, View Award Game e ItalianMix ...


Leggi tutto...


Milano - Zam Film Festival

Zam Film Festival: 22, 23 e 24 marzo, Milano, via Olgiati 12

Festival indipendente, di qualità e fortemente politico ...


Leggi tutto...


Ecologico International Film Festival

Festival del Cinema sul rapporto dell'uomo con l'ambiente e la società.

Nardò (LE), dal 18 al 24 agosto 2013


Leggi tutto...


Bellaria Film Festival 2013

La scadenza dei bandi è prorogata al 7 aprile 2013 ...


Leggi tutto...


Rivista telematica a diffusione gratuita registrata al Tribunale di Torino n.5094 del 31/12/1997.
I testi di Effettonotte online sono proprietà della rivista e non possono essere utilizzati interamente o in parte senza autorizzazione.
©1997-2009 Effettonotte online.