Da Sodoma a Hollywood, Torino International GLBT Film Festival PDF 
Gianluca Moro   

ImageGiunto alla sua ventitreesima edizione, il festival del cinema gay, lesbian, bisexual e transgender si conferma come uno degli appuntamenti culturali più vivaci tra le molte manifestazioni torinesi, in grado di attrarre spettatori da ogni parte d'Italia, e non solo. Nato come manifestazione di nicchia, il festival ha ormai assunto connotati più ampi e, quindi, sfumati, tanto che alcune proposte possono sembrare un mero pretesto per attirare nuovi spettatori o un pubblico tradizionalmente lontano dal cinema. Se così fosse, in ogni caso il risultato è stato raggiunto: creare una settimana di suoni, colori, voci "fuori dal coro", riuscendo a riempire tanto le sale quanto il grande foyer del cinema Ambrosio, che ha ospitato la manifestazione. Come in ogni rassegna, anche per fare un po' di numero, non tutti i film appaiono convincenti, ma molte delle nuove pellicole e delle riproposte lasciano il segno nello spettatore, allontanandosi spesso dagli stereotipi legati al tema dell'omosessualità e della "diversità" in genere.

Esempio perfetto di questa volontà si ritrova in A outra margem (Portogallo, 2007) di L.F. Rocha (concorso lungometraggi), incentrato sul rapporto tra Ricardo, che ha appena perso il compagno suicida, e suo nipote Vasco, un ragazzo affetto da sindrome di Dawn. Tra i due si svilupperà un rapporto sottile, dove i sentimenti di amicizia, fratellanza e paternità si mescolano con naturalezza. Un film che cresce e matura sequenza dopo sequenza, e dove il presunto "diverso" emerge davvero come pura immanenza. Le ferite dei vari personaggi non si rimarginano da sole, ma diventano piuttosto un tratto distintivo che ognuno porta con sé, fino a quando il ritorno di Ricardo dopo molti anni ne rompe i precari equilibri. È proprio nei dialoghi forti e insieme leggeri che il film si distingue dai soliti drammi del "figliol prodigo", nell'assenza di facile retorica e piagnistei, nel mostrare vicende difficili senza vittimismi, facendo parlare le immagini con un'intensità che accompagna ogni scena in un lirismo non artificiale e pretestuoso, che nasce dai fatti stessi. Un altro film che si interroga sul concetto di diversità uscendo dai temi dell'omosessualità è Yo, la peor de todas (Argentina, 1990), di Maria Luisa Bemberg, incentrato sulla vicenda di Suor Juana Inez De la Cruz, monaca poetessa che, per poter accedere agli studi, decise di entrare in un convento. Il rapporto omoerotico della suora, per altro rimasto sullo sfondo della narrazione, nasconde una diversità ben più grande per l'epoca in cui si svolge la vicenda. Tale diversità è rappresentata dal femminile in un mondo, quello della Chiesa, dove domina il maschile in ogni campo, e le suore sono destinate solo a faccende di preghiera o di lavoro manuale. Una suora che osa sfidare i "maschi" nel campo dell'intelletto, risultando di gran lunga più raffinata e sottile, più preparata e consapevole, non può che far paura, specie ai ranghi più conservatori e ostili al mutamento. In una situazione di trame politiche (che paiono di sconcertante attualità), ricatti, silenzi, i pochi protettori della suora non potranno che abbandonarla, anche se a malincuore. Nel ritratto di questa donna, per mezzo di una scenografia asciutta ed essenziale, e di inquadrature statiche che sottolineano il senso di isolamento di suor Juana, si assiste allo sfacelo della bellezza, della poesia e dell'amore per la conoscenza a scapito della paura e dell'odio per il diverso e ciò che non si conosce. Juana si definisce "astratta", poiché non le è dato di percepire passioni e sentimenti (siano essi sessuali o puramente passionali): non può che tradurli sulla carta, facendosi portavoce di un’esperienza che non può vivere sul proprio corpo. La privazione di tutta la realtà materiale della suora, fatta di libri, strumenti scientifici, penna e calamaio, equivale a una sorta di mutilazione quasi peggiore della morte stessa per un essere umano che ha fatto del pensiero l'unica ragione della propria vita. Un film importante, mai distribuito in Italia, utile a comprendere i crimini perpetrati in nome di un credo assoluto e mai messo in discussione.

