No man’s land PDF 
di Martina Palaskov Begov   

Niente archetipi, né banali storie per rievocare ciò che invece dovrebbe essere dimenticato. Nessuna morale e poche sequenze 'strappalacrime'. No man's Land rievoca la semplicità della tenera età della pubertà. Infatti, entrambi i protagonisti, pur figli della stessa patria e inconsapevolmente fratelli, si odiano solamente per il fatto che nessuno sembra voler dar loro ragione a causa di un torto; un torto che nessuno dei due vuole ammettere di avere contribuito ad ingrandire fino a farlo diventare una tragedia. I due soldati nemici (Branko Djuric e Rene Bitorajac), abbandonati dalle rispettive avanguardie, si ritrovano soli, quasi per caso, a dover dividere la terra di nessuno che separa i due eserciti, quello serbo e quello bosniaco. La sottile complicità che attraversa le vicende dei due combattenti (due tra tanti nel mezzo di una lotta che vede coinvolti fratelli di sangue) è evidente già dalle prime battute del film. Capricci infantili, ripicche adolescenziali e parolacce a mo' di "specchio riflesso". A turno, i due si puntano l'unico fucile trovato per caso in trincea, non per uccidere, ma per dimostrare la loro inutile potenza. "Chi ha incominciato la guerra?", dice Chiki, l'impulsivo soldato bosniaco, puntando il fucile alle tempie del giovane soldato serbo. " Chi ha incominciato la guerra?", ripete ancora, con il solo scopo di sentirsi dire quello che nessuno è mai riuscito a capire.

Non c'è né il bene né il male nella pellicola. Lo scopo del regista è quello di far capire come la testardaggine umana possa raggiungere livelli da psicologo infantile. Morte e distruzione nascono da una disputa che spesso inizia da inevitabili e stupide prese di posizione che rendono l'essere umano l'ultimo nella scala del regno animale. I due alla fine finiranno per uccidersi proprio quando a circondarli e a proteggerli c'è una forza neutrale – l'UN -, che dovrebbe metaforizzare la figura della madre che, seccata dal comportamento dei due bimbi che si picchiano, interviene dicendo "basta, ragazzi, è ora di finirla, perché ve la prendete per dei motivi stupidi. Volete sapere a chi appartiene l'orsacchiotto? A nessuno dei due". Solo che in questo caso l'orsacchiotto è rappresentato da un uomo, che la sorte ha voluto essere un bosniaco, sdraiato inconsapevolmente sotto una mina rimbalzante che esploderebbe nel momento in cui egli spostasse anche solo la gamba per sistemarsi i pantaloni. Il disgraziato, creduto morto, è un'ennesima vittima innocente della guerra stupida degli uomini (quale guerra è poi intelligente?). Egli, come la terra di nessuno che finirà per essere la sua tomba, è sdraiato inerte sotto un cielo che invano cerca di ricordare agli uomini che sono tutti uguali.

Il regista Tanovic, di origine bosniaca, narra una vicenda singolare ma significativa e pur sempre rappresentativa della tremenda guerra che ha distrutto i Balcani a noi così vicini. Egli ha tuttavia mantenuto una distanza oggettiva dalle responsabilità delle due diverse etnie, conquistando il pubblico (sia americano, il film è infatti stato premiato con l'Oscar per il miglior film straniero, sia europeo, dato che ha ricevuto il premio per la miglior sceneggiatura al Festival di Cannes), raccontando una storia semplice, una vicenda bellicosa che si svolge sotto gli occhi inetti dei 'puffi'- i caschi blu-.

Lo stesso spettatore prova simpatia per entrambi i personaggi, e noi, nelle sale, ci identifichiamo con il testardo capitano francese (Georges Siatidis), stufo e stanco di dover restare a guardare mentre la morte si mostra ad di là della linea del campo. Ma infine, quando l'artificiere tedesco rivela di non poter far nulla per disinnescare quella maledetta mina che compromette il destino del povero soldato bosniaco, anche noi assieme al capitano, alla stampa europea e agli elicotteri delle UN, ci ritiriamo e cerchiamo di dimenticare non solamente quell'uomo che dovrà solo decidere come prendersi la vita, ma anche il conflitto che ha distrutto il cuore dell'Europa.

 


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