ImageSempre nell'ambito delle riproposte, spicca il primo film di Gus Van Sant, Mala Noche (U.S.A., 1985), fragile forse nei temi e nella costruzione dei personaggi eppure sapiente nella regia, nella composizione delle inquadrature, nel montaggio "sporco", nella fotografia in bianco e nero in stile beat: un film che avvolge e coinvolge più per le immagini in sé che per la narrazione, ma che introduce già alcuni temi cari all'autore, quali la precarietà, il viaggio, l'esclusione, nonché lo stilema delle nuvole in movimento (Elephant e Paranoid Park). Altra opera prima riproposta è quella di un maestro del cinema quasi trentennale come Almodovar, Pepi, Luci, Bom y otras chicas del montón (Spagna, 1980), film leggero e divertente, forse solo parzialmente riuscito ma comunque interessante per comprendere le origini di un genio del cinema. Prima della proiezione ha fatto la sua apparizione in sala Alaska, una delle attrici del film (all'epoca quindicenne), che ha divertito la platea raccontando, tra l'altro, la sua prima scena interpretata nel film, ossia una "pioggia dorata" sopra la moglie di un poliziotto. Tale episodio e molti altri sketch del film, visti con gli occhi attuali fanno semplicemente sorridere, ma riletti con lo spirito dell'epoca sembrano quasi una catarsi liberatoria che erompe dopo la liberazione dalla dittatura politico-culturale franchista. Tornando alle produzioni attuali, nella sezione documentari, occorre ricordare Les règles du Vatican (Italia/Francia, 2007), un film che difficilmente troverà adeguata distribuzione in Italia. Attraverso le testimonianze di preti scomodi e altre voci tagliate fuori dal sistema mediatico tradizionale, il regista Alessandro Avellis indaga su una delle questioni più spinose nella società civile, ossia il rapporto tra Stato e Chiesa cattolica in Italia, religione e laicità, in un incrocio oscuro tra interessi politici ed economici, fino a toccare la questione delle unioni civili (i cosiddetti "Dico"). Il taglio ironico del film non impedisce spunti di intensa riflessione, anche seguendo le parole di Alfredo Ormando, omosessuale credente che si è dato fuoco per protesta davanti a San Pietro nel 1998, e di cui pochi conoscono la tragica vicenda, in buona parte occultata dalle gerarchie ecclesiastiche e dalla complicità di buona parte dell'informazione pubblica.

ImageOltre all’omaggio al cinema portoghese queer, il festival ha proposto anche l'interessante panoramica sul cinema giapponese a tematiche omosessuali: tra gli altri, il film d'animazione in due parti, Ai no Kusabi (Il cuneo dell'amore, Giappone, 1992-1994), di Nishimori Akira e Akiyama Katsushito, è un raro esempio di fusione tra utopia negativa, visionarietà, intimismo, politica e film d'azione. In uno scenario apocalittico, dove il cielo assume spesso le tinte di un quadro astratto in contrasto con l'iperdettaglio degli elementi tecnologici di un futuro nemmeno troppo lontano e inverosimile, i Blondies – esseri statuari dal corpo perfetto – dominano la città e dispongono di persone selezionate atte a soddisfarne i bisogni sessuali: tuttavia, l'amore proibito tra un "puro" e un abitante del ghetto rischia di far saltare tutto il sistema costituito. È un film che lascia l'amaro in bocca, denso come l'atmosfera spessa che si respira con fatica tra capannoni abbandonati, ambienti fatiscenti e crepuscolari, ma allo stesso tempo sembra suggerire che nonostante tutto i sentimenti riescono a primeggiare, anche a costo della vita. Tema, questo, caro anche alla cinematografia magico-rituale di H. Miyazaki, molto diversa nel tratto e nello stile, ma che ha in comune con questi anime il tema della distruzione dell'ambiente e dell'umanità per mano dell'uomo. Anche la sezione cortometraggi ha proposto una serie ampia e differenziata di opere, tra cui ad esempio Donkey Girl (Olanda, 2006) di Ties Schenk, delicato ritratto di un'infatuazione tra due preadolescenti, e Sexy Thing (Australia, 2007), di Denie Pentecost, nel quale il tema della violenza familiare viene trattato con estrema asciuttezza, alternando un crudo realismo a momenti onirici liberatori. Qualche dubbio rimane sulla scelta del film vincitore per la sezione lungometraggi, ossia La León (Argentina/Francia, 2007) di Santiago Otheguy, un film dalle immagini forse suggestive, ma dalla sceneggiatura davvero raffazzonata: l'andamento risulta noioso, i dialoghi prevedibili, nonostante il ritratto su alcune figure minori sia riuscito e il regista sappia catturare l'essenza dei volti degli attori non professionisti.

In base alle opere visionate, al clima generale, all’informalità della rassegna, nella quale autori e spettatori possono confrontarsi liberamente davanti a un bicchiere di vino, il bilancio finale resta comunque positivo. Forse, data la vastità delle proposte, sarebbe auspicabile per la prossima edizione ottenere la replica di tutte le opere presenti, in modo da facilitare una visione più completa e meno dettata dalle logiche di puro incastro temporale tra una proiezione e l'altra.

 


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